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È impegnativo, intenso e coinvolgente, l’ultimo film di Pedro Almodóvar, Madres paralelas. Bisogna trovarsi nel giusto stato d’animo, ma una volta pronti lo si guarda tutto d’un fiato. Non che il regista sia nuovo a tanta profondità e sensibilità, per tematiche toccate e scene che, a volte, un po’ disturbano i benpensanti; né tanto meno ci stupisce la forza dirompente delle sue interpreti, Penélope Cruz in primis (che per questa pellicola ha vinto, nel 2021, la Coppa Volpi come miglior attrice), la sua favorita, l’attrice che è ormai una sorta di alter ego del regista, una presenza costante in simbiosi quasi perfetta.

Eccoci allora di fronte a due donne, Janis (Penélope Cruz) e Ana (Milena Smit), che, a Madrid, condividono la stanza di ospedale in cui stanno per partorire.


Presto si capirà che le due madri, entrambe single e a confronto con una gravidanza inattesa, non condivideranno solo quello spazio tra quelle bianche, silenti e anonime mura ma una vita e un destino.

Janis è una fotografa affermata, Ana una ragazzina qualunque, abbandonata a sé stessa da una madre attrice di teatro sempre in giro per il mondo e un padre totalmente assente. Età diverse, ma situazioni del tutto analoghe per solitudine e un qualcuno sempre altrove.

Janis sul lavoro conosce Arturo, antropologo forense, e gli chiede aiuto per un progetto cui tiene molto: riesumare da una fossa comune alcuni corpi, tra i quali quello del suo bisnonno, di desaparecidos assassinati durante il periodo franchista. Tra i due nasce una frequentazione saltuaria finché Janis non scopre di essere incinta, ma Arturo è sposato. Deve proseguire da sola. Come sempre. Tornerà ad aiutarla?


Ana è invece una giovane con un passato complicato alle spalle
, ancora minorenne quando scopre di essere incinta. Anche lei non ha una relazione stabile, al punto che ignora chi sia il padre della sua bambina. Mentre il dramma si avvicina. Si salverà?

Entrambe diventano madri lo stesso giorno (delle piccole Cecilia e Anita), il legame fra le due donne cresce, e crescerà, fino a mettere davanti agli occhi dello spettatore una relazione inaspettata e un destino tragico sorprendentemente crudele. Colpi di scena e sconforto ma tanta forza di ricominciare. E sempre insieme.


Sullo sfondo una Spagna che fa i conti con il passato, soprattutto per Janis. Qui a (s)muovere l’animo del regista è la legge della memoria storica, approvata alla fine del 2007 dal Governo Zapatero per restituire a un popolo i suoi morti. Un popolo che chiede di riconoscerli e di piangerli. Un’esigenza sollecitata nel film dal personaggio di Penélope Cruz, spinta dall’urgenza di restituire una degna sepoltura al suo bisnonno, promessa fatta a sua nonna e alla figlia appena nata.

Perché la Memoria non ha a che fare col passato ma col presente e il futuro. Lo crediamo fermamente: senza memoria un popolo non ha futuro, tramandare gli errori del passato è fondamentale per evitare di ripeterli.  Almodóvar ricorda così le ferite di un paese non ricomposto, gli interessa profondamente la sua amata Spagna nativa e ne riesuma i fantasmi della guerra civile.

Tutto è movimento, azione, sentimento, un’avventura intima che ci farà commuovere, fino a piangere calde, caldissime lacrime. Per la tragedia delle due madri parallele ma anche per quella di un popolo che cerca finalmente pace con sé e il suo passato.

La scena finale è magistrale: una sorta di quadro vivente che incarna l’essenza della memoria e della storia e che ricorda l’olio su tela di Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, del 1901. Geniale.

Maggi Giovanni, foto Quarto Stato 

A chiudere il film, poi, questa frase di Edoardo Galeano “Nessuna storia è silenziosa. Non importa quanto la brucino, la rompano e mentono su di essa. Per quanto si tenti di ridurla al silenzio, la storia umana si rifiuta di tacere.”,

Un omaggio a tutte le madri e all’importanza delle radici. Da vedere assolutamente.

 

 

 

Trailer

Madres paralelas, di Pedro Almodóvar, con Rossy De Palma, Penélope Cruz, Milena Smit, Aitana Sánchez-Gijón, Israel Elejalde, Spagna, 2021, 120 mn.

 

Fotografie dal web

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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