Manifestazione per la sanità pubblica: prova di resistenza e nuove possibilità di opposizione, per mettere in discussione il predominio del Governo Meloni
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Sabato 24 giugno a Roma si è tenuta un’importante e molto partecipata manifestazione nazionale per la sanità pubblica, contro i tentativi ormai più che evidenti che guardano al suo definanziamento e alla sua privatizzazione.
Una manifestazione, promossa congiuntamente dalla CGIL e da più di 70 Associazioni e movimenti sociali, dall’Arci a Medicina democratica, dal Forum Disuguaglianze e Diversità al Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua e a tanti altri ancora, che segnala un possibile punto di novità significativo nel quadro sociale e politico in cui ci troviamo.
Infatti, a me pare che dovremmo ragionare con un po’ di più di approfondimento sul contesto che stiamo attraversando, partendo dalla consapevolezza che, allo stato attuale, il governo di destra mostra una certa solidità e che la semplice esaltazione delle sue contraddizioni interne, che pure ci sono, in particolare derivanti dai diversi approcci tra Fratelli d’Italia e la Lega, non mi sembra una chiave di lettura utile per pensare che si possa produrre uno scenario diverso, anzi.
Detto in altri termini, il ragionamento per cui la destra vince perché alla fine riesce sempre ad unirsi, mentre, dall’altra parte, si fatica a mettere insieme un campo largo e quindi si perde a me sembra decisamente politicista e superficiale e non coglie la sostanza delle questioni.
In realtà, dovremmo partire dal fatto che il governo, e la sua componente predominante rappresentata da Fratelli d’Italia, ha una lettura e un progetto di società e di Stato sufficientemente chiari e capace di costruire un certo consenso. In grande sintesi, esso può essere riassunto nella formula che mette insieme nuova collocazione europea e internazionale, ripresa della crescita economica e battaglia ideologica per costruire una nuova egemonia culturale.
Rispetto alla collocazione internazionale, la grande cesura rappresentata dalla guerra in Ucraina ha già spostato il baricentro della Europa verso l’Est, per cui il modello polacco – crescita economica e repressione della stampa, della magistratura e dei diritti civili – nonostante alcuni rilievi provenienti dall’Unione Europea, è sempre più in auge, anche grazie alla benedizione della Nato e degli Stati Uniti, e ad esso ci si può ispirare, continuando ad interloquire con l’insieme degli Stati europei.
Sulla situazione economico-sociale del nostro Paese, anche qui occorre rifuggire da valutazioni preconcette e incapaci di cogliere i processi reali in corso.
Non va sopravvalutato, ma non si può non riflettere sul fatto che la crescita economica prevista per il nostro Paese per il 2023, attorno all’1,2-1,3 % del PIL, è superiore alla media europea e anche a quella dei maggiori Paesi ( la stima per la Francia è di +0,7 %, mentre la Germania si ferma ad un modesto +0,2%), così come va registrato che siamo in presenza di una crescita occupazionale nell’ultimo anno non esaltante, ma comunque reale.
Questi risultati, peraltro, sono, in primo luogo, prodotti dai settori del turismo e del commercio, ben di più del settore manifatturiero, che fa registrare un buon andamento delle esportazioni, ma anche difficoltà legate al rallentamento dell’economia tedesca.
Il traino del settore dei servizi è poi caratterizzato dal fatto che suoi componenti essenziali sono costituiti da salari bassi, maggiore precarietà e minori tutele del lavoro e da una diffusione seria dell’economia sommersa e anche illegale.
Questa sembra essere la cifra di un vero e proprio modello di sviluppo, che si alimenta di quei fattori, e che, non casualmente, è stata sorretta da provvedimenti e messaggi volti a dare legittimazione a comportamenti che si collocano in un’area contigua, se non all’illegalità, ad un’incentivazione dell’economia sommersa e all’italica capacità dell’ “arte dell’arrangiarsi”.
Abbiamo assistito all’innalzamento dell’utilizzo del contante, al venir meno dei vincoli nell’utilizzo dei contratti a termine, all’estensione dell’affidamento diretto della gran parte degli appalti di lavori pubblici, all’abolizione del reato di abuso di ufficio, da ultimo persino alle dichiarazioni della Presidente del Consiglio, per cui la tassazione equivale ad una sorta di “pizzo di Stato”.
Un modello che ha una sua intrinseca fragilità, ma che, almeno nel breve periodo, può costruire una base di consenso abbastanza larga, e anche “popolare”. Infine, per quanto riguarda il tema della battaglia ideologica, penso sia sotto gli occhi di tutti che essa è decisamente in campo.
Da una parte, abbiamo il tentativo di costruire una nuova narrazione basata sul ruolo fondamentale del capo, sull’idea di nazione e sulla famiglia naturale, con tutto ciò che di regressivo si porta dietro, dall’altra siamo in presenza dell’occupazione dei media o perlomeno del loro condizionamento, del fatto di mettere fuori gioco gli organismi di controllo, dall’ANAC alla Corte dei Conti, di un attacco progressivo al ruolo autonomo della magistratura, con un approccio che mette insieme l’ambizione di una nuova egemonia culturale con quella del comando e dell’esercizio del potere.
Insomma, ci troviamo di fronte ad un’operazione condotta da una nuova destra che non può essere sottovalutata e presa sotto gamba, che pone chi intende opporsi alla deriva in corso una sfida per certi versi inedita.
Certo, gli stessi elementi che ho evidenziato prima non sono così forti e lineari, né tantomeno esenti da difficoltà e contraddizioni. Solo per esemplificare, il quadro economico e sociale potrebbe decisamente peggiorare e farsi irto di difficoltà a partire dall’autunno e, ancor più, con il prossimo anno.
Mi riferisco non tanto alle questioni che sembrano campeggiare anche in questi giorni nella cronaca giornalistica, peraltro sempre più misera e incapace di produrre uno sguardo un po’ lungo, dalle vicende del MES a quelle del PNRR, su cui un compromesso con l’Unione Europea non appare impraticabile.
In realtà, l’insidia più significativa per la navigazione del governo può derivare dal futuro Patto di stabilità e crescita che dovrebbe entrare in vigore nel 2024 nell’Unione Europea. Anche se lo stesso non è ancora stato definito compiutamente e probabilmente sarà ancora più stringente rispetto alla versione attuale, visto che la Germania e altri spingono in questa direzione, non c’è però dubbio che produrrà una nuova fase di austerità e taglio alla spesa sociale.
Secondo l’Ufficio parlamentare di Bilancio, il nuovo Patto di stabilità produrrebbe uno sforzo aggiuntivo per cui l’avanzo primario di bilancio, cioè la differenza fra spesa pubblica ed entrate al netto del costo degli interessi sul debito pubblico, dovrebbe collocarsi tra il 2,8 e il 3,2% del PIL, pari ad una restrizione tra i 18 e i 27 mld di € all’anno, colpendo in particolare la spesa pensionistica, quella sanitaria e per i contratti del pubblico impiego.
In ogni caso, il punto di fondo è che provare a fermare la destra lo si può fare solo se si riprende a stare e a ripartire dalla società, ridando centralità ai diritti sociali, oltre a quelli civili. Per questo è stata importante la manifestazione del 24 giugno e quella annunciata per il 30 settembre, sempre dalla CGIL e da un nucleo consistente di Associazioni e movimenti sociali, contro l’elezione diretta del capo dell’esecutivo, contro l’autonomia differenziata, per il lavoro e i diritti.
Solo una mobilitazione sociale e una ripresa di insediamento nei territori sui temi che riguardano la vita concreta delle persone può costituire un antidoto valido contro questa destra autoritaria e plebiscitaria, in questo senso neofascista, non certamente l’illusione che essa si ingarbugli da sola o l’idea che una semplice ripresa di alleanze politiche a sinistra sia in grado di invertire questa situazione.
Su questa prospettiva occorre impegnarsi, sapendo che essa non è da sola risolutiva – ci serve anche un pensiero e la costruzione di un’alternativa solida di contenuti, a partire dalla lotta per la pace e il disarmo – ma che, intanto, è una premessa necessaria da cui ripartire.
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Corrado Oddi
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