L’ultima ideologia
Alcuni sostengono che il secolo scorso sia stato il secolo delle ideologie; altri hanno parlato, a fine secolo, della fine delle ideologie. Certo è che esse sono state protagoniste della politica moderna e hanno caratterizzato il conflitto nelle società di massa in tutta l’epoca industriale. Tra queste le varie forme di socialismo (comunismo, socialdemocrazia, etc.) e le varie forme di fascismo (nazionalsocialismo, franchismo, peronismo, etc…).
Per certi versi le forme ideologiche etichettate frettolosamente come “destra” e “sinistra”, sono sorte in occidente nell’ambito e – per certi versi – come reazione al capitalismo e alla teoria politica sul quale esso si fonda, diventata a sua volta ideologia: il liberalismo (nelle sue varie declinazioni). In quanto forma ideologica esso stesso, il liberalismo appunto, si è dimostrato il più aderente al determinismo della modernità con il suo sogno di sottomettere il mondo alla ragione umana: oggi si presenta ancora – o meglio: viene esibito dal pensiero mainstream – come l’ideologia unica e apparentemente senza rivali che intende, vuole e deve dominare il mondo.
L’ideologia vincente: il liberalismo
Il cosiddetto crollo delle ideologie ha dunque, in realtà, lasciato campo libero ad un’unica ideologia che oggi, in occidente, è talmente pervasiva da essere data non solo per assolutamente scontata ma addirittura coincidente con la realtà fattuale che ognuno sperimenta quotidianamente.
Questa grande ideologia, fortemente radicata nell’economia grazie alla decantata superiorità dei mercati, così come descritta negli ultimi decenni dalla teoria economica neo-liberista forgiata dai Chicago boys, si è posta dopo il crollo del muro di Berlino e ancora si pone per molti come l’unica via possibile, l’unico approccio “razionale e scientifico”, l’unico baluardo democratico, per garantire il futuro del mondo; una narrazione che non ammetteva e per molti non ammette ancora, alcuna possibile alternativa (come sosteneva la Thatcher: “there is no alternative”, non ci sono alternative).
La forza e la pervasività di questa ideologia è stata (ed è) tale, da aver penetrato ogni ambito sociale fino alla sua radice antropologica; in questa forma culturale è diventata per molti un habitus, un terreno dal quale sorgono le idee comuni care al mainstream, un flusso che investe l’umanità, apportando cambiamenti che ne mettono in discussione la stessa sua natura.
La società mercato
Tutto ha un prezzo, tutto può essere venduto o scambiato, la società stessa è un mercato fatto di imprese e di una sterminata massa di singoli individui la cui unica virtù è quella di consumare: “la società non esiste, esistono solo gli individui” (è un altro asserto famoso attribuito alla Thatcher).
Non è un caso che – in assenza di ideologie alternative credibili a questa forma di liberalismo – ogni idea contraria che in qualche modo si contrapponga a tale narrazione viene ricondotta rozzamente al fascismo o al comunismo sconfitti (e quindi fatti fuori dalla storia con disonore), quando non immediatamente squalificata, e bollata come complottismo o dietrologia: in assenza di un’ideologia alternativa manca infatti una cornice alternativa capace di mostrare i “fatti” da una differente e più che lecita prospettiva.
Non è un caso che, con la caduta del muro, Francis Fukuyama ipotizzasse, in un celebre saggio, la “Fine della storia”: titolo forte che altro non significava se non che la fine delle ideologie comportava il trionfo definitivo ed irreversibile delle democrazie liberali (occidentali) ovvero l’instaurarsi a livello globale di una ideologia unica e definitiva. Fukuyama, a onor del vero, metteva anche in risalto – lucidamente – i grandi rischi connessi a questa trasformazione; noi possiamo solo ricordare che, per definizione, ogni ideologia dominante è, e non può essere altro che, l’ideologia della classe dominante.
In estrema sintesi, il liberalismo che ha penetrato la cultura a livello globale può essere (oggi) inteso da un lato, come una dottrina economica-sociale che tende a fare del mercato autoregolato il paradigma di tutti i fatti sociali; dall’altro, una dottrina che si fonda su un antropologia individualista che descrive l’uomo non come essere fondamentalmente sociale ma come essere orientato egoisticamente.
L’applicazione di questi due dettami teorici alla vita politica e sociale è fortemente riduzionista: tende a limitare il politico, riducendolo, di fatto, alle regole di funzionamento dei mercati; tende a limitare il sociale riducendolo alla mera logica dello scambio commerciale.
Spinta alle estreme conseguenze, questa ideologia risolve l’intera società nell’economia che a sua volta cade sotto il dominio pieno della finanza: di fronte a questo mostro impersonale e razionale, sempre più digitalizzato e automatizzato, sta (o dovrebbe stare) il singolo individuo: egoista si, e libero consumatore di tutto, ma ormai sempre più disconnesso dai legami identitari capaci di generare senso e appartenenza, siano essi la cultura, la storia, la nazionalità, la comunità, la religione, la famiglia o il genere stesso.
Individualismo egoista e diritti umani (astratti)
La dottrina astratta e ideologizzata dei diritti umani (universali) è il necessario corollario dell’individualismo egoista (astratto) su cui si fonda il liberalismo con la sua narrazione dominante: accettato l’uno diventa indispensabile l’altra per garantire un minimo di fiducia in un mondo sempre più incapace di generare identità forti e autodeterminate, mondo iper competitivo (homo homini lupus) regolato dai mercati e gestito attraverso la logica impersonale del diritto e del contratto commerciale.
Onnipresenza del libero mercato e pervasività degli astratti diritti umani universali rappresentano le due facce della stessa medaglia che ben descrive l’essenza dell’ideologia liberalista oggi ancora dominante, seppure in drammatica crisi; l’uno e l’altro sono intesi come astrazioni disincarnate, calcolabili e razionalizzate, ben lontane dalla concreta densità dei rapporti umani vissuti e delle concrete relazioni personali che essi hanno svuotato e sostituito nel corso dello sviluppo della modernità. Un vuoto che le ideologie sconfitte, di destra e di sinistra, avevano riempito con l’idea dell’uomo nuovo, della società giusta, della razza superiore, della tradizione, dei valori eterni, del sol dell’avvenire…
Rispetto a tutto questo, le ideologie sconfitte (di destra e di sinistra) conservavano – bene o male – alcuni aspetti di ordine ancora comunitario e comunque sociale:
l’idea di classe, dell’unione tra i lavoratori animati da valori comuni e uno scopo condiviso da un lato (comunismo);
l’idea di una identità storica e culturale tra gli abitanti di un dato territorio dall’altro (fascismo).
Il liberismo ha eliminato completamente l’uno e l’altro proponendo e creando un mondo di individui mobili e non radicati a nulla, ma portatori di diritti astratti e generali. Un mondo che pretende di essere unico, globale, calcolabile e uniformato dalla fede cieca nel mercato impersonale, nel progresso e nella “scienza”.
Destra e Sinistra, le ideologie sconfitte
Eppure, destra e sinistra – o meglio: persone con ideologie di destra e di sinistra – continuano ad esistere e non mancano di mettere in scena, scontrandosi e accusandosi ferocemente, le loro presunte differenze, i loro conclamati valori. Destra e sinistra attuali che, in qualche modo, sono eredi deboli di quelle ideologie sconfitte e, in Italia, pallide e dubbie prosecuzioni delle due grandi narrazioni che avevano caratterizzato il dopoguerra (quella bianca di impronta cattolica e quella rossa, di matrice comunista) mantengono oggi un loro peso nella distribuzione del potere politico secondo una retorica conflittuale che è pero superficiale e non sostanziale. In altre parole, esse, nel contesto culturale liberalista e liberista, non possono più presentarsi come possibili modalità alternative di organizzazione della società basate su differenti principi.
Le forze politiche (partiti) che si auto-definiscono Destra e Sinistra possono ascendere al potere parlamentare se e solo se accettano a priori l’ideologia liberalista e il dogma economico che ne è corollario; se si piegano, in altre parole, alla narrazione liberista e al potere dei mercati e, dunque, delle élites transnazionali che li gestiscono.
In tale situazione Destra e Sinistra – non potrebbe essere altrimenti – contribuiscono ad implementare l’agenda liberalista, occidentale, mondialista e globalista sviluppandone alcune componenti essenziali.
La narrazione di destra, mediamente, sostiene e ha promosso, a parole, il primato del libero mercato, la competizione, il liberismo economico, il merito, il primato delle imprese e del privato sul pubblico, la superiorità culturale occidentale e l’esportazione della democrazia, la famiglia e la tradizione; sostiene al contempo la difesa dei confini e lo stato (nazione) ignorando o facendo finta di non sapere che i mercati, per come si sono sviluppati su scala globale, non accettano confini di sorta.
La narrazione di sinistra, mediamente, sostiene e ha promosso a parole i diritti universali, l’Agenda 2030, la tutela delle minoranze, le libere migrazioni, il diritto di scelta di genere, di inizio e fine vita: così facendo contribuisce alla demolizione di ogni confine e di ogni identità, favorisce la distruzione di ogni legame tradizionale che potrebbe opporsi al libero dispiegarsi del mercato, che può così penetrare in zone sempre più intime dell’umano, con enormi margini di profitto.
A livello globale, se negli anni ’80 era stata la destra a sostenere fortemente l’agenda liberalista con le privatizzazioni forzate, la deregolamentazione, lo smantellamento dello stato sociale e l’esportazione violenta delle democrazie liberali (Con Reagan, Thatcher e quindi i Bush) in nome di una presunta superiorità culturale e morale, in questo particolare periodo storico è la sinistra con le sue istanze culturali ad essere assolutamente funzionale al pieno dispiegarsi dell’ideologia liberalista, mondialista ed economicamente neo-liberista.
Osservate spassionatamente, destra e sinistra (in Italia), appaiono dunque (oggi) come sovrastrutture organizzate per acquisire potere locale, ma incapaci di esprimere una reale alternativa al modello dominante, dal quale dipendono pienamente: entrambe vengono giudicate in base agli indici finanziari ed economici posti da forze esterne che in ogni momento possono attaccarle e travolgerle con un mirato attacco finanziario; entrambe, più o meno consciamente, stanno sostenendo nei fatti l’ideologia liberalista accettando pienamente i meccanismi e i poteri economici e finanziari che ne stanno a fondamento.
Lo scontro politico tra destra e sinistra in realtà si gioca tutto nel quadro ideologico e culturale del liberalismo e, in ultima istanza, contribuisce a rafforzarlo.
Una nuova grande narrazione
Ora, non si può non vedere come il Liberismo (e Neoliberismo) – quel modello che Fukuyama vedeva come (probabilmente) definitivo – sia oggi in drammatica crisi.
Restando in Italia, sul versante interno lo attestano i populismi di destra e di sinistra, la profonda crisi di valori, la delusione di molti, l’impoverimento delle classi medie, la percezione sempre più netta che esso non sia in grado di mantenere gli impegni e le aspettative che ha costruito e diffuso.
Sul versante esterno, a livello geopolitico, lo attestano al di là di ogni dubbio le guerre che insanguinano il mondo e la presenza di potenze nazionali che non vogliono piegarsi alla cultura liberalista e al libero mercato gestito dall’occidente; a livello antropologico lo confermano i miliardi di persone che se ne stanno fuori dal sistema occidentale subendone concretamente gli effetti perversi; masse sterminate che si pongono di fronte alla grande ideologia con la pura e semplice potenza biologica del numero, con la forza bruta della demografia che tanto spaventa l’occidente.
Ora più che mai, a fronte di tutto questo, servirebbe una nuova grande narrazione, realmente indipendente, veramente democratica, per orientare verso un diverso cambiamento; servirebbe forse un’utopia capace di dare speranza al futuro e dignità al presente.
Purtroppo, una grande narrazione si sta oggi imponendo, ma non viene democraticamente dal basso: viene invece imposta dall’alto, con tutta la potenza dei media e delle nuove tecnologie, confezionata in modo mirato dagli stessi poteri che pretendono di guidare il mondo al di fuori di ogni reale controllo democratico.
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Bruno Vigilio Turra
Commenti (15)
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in larga parte condivido l’analisi, credo che il vero punto sia che gran parte delle destra e gran parte della sinistra (purtroppo) abbiano sposato l’assioma neoliberista. la mancanza di conflitto fra destra e sinistra ha creato questo informe blob che accumuna maggioranze e opposizioni. Riprendere in mano l’utopia e renderla un percorso di scelta e di svolta per una sinistra debole e estremamente moderata, il punto di arrivo di un percorso sepolto troppo in fretta.
Liberalismo (sul versante culturale) e liberismo (sul piano economico) hanno profondamente pervaso ogni strato sociale escludendo di fatto ogni possibile alternativa. Non è un caso che la qualità dell’operato di ogni governo (di destra o sinistra) dipenda in ultima istanza dalla massimizzazione (o minimizzazione) di parametri finanziari (debito pubblico, PIL, spread, rating); non è un caso che qualsiasi governo che non si allinei all’agenda imposta dall’esterno venga attaccato finanziariamente, delegittimato dai media e quindi sostituito con persone (“tecnici”) che provengono da quello stesso mondo finanziario. In Italia dovremo saperlo molto bene. Cosi succede in occidente: ma in altri paesi esterni che non si allineano i mezzi sono assai più diretti, spicci e violenti: eliminazione fisica, rivoluzione, guerra. E anche questo lo dovremmo sapere molto bene per averlo visto molte volte negli ultimi decenni. Lei ha ragione: bisogna “riprendere in mano l’utopia” e costruire percorsi che siano davvero innovativi…
tutto vero. concordo. solo che assisto con gioia alla nascita di piccole comunità che vibrano su altre frequenze, che comunicano realtà differenti e sento che questo so sta allargando e contagia sempre più comunità. è così che si sta affacciando un nuovo mondo. senza clamore, come Gesù nella stalla di Betlemme, ma che rivoluzionerà la storia.
Piccole comunità intenzionali, esperienze sedicenti alternative, in Italia ce ne sono sicuramente; poche tra esse però possono essere definite davvero innovative, portatrici di istanze autentiche ed originali. Troppe tra di esse invece, condividono pezzi consistenti della narrazione mainstream, aderiscono a principi politicamente corretti, si fondano sulla mera contrapposizione ideologica. In molti casi sostengono pienamente la nuova narrazione imposta dall’alto senza averne alcuna consapevolezza. Sicuramente un tema da approfondire…
L’intervento di Bruno Turra è estremo, provocatorio e condivisibile. E’ vero che il paradigma liberista (il Pensiero Unico) comanda la politica e i media, ed è vero che (in Italia e in tutto il mondo) Destra e Sinistra e i partiti che tradizionalmente si rifanno alle ideologie novecentesche, si muovono dentro il paradigma liberista e le sue regole economiciste. Resta da dire qualcosa su questa “necessaria nuova grande narrazione” (che chiude l’intervento di Turra) che potrebbe e dovrebbe opporsi efficacemente al Pensiero Unico Dominante. Di questo “nuovo” oggi si vedono solo timidi germogli. Quel che io riesco a vedere e a capire è che questa nuova narrazione dovrà essere necessariamente “di sinistra”, che dovrà cioè riutilizzare molti materiali della antica sinistra (dal Quarto Stato in avanti), e che dovrà rivalutare a pieno la categoria dell’Utopia (profezia). C’è poi un nodo fondamentale, e cioè: chi sarà il “nuovo” soggetto che incarnerà e rappresenterà la “nuova” narrazione? Non certo “il partito”, visto che il moderno principe di Gramsci è oggi in una crisi irreversibile. Dobbiamo cominciare e pensare a “un mondo nuovo” (l’utopia) senza partiti, senza Stati Nazionali con una tecnica e una economia subordinate al bene stare, alla salvaguardia del pianeta e alla poesia. Insomma, per chi ha ancora voglia di nuovo, il XXI secolo si presenta con un menù complicato ma affascinante.
La “grande narrazione” – imposta dall’alto – esiste già e viene diffusa a piena mani attraverso gli scritti di Klaus Scwab e del WEF World economic Forum, di Soros e della Open Society; viene insegnata nelle scuole attraverso l’Agenda 2030, trova ampio spazio perfino nelle encicliche papali. Curiosamente questa narrazione ottimistica e positiva (dall’alto) va a braccetto con la paura indotta dai media (sul basso) e nasconde l’aspetto più importante: quello del potere e della immancabile violenza con cui esso viene imposto ed esercitato. Questa “grande narrazione” viene oggi proposta ed imposta dai potentati economico finanziari (e da grandi burocrazie) che nessuno ha mai eletto e che nessuno può controllare democraticamente. Piaccia o meno alla fine di questo percorso – che implica l’abbattere ogni forma di confine e di tradizione (cultura) – non può esservi altro che un enorme potere impersonale esercitato tramite l’onnipotenza delle tecnologie, a fronte del quale sta il singolo individuo isolato, senza storia e senza identità (prossimamente modificato nella forma del cyborg imperconnesso). Miliardi di individui grigi e fungibili che credono di essere liberi di fronte al potere assoluto.
Se un altra narrazione è possibile – e lo è – deve fondarsi su presupposti differenti rispetto a quelli sui quali si fonda questa “grande narrazione” che porta alle estreme e logiche conseguenze gli assunti della modernità occidentale: va reinventata magari attingendo anche a tradizioni ed esperienze disperse che stanno fuori e prima della modernità; soprattutto deve partire da una rivoluzione dello sguardo che porti a guardare e fare chiarezza dentro di sè. Una nuova narrazione si può costruire solo forgiando nuovi concetti, analizzando criticamente e, almeno in parte, rigettando termini, concetti, assunti e pratiche della “grande narrazione” dominante.
Pezzo che dice cose note, ma lo fa con la chiarezza di chi unisce i puntini, a metà tra lo storico e il sociologico. Che la sinistra italiana sia orfana di un’ ideologia è chiaro almeno dal 1984, quando morì Berlinguer e un terzo d’Italia si rese conto che non era comunista, ma berlingueriana. Tutti i tentativi di rinnovamento successivi si sono mossi su un piano inclinato: l’autorevolezza dell’uomo (peraltro di difficile reperimento in questi ultimi 40 anni, a parte qualche eccezione anch’essa travolta dagli eventi: per citarne uno, dico Bruno Trentin) non bastava più, e forse a Berlinguer il destino ha risparmiato di essere inghiottito pure lui dal tumultuoso prevalere del mercato globale.
Fatto salve alcune rare eccezioni, credo che tutta la cosiddetta sinistra sia da molti anni ormai l’ala culturale del liberalismo e del liberismo economico: senza il sostegno del progressismo di sinistra l’intero edificio liberista, mondialista e globalista, (marxianamente parlando) crollerebbe su se stesso di fronte alle sue stesse contraddizioni. Non credo di sbagliare di tanto – e lo dico senza giudizio – dicendo che la cancel culture, il politically correct, le teorie gender e woke (etc.) siano il prodotto di una certa sinistra, e che queste tesi – giuste o sbagliate che siano, condivisibili o meno che siano – si sposino perfettamente con l’idea del libero mercato, dell’individuo sovrano consumatore slegato da ogni tipo di legame ascritto. Sarebbe interessante capire come questo è successo (se c’è stato insomma un tradimento di ideali) ovvero se questa deriva fosse in qualche modo implicita nelle teorie di sinistra fin dall’inizio (l’esito attuale ne sarebbe insomma uno sviluppo coerente).
Sono necessariamente figlio della letteratura novecentesca, come tutti noi del resto. E da essa, dalle sue mille testimonianze, ho tratto la mia visione del mondo. Perciò le mie radici sono impregnate del dualismo storico tra destra e sinistra, dualismo che non può essere confinato soltanto alla politica ma che in fondo abbraccia un’intera filosofia di vita. Per gente come me è stato difficile vivere e accettare il cambiamento epocale avvenuto negli ultimi trent’anni, cambiamento i cui prodromi, a dire il vero, sono iniziati ancora prima che nascessi. Per questo, credo, la mia generazione ha vissuto e sta vivendo quest’epoca in modo così schizofrenico: artefice del cambiamento e al tempo stesso incapace di accettarlo. Riflettendo, se guardiamo indietro nella storia possiamo vedere come il liberismo esistesse già ancor prima della nascita delle due ideologie che hanno dominato il Novecento, e che queste ideologie fossero nate per contrastarlo. Sappiamo poi com’è andata perché noi stessi ne siamo gli attori e testimoni viventi. Credo che il liberismo abbia vinto semplicemente perché non è stato compromesso da dottrine di appartenenza, perché ha saputo attingere concetti sia di destra che di sinistra diventando in qualche modo super partes. È stata la sua natura fluida e non facilmente etichettabile a renderlo vincente e ben radicato nella società. Oggi gli errori del comunismo e del fascismo ci appaiono talmente chiari e scontati che nemmeno ci chiediamo più quali siano state le ragioni profonde della loro sconfitta. Eppure il neoliberismo che oggi sta dominando la società globale, nella sua camaleontica fluidità, ha attinto a piene mani da entrambi. La politica, come giustamente sottolinei tu Bruno, appare imbelle di fronte a tutto ciò. La politica è ridotta al ruolo di semplice imbonitore e, per essere eletta, si serve delle leve sentimentali di destra e sinistra che ancora fanno breccia nei cuori di una società sempre più passiva e incapace di reagire alla lobotomizzazione imposta da un potere diventato sempre più impersonale e perciò impossible da contrastare e abbattere.
Caro Bruno, la vedo dura…
Certamente, ma forse proprio per questo, oggi, bisogna trovare nuovi modi di concepire la realtà. di immaginare la politica, di pensare la natura dell’essere umano. Se un unica, narrazione, un unica teoria, un unico linguaggio, un unico POTERE che può avvalersi delle enormi potenzialità delle tecnologie per esercitare un controllo assoluto, dovessero dominare tutto il mondo e tutti i popoli ci troveremo in un incubo dal quale sarebbe impossibile uscire, impossibile perfino pensare staccarsi. Un incubo per altro preconizzato e quasi previsto dalla letteratura distopica. Una cosa mai successa nella storia perchè da ogni regime, da ogni cultura restrittiva (finora) è sempre stato possibile scappare per andare a vivere in un’altra.
Tutto giusto Bruno, ma è’ sbagliato sostenere una perfetta simmetria tra le tue ideologie sconfitte. Dalla cultura ed ideologia socialista-comunista-cooperativista-sindacale, cioè da quella ideologia di Sinistra nata a metà dell’Ottocento per contrastare gli orrori della prima rivoluzione industriale, occorre recuperare (innovandoli) molti materiali per costruire una nuova grande narrazione. Nel mio commento precedente citavo non a caso “Il Quarto Stato” di Pelizza da Volpedo: era per nominare uno dei mattoni fondamentali da recuperare: la “Eguaglianza”, contro la “Diseguaglianza” che è il diktat del Neoliberismo, come della vecchia cultura della Destra. Quindi è vero che le due antiche ideologie sono oggi entrambe sconfitte, può essere perfino affascinante il tuo tentativo di metterle sullo stesso piano, ma Destra e Sinistra rimangono diametralmente opposte e alternative. Non solo, Destra e Sinistra rappresentano l’approdo finale di un Neoliberismo oggi vincente ma in crisi. Oggi, la direzione di marcia (con o senza il contributo della I. A.) ci porta alla sorveglianza e a un nuovo totalitarismo. Cioè dove? A Destra, naturalmente. Per immaginare un percorso diverso, una direzione alternativa (Verso l’uguaglianza, il collettivo, il dialogo, la democrazia partecipativa, l’accoglienza, la gentilezza…) occorre una Nuova Grande Narrazione, ma orientata a Sinistra e che faccia tesoro di 150 anni di lotte degli uomini e delle donne di buona volontà.
Non si può certo negare che una grande narrazione di sinistra sia possibile (per me: necessaria): purtroppo però, oggi, questa grande narrazione (con qualche eccezione) è esattamente quella dei poteri mondialisti e globalisti di radice liberalista e (neo) liberista: basta leggere coon cura i documenti del WEF e della OPEN society (tutto disponibile in internet e nelle librerie), dei partiti che si dichiarano di sinistra (centro sinistra), e confrontarli con i contenuti di molti grandi movimenti sedicenti di sinistra. Prima la cosidetta sinistra (e soprattutto le persone di sinistra) si renderanno conto di questo, prima si potrà costruire una narrazione alternativa. A meno che, ovviamente, essere di sinistra oggi, non significhi totale adesione alla cultura woke e politically correct, con l’obiettivo finale della ricostruzione della storia, della distruzione degli stati, e dell’instaurazione di un unico governo mondiale imposto – ovviamente – con la violenza. Un’idea questa sostenuta (guarda caso), seppure con modalità differenti partendo dalla superiorità degli stati occidentali, dalla destra in nome della superiorità della cultura occidentale. Per ora, riteniamoci fortunati di poterne discutere abbastanza liberamente provando a costruire qualcosa di nuovo. Su Periscopio – FerraraItalia ovviamente: ma il tempo stringe…
È un’analisi eccellente della situazione. La verità non si dice perché non si deve sapere ma siamo sotto una dittatura globale neoliberista, la dittatura del potere finanziario e dei mercati (mercati veri o finti, esistenti o non esistenti). Bisogna pensarci un po’ perché è una dittatura ma non deve apparire tale.
Dobbiamo essere anche consapevoli che oggi “Destra e Sinistra contribuiscono ad implementare l’agenda liberalista”, e questo aggrava l’attuale apparente assenza di alternative.
Non sono d’accordo con l’idea della “sconfitta delle ideologie”.
Le ideologie diverse da quella neoliberista non sono certo fallite; sono state messe al bando, represse, messe in un angolo, magari demonizzate, come regolarmente accade nei sistemi dittatoriali a tutto ciò che è contrario alle idee del potere dominante. Non sono fallite, ad esempio, l’ideologia socialista o quella cristiana, tanto per stare solo nell’ambito delle ideologie che, insieme a quella liberale, diedero vita alla Costituzione della Repubblica italiana.
L’unica ideologia sconfitta è forse quella comunista, caduta come tutte quelle che al centro del sistema non mettono l’uomo. Per questo è destinato all’inesorabile fallimento anche il sistema neoliberista. La vigente dittatura dei mercati; cadrà, dovrà cadere, ma dopo aver fatto chissà quanti danni.
Alla radice dei problemi c’è proprio il fatto di aver bandito le ideologie della politica. Nacquero, per questo, i partiti “post ideologici”, partiti senza una ideologia, dunque senza un’anima, privi di una ragione, di una causa forte per la quale far politica.
[In Italia, paradossalmente, Giorgia Meloni ha vinto perché in questo scenario, era rimasta l’unica, forse, a fare politica per un’idea, per un sistema di idee anche se reazionario e retrivo ma forse, a suo modo… un’ideologia.
Furono proprio le “élites transnazionali” che gestiscono il potere dei mercati a comandarci di fare come si fa ad esempio negli USA: due partiti, o meglio due fazioni, due gruppi di potere che si fronteggiano e si alternano al comando del paese (si spartiscono il Paese). Il bipolarismo non ha mai funzionato perché non era vocazione del nostro paese. Solo Berlusconi, a causa del suo narcisismo grave, interpretò a modo suo il bipolarismo tentando di dividere il paese in “quelli miei”, i buoni che mi ammirano, e “i cattivi”, quelli che non mi ammirano e dunque sono contro di me].
Effettivamente alcune ideologie vivono ancora: per rendersene conto basta parlare con le persone politicamente schierate. Tuttavia esse sono ormai incorporate all’interno di altro (dell’ultima ideologia globale occidentalista, appunto) di cui sono parte spesso senza che i sostenitori ne abbiano contezza. Basti a tale proposito leggere con cura i documenti e i libri più recenti del WEF di Davos: (purtroppo e sembra incredibile) vi si leggono (quasi) le stesse cose che sono argomentate nelle encicliche di Papa Bergoglio o che animano i movimenti di impronta ambientalista; in altre parole dopo aver subito grandi contestazioni e duri attacchi (dai movimenti no global ad esempio) il capitalismo dominante si è in qualche modo mpadronito anche di queste forze che erano o sembravano contrastarlo. Ma di questo conto di parlare in un prossimo articolo…
È un’analisi eccellente della situazione. La verità non si dice perché non si deve sapere ma siamo sotto una dittatura globale neoliberista, la dittatura del potere finanziario e dei mercati (mercati veri o finti, esistenti o non esistenti). Bisogna pensarci un po’ perché è una dittatura ma non deve apparire tale.
Dobbiamo essere anche consapevoli che oggi “Destra e Sinistra contribuiscono ad implementare l’agenda liberalista”, e questo aggrava l’attuale apparente assenza di alternative.
Non sono d’accordo con l’idea della “sconfitta delle ideologie”.
Le ideologie diverse da quella neoliberista non sono certo fallite; sono state messe al bando, represse, messe in un angolo, magari demonizzate, come regolarmente accade nei sistemi dittatoriali a tutto ciò che è contrario alle idee del potere dominante. Non sono fallite, ad esempio, l’ideologia socialista o quella cristiana, tanto per stare solo nell’ambito delle ideologie che, insieme a quella liberale, diedero vita alla Costituzione della Repubblica italiana.
L’unica ideologia sconfitta è forse quella comunista, caduta come tutte quelle che al centro del sistema non mettono l’uomo. Per questo è destinato all’inesorabile fallimento anche il sistema neoliberista. La vigente dittatura dei mercati; cadrà, dovrà cadere, ma dopo aver fatto chissà quanti danni.
Alla radice dei problemi c’è proprio il fatto di aver bandito le ideologie della politica. Nacquero, per questo, i partiti “post ideologici”, partiti senza una ideologia, dunque senza un’anima, privi di una ragione, di una causa forte per la quale far politica.
In Italia, paradossalmente, Giorgia Meloni ha vinto perché in questo scenario, era rimasta l’unica, forse, a fare politica per un’idea, per un sistema di idee anche se reazionario e retrivo ma forse, a suo modo… un’ideologia.
Furono proprio le “élites transnazionali” che gestiscono il potere dei mercati a comandarci di fare come si fa ad esempio negli USA: due partiti, o meglio due fazioni, due gruppi di potere che si fronteggiano e si alternano al comando del paese (si spartiscono il Paese). Il bipolarismo non ha mai funzionato perché non era vocazione del nostro paese. Solo Berlusconi, a causa del suo narcisismo grave, interpretò a modo suo il bipolarismo tentando di dividere il paese in “quelli miei”, i buoni che mi ammirano, e “i cattivi”, quelli che non mi ammirano e dunque sono contro di me».