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L’ultima ideologia

Alcuni sostengono che il secolo scorso sia stato il secolo delle ideologie; altri hanno parlato, a fine secolo, della fine delle ideologie. Certo è che esse sono state protagoniste della politica moderna e hanno caratterizzato il conflitto nelle società di massa in tutta l’epoca industriale. Tra queste le varie forme di socialismo (comunismo, socialdemocrazia, etc.) e le varie forme di fascismo (nazionalsocialismo, franchismo, peronismo, etc…).

Per certi versi le forme ideologiche etichettate frettolosamente come “destra” e “sinistra”, sono sorte in occidente nell’ambito e – per certi versi – come reazione al capitalismo e alla teoria politica sul quale esso si fonda, diventata a sua volta ideologia: il liberalismo (nelle sue varie declinazioni). In quanto forma ideologica esso stesso, il liberalismo appunto, si è dimostrato il più aderente al determinismo della modernità con il suo sogno di sottomettere il mondo alla ragione umana: oggi si presenta ancora – o meglio: viene esibito dal pensiero mainstream –  come l’ideologia unica e apparentemente senza rivali che intende, vuole e deve dominare il mondo.

L’ideologia vincente: il liberalismo

Il cosiddetto crollo delle ideologie ha dunque, in realtà, lasciato campo libero ad un’unica ideologia che oggi, in occidente, è talmente pervasiva da essere data non solo per assolutamente scontata ma addirittura coincidente con la realtà fattuale che ognuno sperimenta quotidianamente.

Questa grande ideologia, fortemente radicata nell’economia grazie alla decantata superiorità dei mercati, così come descritta negli ultimi decenni dalla teoria economica neo-liberista forgiata dai Chicago boys,  si è posta dopo il crollo del muro di Berlino e ancora si pone per molti come l’unica via possibile, l’unico approccio “razionale e scientifico”, l’unico baluardo democratico, per garantire il futuro del mondo; una narrazione che non ammetteva e per molti non ammette ancora, alcuna possibile alternativa  (come sosteneva la Thatcher: “there is no alternative”, non ci sono alternative).

La forza e la pervasività di questa ideologia è stata (ed è) tale, da aver penetrato ogni ambito sociale fino alla sua radice antropologica; in questa forma culturale è diventata per molti un habitus, un terreno dal quale sorgono le idee comuni care al mainstream, un flusso che investe l’umanità, apportando cambiamenti che ne mettono in discussione la stessa sua natura.

La società mercato

Tutto ha un prezzo, tutto può essere venduto o scambiato, la società stessa è un mercato fatto di imprese e di una sterminata massa di singoli individui la cui unica virtù è quella di consumare: “la società non esiste, esistono solo gli individui” (è un altro asserto famoso attribuito alla Thatcher).
Non è un caso che – in assenza di ideologie alternative credibili a questa forma di liberalismo – ogni idea contraria che in qualche modo si contrapponga a tale narrazione viene ricondotta rozzamente al fascismo o al comunismo sconfitti (e quindi fatti fuori dalla storia con disonore), quando non immediatamente squalificata, e bollata come complottismo o dietrologia:  in assenza di un’ideologia alternativa manca infatti una cornice alternativa capace di mostrare i “fatti” da una differente e più che lecita prospettiva.

Non è un caso che, con la caduta del muro, Francis Fukuyama ipotizzasse, in un celebre saggio, la “Fine della storia”: titolo forte che altro non significava se non che la fine delle ideologie comportava il trionfo definitivo ed irreversibile delle democrazie liberali (occidentali) ovvero l’instaurarsi a livello globale di una ideologia unica e definitiva. Fukuyama, a onor del vero, metteva anche in risalto – lucidamente – i grandi rischi connessi a questa trasformazione; noi possiamo solo ricordare che, per definizione, ogni ideologia dominante è, e non può essere altro che, l’ideologia della classe dominante.

In estrema sintesi, il liberalismo che ha penetrato la cultura a livello globale può essere (oggi) inteso da un lato, come una dottrina economica-sociale che tende a fare del mercato autoregolato il paradigma di tutti i fatti sociali; dall’altro, una dottrina che si fonda su un antropologia individualista che descrive l’uomo non come essere fondamentalmente sociale ma come essere orientato egoisticamente.
L’applicazione di questi due dettami teorici alla vita politica e sociale è fortemente riduzionista: tende a limitare il politico, riducendolo, di fatto, alle regole di funzionamento dei mercati; tende a limitare il sociale riducendolo alla mera logica dello scambio commerciale.

Spinta alle estreme conseguenze, questa ideologia risolve l’intera società nell’economia che a sua volta cade sotto il dominio pieno della finanza: di fronte a questo mostro impersonale e razionale, sempre più digitalizzato e automatizzato, sta (o dovrebbe stare) il singolo individuo: egoista si, e libero consumatore di tutto, ma ormai sempre più disconnesso dai legami identitari capaci di generare senso e appartenenza,  siano essi la cultura, la storia, la nazionalità, la comunità, la religione, la famiglia o il genere stesso.

Individualismo egoista e diritti umani (astratti)

La dottrina astratta e ideologizzata dei diritti umani (universali) è il necessario corollario dell’individualismo egoista (astratto) su cui si fonda il liberalismo con la sua narrazione dominante: accettato l’uno diventa indispensabile l’altra per garantire un minimo di fiducia in un mondo sempre più incapace di generare identità forti e autodeterminate, mondo iper competitivo (homo homini lupus) regolato dai mercati e gestito attraverso la logica impersonale del diritto e del contratto commerciale.

Onnipresenza del libero mercato e pervasività degli astratti diritti umani universali rappresentano le due facce della stessa medaglia che ben descrive l’essenza dell’ideologia liberalista oggi ancora dominante, seppure in drammatica crisi; l’uno e l’altro sono intesi come astrazioni disincarnate, calcolabili e razionalizzate, ben lontane dalla concreta densità dei rapporti umani vissuti e delle concrete relazioni personali che essi hanno svuotato e sostituito nel corso dello sviluppo della modernità. Un vuoto che le ideologie sconfitte, di destra e di sinistra, avevano riempito con l’idea dell’uomo nuovo, della società giusta, della razza superiore, della tradizione, dei valori eterni, del sol dell’avvenire

Rispetto a tutto questo, le ideologie sconfitte (di destra e di sinistra) conservavano – bene o male – alcuni aspetti di ordine ancora comunitario e comunque sociale:
l’idea di classe, dell’unione tra i lavoratori animati da valori comuni e uno scopo condiviso da un lato (comunismo);
l’idea di una identità storica e culturale tra gli abitanti di un dato territorio dall’altro (fascismo).
Il liberismo ha eliminato completamente l’uno e l’altro proponendo e creando un mondo di individui mobili e non radicati a nulla, ma portatori di diritti astratti e generali.
Un mondo che pretende di essere unico, globale, calcolabile e uniformato dalla fede cieca nel mercato impersonale, nel progresso e nella “scienza”.

Destra e Sinistra, le ideologie sconfitte

Eppure, destra e sinistra – o meglio: persone con ideologie di destra e di sinistra – continuano ad esistere e non mancano di mettere in scena, scontrandosi e accusandosi ferocemente, le loro presunte differenze, i loro conclamati valori. Destra e sinistra attuali che, in qualche modo, sono eredi deboli di quelle ideologie sconfitte e, in Italia, pallide e dubbie prosecuzioni delle due grandi narrazioni che avevano caratterizzato il dopoguerra (quella bianca di impronta cattolica e quella rossa, di matrice comunista) mantengono oggi un loro peso nella distribuzione del potere politico secondo una retorica conflittuale che è pero superficiale e non sostanziale. In altre parole, esse, nel contesto culturale liberalista e liberista, non possono più presentarsi come possibili modalità alternative di organizzazione della società basate su differenti principi.
Le forze politiche (partiti) che si auto-definiscono Destra e Sinistra possono ascendere al potere parlamentare se e solo se accettano a priori l’ideologia liberalista e il dogma economico che ne è corollario; se si piegano, in altre parole, alla narrazione liberista e al potere dei mercati e, dunque, delle élites transnazionali che li gestiscono.

In tale situazione Destra e Sinistra – non potrebbe essere altrimenti –  contribuiscono ad implementare l’agenda liberalista, occidentale, mondialista e globalista sviluppandone alcune componenti essenziali.
La narrazione di destra, mediamente,  sostiene e ha promosso, a parole, il primato del libero mercato, la competizione, il liberismo economico, il merito, il primato delle imprese e del privato sul pubblico, la superiorità culturale occidentale e l’esportazione della democrazia, la famiglia e la tradizione; sostiene al contempo la difesa dei confini e lo stato (nazione) ignorando o facendo finta di non sapere che i mercati, per come si sono sviluppati su scala globale, non accettano confini di sorta.
La narrazione di sinistra, mediamente, sostiene e ha promosso a parole i diritti universali, l’Agenda 2030, la tutela delle minoranze, le libere migrazioni, il diritto di scelta di genere, di inizio e fine vita: così facendo contribuisce alla demolizione di ogni confine e di ogni identità, favorisce la distruzione di ogni legame tradizionale che potrebbe opporsi al libero dispiegarsi del mercato, che può così penetrare in zone sempre più intime dell’umano, con enormi margini di profitto.

A livello globale, se negli anni ’80 era stata la destra a sostenere fortemente l’agenda liberalista con le privatizzazioni forzate, la deregolamentazione, lo smantellamento dello stato sociale e l’esportazione violenta delle democrazie liberali (Con Reagan, Thatcher e quindi i Bush) in nome di una presunta superiorità culturale e morale, in questo particolare periodo storico è la sinistra con le sue istanze culturali ad essere assolutamente funzionale al pieno dispiegarsi dell’ideologia liberalista, mondialista ed economicamente neo-liberista.

Osservate spassionatamente, destra e sinistra (in Italia), appaiono dunque (oggi) come sovrastrutture organizzate per acquisire potere locale, ma incapaci di esprimere una reale alternativa al modello dominante, dal quale dipendono pienamente: entrambe vengono giudicate in base agli indici finanziari ed economici posti da forze esterne che in ogni momento possono attaccarle e travolgerle con un mirato attacco finanziario;  entrambe, più o meno consciamente, stanno sostenendo nei fatti l’ideologia liberalista accettando pienamente i meccanismi e i poteri economici e finanziari che ne stanno a fondamento.
Lo scontro politico  tra destra e sinistra in realtà si gioca tutto nel quadro ideologico e culturale del liberalismo e, in ultima istanza, contribuisce a rafforzarlo.

Una nuova grande narrazione

Ora, non si può non vedere come il Liberismo (e Neoliberismo) – quel modello che Fukuyama vedeva come (probabilmente) definitivo – sia oggi in drammatica crisi.
Restando in Italia, sul versante interno lo attestano i populismi di destra e di sinistra,  la profonda crisi di valori, la delusione di molti, l’impoverimento delle classi medie, la percezione sempre più netta che esso non sia in grado di mantenere gli impegni e le aspettative che ha costruito e diffuso.
Sul versante esterno, a livello geopolitico, lo attestano al di là di ogni dubbio le guerre che insanguinano il mondo e la presenza di potenze nazionali che non vogliono piegarsi alla cultura liberalista e al libero mercato gestito dall’occidente; a livello antropologico lo confermano i miliardi di persone che se ne stanno fuori dal sistema occidentale subendone concretamente gli effetti perversi; masse sterminate che si pongono di fronte alla grande ideologia con la pura e semplice potenza biologica del numero, con la forza bruta della demografia che tanto spaventa l’occidente.

Ora più che mai, a fronte di tutto questo, servirebbe una nuova grande narrazione, realmente indipendente, veramente democratica, per orientare verso un diverso cambiamento; servirebbe forse un’utopia capace di dare speranza al futuro e dignità al presente.
Purtroppo, una grande narrazione si sta oggi imponendo, ma non viene democraticamente dal basso:  viene invece imposta dall’alto, con tutta la potenza dei media e delle nuove tecnologie, confezionata in modo mirato dagli stessi poteri che pretendono di guidare il mondo al di fuori di ogni reale controllo democratico.

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Bruno Vigilio Turra

È sociologo laureato a Trento. Per lavoro e per passione è consulente strategico e valutatore di piani, programmi e progetti; è stato partner di imprese di ricerca e consulenza e segretario della Associazione italiana di valutazione. A Bolzano ha avuto la fortuna di sviluppare il primo progetto di miglioramento organizzativo di una Procura della Repubblica in Italia. Attualmente libero professionista è particolarmente interessato alle dinamiche di apprendimento, all’innovazione sociale, alle nuove tecnologie e al loro impatto sulla società. Lavora in tutta Italia e per scelta vive tra Ferrara e le Dolomiti trentine.

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