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Lo stesso giorno. Italia-Germania 4 a 3: la vittoria del bianco e nero

17 giugno 1970, stiamo parlando della partita di calcio più famosa della storia d’Italia. Una partita giocata più di mezzo secolo fa e continuamente celebrata, rivista, ricordata, tramandata.

Italia-Germania 4 a 3, definita “la partita del secolo”, una partita vinta rocambolescamente, ma pur sempre e solo una semifinale (pochi giorni dopo, in finale, il Brasile stellare  di Pelé e Rivelino ci rifilò un secco 4 a 1 ), che però si impone e supera nel ricordo la vittoria ai Mondiali in Spagna del 1982, dei Mondiali in Germania del 2006, o del recente Europeo del 2020.
Resta da capire il perché.
Ma prima è obbligatorio trascrivere le formazioni in campo.

Gli Italiani: eroi, gladiatori, indimenticabili campioni
Albertosi, Burgnich, Facchetti, Bertini, Rosato (Poletti dal 90’), Cera, Domenghini, Mazzola (Rivera dal 45’), De Sisti, Riva, Boninsegna. Allenatore: Ferruccio Valcareggi

I Tedeschi: gli avversari, i crucchi, i panzer
Maier, Patzke (Held dal 63’), Schnellinger, Schulz, Beckenbauer, Grabowski, Overath, Vogts, Seeler, Müller, Löhr (Libuda dal 63’). La Germania è allenata da Helmut Schön.

Anche la location ha qualcosa di arcano e di mitico, Si gioca allo Stadio Azteca di Città dl Messico, 2220 metri sopra il livello del mare. Alta montagna. Aria rarefatta. Fatica doppia.

Scorcio dello Stadio Azteca di Città del Messico

Dei protagonisti di Messico 70, Vicecampioni ma subito promossi Campioni per sempre, è rimasto solo qualche superstite, Gianni Rivera l’Abatino, Bonimba Boninsegna.  A gennaio se n’è andato anche Gigi Riva, il Rombo di tuono si è spento. Ma la memoria di quella storica battaglia calcistica invece di sbiadire si è trasformata in leggenda.

Era il 1970, solo 25 anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ma era solo una partita di calcio, non credo che gli italiani abbiano vissuto quella vittoria come una sorta di rivincita sulla feroce occupazione tedesca. Piuttosto come una risposta liberatoria, un contrappasso per il trattamento riservato alle decine di migliaia di italiani emigrati in terra di Germania. Ci chiamate terroni? Fannulloni? Pizza e mandolino? Ecco qua: Italia-Germania 4 a 3!

Ma più di tutto, allora come oggi, il moltiplicatore del mito é il bianco e nero. La Tivù a colori sarebbe arrivata solo nel 1977. E per fortuna: con tutti i colori, le cento inquadrature e gli inutili commenti di oggi,  quella partita e quella squadra le avremmo dimenticate in fretta.

La formazione azzurra. Mitica, è il caso di aggiungere
Post scriptum
Ho qualche amico e parecchie amiche che il calcio, non il business, ma proprio il gioco del calcio, non lo possono proprio vedere. Non lo guardano, non lo capiscono, non lo sopportano. Pazienza, non sarò certo io a fargli cambiare idea. A quelli però che mi dicono: Come fai a scrivere su Kafka [qui ad esempio] e la settimana dopo ti perdi dietro 22 in calzoncini che vanno dietro a una palla? A loro lascio qualche riga di un grande scrittore argentino prematuramente scomparso, Osvaldo Soriano, che ha scritto di vita, di amore di morte, e molto e in modo impareggiabile di calcio, che era una delle sue grandi passioni.
Scrive Soriano:
“Ci sono tre generi di calciatori. Quelli che vedono gli spazi liberi, gli stessi spazi che qualunque fesso può vedere dalla tribuna e li vedi e sei contento e ti senti soddisfatto quando la palla cade dove deve cadere. Poi ci sono quelli che all’improvviso ti fanno vedere uno spazio libero, uno spazio che tu stesso e forse gli altri avrebbero potuto vedere se avessero osservato attentamente. Quelli ti prendono di sorpresa. E poi ci sono quelli che creano un nuovo spazio dove non avrebbe dovuto esserci nessuno spazio. «Questi sono i profeti. I poeti del gioco».
E ancora: “Era uno di quelli che si credono superiori perché sostengono che il calcio consiste in ventidue imbecilli che corrono dietro una palla.”.
Per leggere gli articoli di Francesco Monini su Periscopio clicca sul nome dell’Autore
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Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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