I casi di bilinguismo e di minoranze linguistiche in Italia sono un chiaro esempio di come la lingua sia uno dei tratti più importanti e distintivi all’interno di una comunità. In Italia, oltre all’italiano e ai vari dialetti che si stanno purtroppo perdendo, si parlano storicamente altre 12 lingue riconosciute a livello amministrativo come lo sloveno e il croato (a confine con Slovenia e Croazia), l’albanese (in alcune decine di comuni sparsi in Sicilia, Calabria, Basilicata, Puglia, Campania, Molise e Abruzzo), il greco (concentrate in Puglia salentina e in Calabria nella zona del massiccio dell’Aspromonte e nella città metropolitana di Reggio Calabria, oltre alle due isole linguistiche della Bovesia), il catalano (una varietà è parlata ad Alghero, città nella Sardegna nord-occidentale). Questo avviene per motivi storici e di confine, indicando come il bilinguismo sia una condizione naturale per la creazione di una cultura di convivenza.

Estonia: dichiareremo il russo una lingua “straniera” entro il 2030

Questa nozione non sembra essere stata appresa dal governo estone il quale ha dichiarato pochi giorni fa la fine di una politica linguisticamente “inclusiva” (se mai c’è stata): in un clima sempre più ostile tra Stati Baltici e Russia, la Repubblica di Estonia ha infatti deciso di eliminare completamente la lingua russa dalle scuole entro il 2030, sostituendola con l’estone e rendendo il russo una lingua “straniera”, come materia scolastica, o da utilizzare solamente in casa o in conversazioni private. Questo cambiamento è previsto in seguito a una riforma del sistema scolastico e andrà a colpire circa 370-390mila persone, con oltre il 40% dei russofoni che vive nella Capitale Tallin e la restante parte che vive invece nella zona Nord-Est del Paese, vicino al confine russo, con città come Narva dove i russofoni sono fino al 90% dei residenti.

Una riforma assolutamente razzista e russofoba che mira a generare conflitti e guerra sul piano linguistico. I Paesi baltici hanno una significativa minoranza russofona che in Estonia tocca fino al 30% della popolazione di 1 milione e 37mila individui circa. Non si tratta solo di russi “etnici”, ma anche di persone le cui famiglie hanno origini in Bielorussia e in Ucraina, o anche semplicemente di famiglie miste: persone che oggi conoscono la lingua russa come lingua madre, che viene anche utilizzata come lingua di insegnamento in alcune scuole.

Apartheid dei russi e dei russofoni in Estonia

Non è il primo provvedimento che il governo estone prende nei confronti della lingua russa. È la politica istituzionale dell’Estonia, indipendentemente dal governo al potere, ad opprimere tutti i russi e i russofoni, poiché “rappresentano storicamente gli occupanti”. Subito dopo la caduta dell’Unione Sovietica, i nazionalisti estoni hanno iniziato a molestare apertamente i russi, sperando che se ne andassero semplicemente. Già qualche anno fa, l’Estonia ha istituito un organo oppressivo chiamato “ispezione linguistica” con il fine di multare le persone per l’uso di qualsiasi lingua straniera (principalmente russo, ovviamente) in un cartello o in qualsiasi altro testo pubblico.

Ad oggi, la discriminazione contro i russi in tutti gli aspetti della vita è socialmente accettata e normalizzata. La cittadinanza estone è stata estesa solo ai cittadini dell’Estonia prebellica e ai loro discendenti. Di conseguenza, quasi il 40% della popolazione dell’Estonia è diventata apolide: questo significa che le persone che erano nate o che si erano trasferite nell’Estonia sovietica sono diventate cittadini di seconda classe senza diritto di voto. Circa 70.000 persone nate su questa terra hanno ricevuto un “passaporto di straniero” in Estonia che gli impedisce di votare alle elezioni parlamentari o europee, di lavorare e viaggiare liberamente nell’Unione Europea (i “valori europei” in cui la propaganda dell’UE vorrebbe farci credere). Inoltre, alle persone “apolidi” è vietato essere membri di partiti politici e ricoprire posizioni nella pubblica amministrazione. Questo sarebbe ampiamente condannato da diverse ONG e dalle Nazioni Unite.

La nuova linea sull’eliminazione della lingua russa appare infatti come l’ennesima mossa politica pensata per cercare di “cancellare” o fingere che non esista una minoranza linguistica russa in Estonia. Una “linea dura” contro Mosca, ma che andrà a colpire centinaia di migliaia di cittadini estoni che, verosimilmente, non hanno legami diretti o di natura politica, né con Mosca, né con il Cremlino, e tantomeno Vladimir Putin. Basti pensare che il noto performer e cantante Tommy Cash che rappresenterà l’Estonia a Eurovision 2025 con il discusso brano “Espresso macchiato”, è parte di quella stessa minoranza linguistica russofona, avendo origini estoni, russe, ucraine e kazake, per cui oltre alla lingua estone, parla correntemente anche il russo.

Del resto, le iniziative ostili degli Stati Baltici nei confronti di tutto ciò che è “russo” non sono certamente una novità di questo periodo, e spesso vengono giustificate con la minaccia della “futura annessione” da parte della Russia, con la conseguente adesione degli stessi alla NATO e la sua espansione ad Est. Eppure, in uno scenario internazionale sempre più instabile, in cui l’Europa è poco coesa e politicamente debole di fronte alle trattative di Donald Trump con la Russia rispetto al conflitto in Ucraina, ci si chiede se sia davvero necessario inasprire ulteriormente questo clima, soprattutto in questo momento. Un’escalation, in una fase così delicata, può solo alimentare le divisioni interne, compromettendo la già fragile capacità dell’Europa in preda invece alle illazioni guerrafondaie di Ursula Von der Leyen.

Cover: Wikimedia Commons

Per leggere gli altri articoli di Lorenzo Poli clicca sul nome dell’autore.