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La bellezza del riscatto: favola o realtà?
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Ricordando le belle parole del Presidente della Repubblica pronunciate durante la sua visita al carcere minorile di Nisida nel settembre 2021, i due autori “ristretti” riflettono sul tema della rieducazione e del reinserimento in società dei detenuti una volta scontata la pena.
(Mauro Presini)
La bellezza del riscatto: favola o realtà?
di G.C e M.C.
L’ 11 settembre del 2021, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella assieme al ministro Cartabia, si è recato al carcere minorile di Nisida a Pozzuoli.
Il presidente si è reso disponibile al dibattito ed ha risposto a molte domande da parte dei giovani detenuti.
L’argomento principale cioè il tema che stava più a cuore ai detenuti era quello del dopo: “Che sarà di me una volta uscito?”
Volendo fare una considerazione lapalissiana, il tema del “dopo” preme molto a chi non si è preoccupato del “prima”.
Cattive compagnie, un carattere debole che si fa facilmente influenzare, illusione di soldi facili, condizioni di miseria, questioni di sopravvivenza, famiglie assenti, famiglie disagiate, incapacità di rispettare le regole, mentalità criminale, psicopatia.
Di regola, entrare in carcere è piuttosto facile mentre uscire è molto più complicato.
Una volta in carcere si possono seguire due strade: o si entra nella spirale dove il carcere può rappresentare una vera e propria criminalità (è la scelta peggiore) o si scegli un sano percorso rieducativo per andare incontro a un vero ravvedimento che permetta di cambiare e non tornare più in carcere.
Tornando al tema del “dopo”, il Presidente della Repubblica ha confortato i detenuti attraverso parole di speranza.
A chi gli ha chiesto di non voler essere etichettato a vita cioè di non voler portare per sempre lo stigma del carcerato, ha risposto che, una volta scontata la pena, la persona deve avere una nuova possibilità, il famoso riscatto sociale.
Ha definito il periodo della reclusione una cicatrice che scompare non una macchia indelebile.
Alle sue parole ha fatto eco il guardasigilli dicendo “Si deve e si può credere in un oltre“.
Secondo il presidente Mattarella la pregressa detenzione non deve essere in alcun modo motivo di emarginazione, di accantonamento, di preclusione. Ha anche affermato che tante persone che hanno avuto esperienze di detenzione si sono pienamente inserite con successo anche nella vita.
Dopo aver ascoltato le sue parole abbiamo riflettuto e fatto le nostre considerazioni.
È necessario un duplice impegno sia da parte del detenuto nel dare prova concreta di adesione al programma di riabilitazione previsto dall’articolo 27 della Costituzione, dall’altra ci deve essere l’impegno da parte dello Stato di fare in modo che un ex detenuto, completamente ravveduto, una volta scontata la pena non sia etichettato e venga reinserito nella società civile.
Noi riteniamo ancora difficile il reinserimento nella società per i detenuti nel nostro paese.
Partiamo da una considerazione che vuole essere soltanto realista e senza polemica; vorremmo anzi tratteggiare lo status quo proprio allo scopo di essere di esempio per chi si occupa del problema perché da dentro le cose si osservano meglio.
Tutto dipende da cosa attende il detenuto una volta fuori.
Se ad attenderlo non c’è nessuno, né dal punto di vista familiare-affettivo né lavorativo, è probabile che esso tornerà a delinquere. In questo caso, ciò rappresenterebbe un fallimento per lo Stato che deve mettere in condizione una persona di recuperare la sua dignità.
Se diversamente una famiglia, soprattutto se benestante, riaccoglie l’ex detenuto allora le cose possono cambiare.
Dunque ci vorrebbe una maggiore mediazione dello Stato, una maggiore impegno a garantire un sostegno, un appoggio, un lavoro a chi esce e rientra nella vita.
Del resto tutto ciò sarebbe previsto ma purtroppo bisogna ricordare che il popolo, quando si parla di persone detenute, “butterebbe via la chiave”… e chi non lo dice, comunque lo pensa.
Basti pensare a come siano visti da molti gli ex detenuti, con quali pregiudizi e stereotipi.
Questo è evidente quando si propongono per avere un lavoro: purtroppo spesso lo stigma rimane.
La nostra impressione è che ci sia tanto lavoro da fare in questo senso.
Un buon esempio a cui guardare è quello olandese (ma non solo). In Olanda, quando una persona ha terminato di scontare la pena, se non alternativa, viene bloccato dallo stato in un appartamento a lui concesso.
Nel corso di un certo periodo gli vengono fatte tre proposte di lavoro.
Se le rifiuterà tutte e tre, dovrà lasciare l’abitazione.
L’Olanda, come la Norvegia, la Danimarca sono Paesi molto civili e ricchi, avvantaggiati dal fatto di avere pochi abitanti.
In Italia non ci sono soldi per la spesa pubblica e questo comporta un danno anche alle carceri a chi vorrebbe fare qualcosa in più per i detenuti.
Spesso, metaforicamente, questi escono a fine pena con un calcio nel sedere.
Nel nostro piccolo, rivolgiamo un appello affinché coloro che a fine pena sono ravveduti, rieducati e pronti a rientrare in società non siano costretti dalla contingenza a reiterare i reati. Lo stato non li deve abbandonare.
Si chiama Astrolabio il giornale della Casa Circondariale di Ferrara. Ed è un progetto editoriale che, da qualche anno, coinvolge una redazione interna di persone detenute insieme a persone ed enti che esprimono solidarietà verso la realtà dei detenuti. Il bimestrale realizza il suo primo numero nel 2009 e nasce dall’idea di creare un’opportunità di comunicazione tra l’interno e l’esterno del carcere. Uno strumento che dia voce ai reclusi e a chi opera nel e per il carcere, che raccolga storie, iniziative, dati statistici, offrendo un’immagine della realtà “dietro le sbarre” diversa da quella percepita e filtrata dai media tradizionali.
In copertina: Paesaggio libero con gatto, un quadro realizzato da un detenuto nel carcere di Ferrara.
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Mauro Presini
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