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Il carcere brucia e noi stiamo a guardare
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Le voci da dentro. Il carcere brucia e noi stiamo a guardare
Pubblichiamo un bell’articolo di Claudio Bottan, vicedirettore della rivista Voci di dentro, scrittore e attivista per i diritti umani.
La sua è una riflessione che ci scuote, che ci interroga, che non dovrebbe lasciarci indifferenti di fronte alla situazione sempre più drammatica delle carceri italiane. Purtroppo chi dovrebbe farlo, preferisce evitare di occuparsene e anche di preoccuparsene, come se le persone tragicamente decedute non meritassero attenzione solo per il fatto di essere ristrette.
Sono in molti a pensare che l’argomento carcere non li riguardi; io credo invece che tutti dovrebbero interessarsi al modo in cui si pensano e si organizzano i luoghi dove scontare una pena, perché è da questo osservatorio che si può constatare se e quanto la nostra società creda nell’educazione e nella rieducazione.
(Mauro Presini)
Il carcere brucia e noi stiamo a guardare
di Claudio Bottan
Qualche mese fa ha scosso tutti la vicenda di Youssef, morto in carcere a San Vittore dove era recluso in attesa di giudizio a soli 18 anni appena compiuti. Seguiva una terapia psichiatrica. Per vizio totale di mente, doveva andare in una comunità terapeutica per essere curato e non in carcere, ma non c’erano posti disponibili. Youssef è morto carbonizzato nel bagno della sua cella dopo che era stato incendiato un materasso. Bisogna ancora capire se l’incendio sia stato innescato come protesta o se sia stato un gesto autolesionista da parte di Youssef.
Ma lo sdegno per l’atroce fine di quel ragazzino egiziano che in carcere non ci doveva stare è durato poco, poi si è tornati a parlare di sicurezza e certezza della pena. Eppure le fiamme si alzano spesso nelle nostre prigioni. Per comprendere le dimensioni del fenomeno basta considerare la frequenza con cui le cronache ci raccontano di incendi nelle carceri italiane.
Negli ultimi giorni ci sono stati roghi nel carcere minorile di Firenze, con due ragazzi in ospedale, e a Modena dove un 25enne è rimasto gravemente ustionato. Qualche giorno prima è stata la volta di Belluno. Gravemente ustionati, e trasportati in eliambulanza a Padova, due magrebini di 30 e 24 anni detenuti presso la Casa Circondariale Baldenich. I due avevano appiccato un incendio all’interno della loro cella, utilizzando i vestiti, carta e dell’olio.
Nell’estate del 2023, invece, un detenuto ha dato fuoco al materasso e ha atteso che il denso fumo lo accompagnasse alla morte. Si è chiusa così la vita di Abdelilah, 35 anni, marocchino. Il cadavere del detenuto viene trovato nel bagno della cella dagli agenti della penitenziaria che, nel tentativo di salvarlo, restano intossicati e sono costretti ad andare in ospedale.
Il 3 giugno 1989, undici donne (nove detenute e due agenti di custodia) morirono in un incendio divampato nella sezione femminile del carcere Le Vallette di Torino. Morirono in pochi minuti, stordite e soffocate dalle esalazioni letali rilasciate dal rogo di trecento materassi di poliuretano accatastati sotto un portico, appena arrivati per sostituire quelli vecchi utilizzati nelle celle.
Una strage che pare non aver insegnato nulla: a distanza di oltre tre decenni il fuoco arde ancora nelle celle nell’indifferenza generale. Bruciano soprattutto gli istituti per minori. Al Quartucciu, in Sardegna, un detenuto ha dato fuoco alla cella e le fiamme sono presto divampate rendendo inagibile tutta la sezione. Non è andata meglio al minorile Malaspina di Palermo, dove si sono verificati diversi episodi di protesta e lo scorso ottobre un detenuto che chiedeva di essere portato in ospedale, nonostante il parere negativo del medico, ha dato fuoco a suppellettili, lenzuola e materassi provocando un incendio. A Casal del Marmo, a Roma, gli incendi sono ormai all’ordine del giorno.
La dinamica è sempre la stessa: materassi, cuscini, lenzuola e coperte incendiati per protesta, per noia o per follia, usando il fornellino in dotazione come lanciafiamme. All’arrivo in carcere vengono fornite due lenzuola pulite e una coperta polverosa, bucata e dall’odore sgradevole: il “corredo”.
Il cuscino è spesso strappato, mentre il materasso è una striscia di poliuretano dello spessore di pochi centimetri adagiato su una lastra di lamiera forata. Quel fetido pezzo di gommapiuma, impregnato dagli umori dei precedenti inquilini con bruciature di sigaretta, evidenti chiazze di piscio, sangue e vomito, riporta una data di scadenza che normalmente risale a qualche anno prima. Difficile credere che si tratti di materiale ignifugo.
D’altra parte, l’Ordinamento penitenziario e il Regolamento di applicazione DPR del 30 giugno 2000 n. 230 non ne fanno cenno se non all’art. 9 al capitolo “vestiario e corredo”, “Per ciascun capo o effetto è prevista la durata d’uso” e ancora “L’Amministrazione sostituisce, anche prima della scadenza del termine di durata, i capi e gli effetti deteriorati. Se l’anticipato deterioramento è imputabile al detenuto o all’internato, questi è tenuto a risarcire il danno”. C’è sicuramente una antica circolare del Dap che dispone l’acquisto di materassi ignifughi. Da ciò deriva di conseguenza che alla data di scadenza il materasso va sostituito, altrimenti perde parte della proprietà ignifuga.
La caratteristica distintiva di un materasso ignifugo è la capacità di auto estinguere la fiamma, prevenendo la rapida propagazione in caso di incendio. Per comprendere meglio questo concetto, immaginiamo un incendio nel quale il materasso della camera di pernottamento è coinvolto: se il materasso è veramente ignifugo, osserveremo il suo sciogliersi lento anziché la fiamma propagarsi. Questo rappresenta chiaramente il segno dell’autoestinguibilità, impedendo la diffusione del fuoco.
Un aspetto altrettanto significativo da considerare è l’emissione di fumi. In situazioni di incendio, oltre al rischio del fuoco stesso, si verifica anche il pericolo di respirare gas tossici dannosi per la salute. La normativa impone l’obbligo di utilizzo dei materassi ignifughi certificati per le strutture ricettive con più di 25 posti letto.
In genere si pensa ad un obbligo di utilizzo di materassi antincendio che persiste per hotel e alberghi ma, in realtà, i letti ignifughi omologati di classe 1IM devono essere obbligatoriamente utilizzati anche dalle strutture di riposo, di comunità, di alloggio come residenze sanitarie, RSA, case famiglia, case di cura, cliniche private, aziende sanitarie, ospedali che abbiano, appunto, più di 25 posti letto disponibili. E le carceri, in perenne condizione di sovraffollamento, non sono forse equiparabili alle strutture ricettive?
I detenuti che bruciano le celle per protesta lo sanno che il fumo nero intossica chi lo respira, infatti si coprono la testa con asciugamani bagnati, cercando di stare lontani dai materassi; ma le celle sono piccole e quasi mai ci riescono. Quindi: o si intossicano o si ustionano o muoiono. L’intossicazione spesso è denunciata dagli agenti, che intervengono per evitare il propagarsi delle fiamme e lamentano la mancanza di dispositivi di protezione.
Ma le carceri, si sa, non sono alberghi. E allora, cosa c’è di strano se le persone detenute vivono in dieci in celle pensate per quattro, se il cibo è insufficiente e scadente, se non ci sono le docce, se manca l’acqua calda, se i cessi sono a vista, se fa un caldo torrido d’estate e un freddo gelido d’inverno?
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Mauro Presini
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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