Le voci da dentro: Habeas corpus
Il testo che propongo questa volta ci ricorda l’origine storica di un aspetto importante della moderna giurisprudenza; ci aiuta inoltre a ragionare sul corpo come materia e su tutto ciò che corpo non è ma fa comunque parte dell’identità di una persona. (Mauro Presini)
Habeas Corpus
di Lorenza Cenacchi
Torniamo indietro nella storia. Siamo nell’Inghilterra medievale. Ai tempi di re Giovanni d’Inghilterra. È il 1215, Re Giovanni senza terra (che è lo stesso della storia di Robin Hood, per intendersi), è costretto da alcuni nobili a sottoscrivere un documento per limitare gli arbitrii del sovrano, si tratta della Magna Charta libertatum, riconosciuta ancora oggi come la Carta fondamentale della monarchia inglese.
Subito dopo, conscio di aver perduto il suo potere scrive una lettera al papa implorandolo di annullare il documento che, dice, gli sia stato estorto con le minacce.
Il papa lo accontenta, i baroni si ribellano e scoppia una guerra civile.
Giovanni muore poco dopo di dissenteria e, per risparmiarsi problemi con i baroni riottosi, il suo successore dichiara la Magna Charta di nuovo valida.
Essa conteneva un cenno all’Habeas corpus, il principio dell’inviolabilità personale.
Dalle testimonianze giunte fino ai giorni nostri, tale disposizione venne usata per la prima volta nel 1305, ma il ricorso a questo istituto iniziò a intensificarsi nel XVII secolo, quando venne espressamente ribadito prima nella Petition of Rights del 1627 e poi nel 1679 con la promulgazione dell’Habeas Corpus Act.
In seguito quest’atto, non fu applicato con continuità.
Ad esempio fu sospeso nel 1793 per paura che gli avvenimenti della Rivoluzione francese potessero ispirare moti di ribellione anche in Inghilterra.
Il diritto fondamentale alla corporeità è stato più volte sospeso nel XX secolo, ad esempio durante la Prima e la Seconda guerra mondiale e durante il conflitto dell’Irlanda del Nord.
Ancora oggi è oggetto di dibattito sul tema del terrorismo.
Nella nostra Costituzione è contenuto nell’articolo 13.
L’espressione habeas corpus deriva da habeas corpus ad subiciendum judicium, ossia “che sia esibito il corpo (dell’accusato) per sottoporlo a giudizio”.
Ciò indicava l’ordine per cui si chiedeva alle guardie di condurre il “corpo”, ossia la persona dell’arrestato, entro tre giorni dall’arresto, al cospetto dei giudici, per evitare le detenzioni illegittime e soltanto ad essi spettava il compito di esaminare il caso e di confermare o annullare l’arresto.
“Fai portare fisicamente l’imputato nel tuo tribunale”.
“Toglilo dalla prigione e sottoponilo a un regolare processo”.
Gli arresti arbitrari, che erano all’ordine del giorno, furono vietati, ma continuarono ad essere praticati.
Ed erano vietate anche le detenzioni prima del processo per più di tre giorni.
Questa norma fondamentale venne ribadita nell’Inghilterra del Seicento in una nuova “legge generale” chiamata Bill of rights (Carta dei diritti 1689).
Essa è diventata un faro che, nel corso dei secoli, ha ispirato le norme giuridiche e le Costituzioni più avanzate del mondo, rappresentando di fatto uno dei più importanti strumenti a salvaguardia della libertà individuale contro l’azione arbitraria delle autorità.
Nella Costituzione della Repubblica italiana il principio dell’Habeas Corpus è sancito in diversi articoli, in particolare nell’articolo 13.
Esso verte sulla libertà personale, il più importante dei diritti civili.
La libertà di fare ciò che si vuole del proprio corpo, ma non completamente.
In altre parole il corpo reale vissuto soggettivamente sottoposto ad una sanzione penale, che fine fa? Il corpo inquisito è trasformato dai mass-media in un titolo, in un caso giudiziario, e la comunicazione del corpo è sostituita da un’immagine diversa da quella vissuta e riconosciuta dal proprietario reale.
Il corpo pertanto perde la propria identità e la propria memoria per divenire un’immagine mediatica.
Oggi, dopo l’atto pubblico del processo, con la detenzione e l’internamento, il corpo del soggetto perde visibilità, diventa astratto, invisibile.
L’individuo reale scompare e con esso la vita di relazione, per divenire un uomo astratto, caricato del significato simbolico delle aspettative della comunità, che crede di poterlo recuperare appropriandosi del suo corpo.
Un uomo privato della possibilità di comunicare chi è veramente, soggetto a interventi che mirano ad espropriarlo della propria identità, della sua immagine e della sua progettualità non potrà costruirsi un nuovo futuro perché non riuscirà a confrontarsi con ciò che è in suo possesso.
La parte più intima della persona è racchiusa nel corpo e si pensa che, attraverso la pena corporale della detenzione, si possa arrivare a trasformare la coscienza di chi lo abita.
Il corpo nella sua materialità contiene un individuo dotato di pensieri, affetti, dubbi, sofferenze, ambizioni, speranze, gioia, amore e queste ultime componenti sono barattate per vivere nell’oblio quel processo di purificazione dalla colpa, che le nostre società hanno affidato al sistema penitenziario.
Il corpo nella visione meccanicistica è altro dalla vita e diventa oggetto di scambio, talvolta fonte di guadagno.
Nel Mercante di Venezia Shylock chiede ad Antonio una libbra del suo corpo qualora non onorasse il suo prestito.
Il corpo di Antonio diviene merce ed è utilizzato come pegno, come garanzia.
“E voglio darvene dimostrazione.
Venite insieme con me da un notaio, e avanti a lui firmatemi, voi solo, un impegno formale, con la clausola (ma soltanto così, per uno scherzo) che qualora in tal giorno ed in tal luogo non mi doveste rendere la somma o le somme indicate nel contratto, la penale sarà una libra esatta di carne, della vostra bella carne, da asportarvi dal corpo di mia mano dalla parte che più vi piacerà.”
Quanti Shylock incontriamo oggi vittima e carnefice di qualche Antonio? È un’illusione pensare al corpo come ad un mero contenitore materiale di cellule soggette al ciclo della vita, separato dall’anima? Cos’è il corpo?
Quanti Shylock incontriamo oggi, vittima e carnefice di qualche Antonio? Pensare al corpo come ad un mero contenitore materiale di cellule soggette a leggi fisiche, separato dall’anima che quelle cellule fa muovere in direzione della vita universale?
Si chiama Astrolabio il giornale della Casa Circondariale di Ferrara. Ed è un progetto editoriale che, da qualche anno, coinvolge una redazione interna di persone detenute insieme a persone ed enti che esprimono solidarietà verso la realtà dei detenuti. Il bimestrale realizza il suo primo numero nel 2009 e nasce dall’idea di creare un’opportunità di comunicazione tra l’interno e l’esterno del carcere. Uno strumento che dia voce ai reclusi e a chi opera nel e per il carcere, che raccolga storie, iniziative, dati statistici, offrendo un’immagine della realtà “dietro le sbarre” diversa da quella percepita e filtrata dai media tradizionali.
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Mauro Presini
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