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Dino Tebaldi (1935-2004)

Pubblico il secondo capitolo, intitolato “Tutti naufraghi”, tratto dal libro “Dietro le sbarre” di Dino Tebaldi.
Il volumetto è un’autoedizione non in commercio che racconta delle sue prime esperienze di insegnamento nella Casa Circondariale di Ferrara nell’anno scolastico 1995-1996.
Dino, persona straordinariamente umile e generosa, credeva nella rieducazione delle persone “ristrette” ed era sicuro che, per rendere l’uomo più libero ed emancipato, la via più importante da percorrere fosse quella dell’istruzione.
(Mauro Presini)

 

Tutti naufraghi

di Dino Tebaldi 

Non sento più la campanella che dappertutto – alle 8,20 precise – invita alunni ed insegnanti ad entrar nelle classi.
Però io entro lo stesso, perché quest’anno la scuola – col tipo cli allievi che mi sono affidati – anche senza la campanella ha significato per me, e promette umane soddisfazioni.
Non so nulla degli alunni, ed il proposito di non voler saper niente del tutto, addirittura mi fa dubitare del passato che riguarda me stesso.
Nell’aula ancor vuota – mentre dispongo sulla cattedra registro, schede e materiali – inevitabilmente ripenso con nostalgia ai bambini di qualche anno fa, e con disagio a quelli che ho appena lasciato.
Dei primi sento di poter dire tutto il bene possibile; degli ultimi, non altrettanto.
Mi hanno fatto desiderare di farla finita, e mi hanno reso allettante ogni altra opportunità. Degli allievi di quest’anno conosco nomi, cognomi, età e nazionalità, soltanto se guardo l’elenco da trascrivere in apertura del più tradizionale registro cli classe.
Dei “precedenti” – di scuola o di altro genere – relativamente a ciascuno, non voglio saper niente, anche se tante volte sarò tentato di chiedere: “Che cosa hai fatto, per finire qui dentro?” Una risposta cortese non basterebbe.
Sentirei immediata la voglia di chiedere ancora: “Da quanto tempo e per quanto dovrai rimanere qui dentro?”.
Potrei – insistendo – averne risposte esaurienti; ma è certo che dopo d’allora ciascuno potrebbe dubitare della mia natura di maestro, qui venuto – ufficialmente – per esser d’aiuto a ciascuno ed a tutti, al di là di giudizi che non mi competono, al di sopra di pregiudizi che mi avvilirebbero.
Di me, che sento non tanto diverso da loro, so di preciso che – quando la direttrice mi ha proposto la scuola carceraria – io non ho avuto il coraggio di dirle che non avevo il coraggio di tentare un’esperienza del genere.
Ho pensato però che nemmeno avrei avuto il coraggio – se avessi detto di no- di guardarmi allo specchio o dentro il cuore per chissà quanto tempo; o di presentarmi – poco dopo – davanti a mio padre morente.
Alla direttrice ho detto sì, senza pensare agli scolari che lasciavo nella scuola di …, ed alla collega che aveva fatto tutto il possibile per rendermi agevole un difficile e tormentato anno di scuola e di vita familiare.

Magistero paterno

Ho pensato soltanto a mio padre, che da me – sempre – avrebbe voluto atti di cui andar fiero. Mi voleva militare di carriera, ed invece l’ho deluso più di una volta: alla prima chiamata di leva, m’ero presentato magro al di sotto del limite. Primo risultato: rivedibile.
L’anno dopo, ero ingrassato un pochino, ma il torace ancora non arrivava alla misura. Secondo risultato: rivedibile.
Alla terza chiamata, a peso valido ed a torace più largo, avevo aggiunto – con sorpresa anche mia – i piedi piatti, o quasi.
Terzo risultato: per ridotte attitudini militari, assegnato alla riserva.
Avrei potuto servire in caso di guerra (però mio padre questo non si augurava) per utilizzi alla censura, all’ufficio stampa, od in depositi di vettovaglie: “… dove non si conquistan medaglie o menzioni d’onore…”, aveva commentato mio padre, sconfitto.
Da allora ho pensato a tutt’altra … mezza carriera.
Mio padre si è rassegnato.
Ha cominciato ad andare orgoglioso di me, quando ha visto la mia firma su giornali o sui libri, e più d’uno – negli ambienti da lui frequentati – gli ha chiesto se “quel Dino Tebald¡ che scrive di storia ferrarese e di cronaca” fosse un suo parente.
Mio padre non avrebbe immaginato che per me – quando ormai la pensione è vicina – ci sarebbe stata ancora una “chiamata di leva”: l’occasione per dimostrare coraggio virile.

La grande sfida

Quando la Direttrice Didattica mi ha fatto la proposta, mio padre aveva le ore contate.
Ho pensato a lui solamente, convinto di non dovergli negare una mia decisione per la quale potesse dir a tutti ed a se stesso d’esser contento.
Ho sfidato me stesso (non sono mai stato un forzuto…); mia moglie (“Avresti dovuto chiedere anche il mio parere…”); le colleghe (“Con noi l’anno scolastico ti sei trovato male?“); e le bidelle (“Chissà che cosa diranno i genitori per il fatto che lei ha preferito i detenuti…”).
Ho pensato soltanto a mio padre, che il giorno dopo se n’è andato per sempre.
Lo sento ogni istante vicino, come in questo momento.
Mi pare che dica d’esser contento di me: meno male! Ai miei scolari di quest’anno, anche lui avrebbe dato una mano.
Gli bisbiglio – appena posso – che gli scolari-uomini a me affidati hanno bisogno di un maestro che sappia ascoltarli, impegnarli, aprirne i cuori alla speranza.

Sulla medesima maxi-zattera

Alla vigilia, nella lista erano una dozzina, o poco più; ma fin dalla prima mattina, mi è stato detto che quattro avevano avuto il trasferimento.
Io sono entrato nell’aula, mentre gli allievi venivano chiamati col telefono dalle varie sezioni.
Non sono venuti tutti, ma i due assenti non possono essere obbligati, sgridati, puniti per aver fatto fuoco… scolasticamente.
Sono adulti, e prima d’oggi han combinato cose peggiori di questa.
Nessun giudice li ha condannati a riprendere libri, penne e quaderni; ad imparare da un vecchio maestro la lingua italiana; a fingere – la mattina – d’esser bambini.
La Casa Circondariale di Via Arginone, ai bordi dell’alta Val Sammartina, pare una maxi-zattera in balìa della nebbia che si alza, ondeggia, ed avvolge.
Scolari, maestri ed altri vi si muovono come naufraghi in cerca d’un qualche approdo.
Siamo stati tutti travolti dalla medesima onda, tutti sballottati di qua e di là, senza rispetto per i ruoli ed i titoli.
Molti ce la faranno a salvarsi, perché la persona ha risorse impensabili: potranno uscire di qui molto diversi da come sono entrati; e cercheranno di restarne lontani fino alla fine dei giorni terreni.
Però chiedono – fin da adesso – d’essere aiutati umanamente, perché il mondo è un mare sempre in burrasca, che risucchia chi manca d’una gomena o d’una ciambella di salvataggio.
La scuola può aiutarli a ritrovare la strada smarrita, quella che fa riflettere prima di combinare qualcosa.
Sono naufraghi che vogliono ritornare sull’onda, per mettere – alla fine – i piedi su terra ferma.
Sarò io capace d’insegnare loro i segreti della navigazione verso rotte che hanno valore? Pensavo tutto questo, mentre aspettavo gli allievi.
Ma non è questo che dovrò insegnare esplicitamente.
Dovrò – invece – stabilire un rapporto umano con alunni che già sono “matricolati.
Saranno loro a dirmi di che cosa hanno bisogno.
Da parte mia serve soprattutto la disponibilità umana e professionale.
Adesso so questo, ed a questo debbo pensare.

(21 ottobre 1995)

Cover: La fotografia utilizzata in copertina è di Francesco Cocco ed è tratta dalla pubblicazione “Repertorio di immagini degli spazi trattamentali delle carceri in Emilia-Romagna”, a cura del Garante delle persone sottoposte a limitazione della libertà personale. Ritrae un cortile della Casa Circondariale di Ferrara dedicato all’ora d’aria.

 

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Mauro Presini

È maestro elementare; dalla metà degli anni settanta si occupa di integrazione scolastica degli alunni con disabilità. Dal 1992 coordina il giornalino dei bambini “La Gazzetta del Cocomero“. È impegnato nella difesa della scuola pubblica. Dal 2016 cura “Astrolabio”, il giornale del carcere di Ferrara.

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