Skip to main content

Le storie di Costanza. Ottobre 2062 – Il Pothos

Cosmo-111 guarda sempre mia figlia Axilla che esce di casa per andare in università a Trescia, dove studia informatica. Ogni volta che la vede uscire si ferma un attimo pensieroso. Mi chiedo se non sia preoccupato di quando la rivedrà o se provi a calcolare quante probabilità ha di riabbracciarla la sera.

Visti i suoi potenti mezzi neuronali, è capace di fare calcoli probabilistici che si approssimano alla realtà con gradi di correttezza importanti. A volte mi chiedo anch’io quante probabilità ho di rivedere mia figlia alla sera. Axy che è giovane e in salute, per questo la possibilità di condividere con lei la cena è alta, anche se non raggiunge la certezza.

C’è sempre quello spazio nero in cui si possono annidare i drammi più assoluti, i cambi di vita tanto repentini quanto tristi. Questa è la precarietà del vivere, la nostra incertezza sui tempi dell’esserci e del non esserci più. Non sono gli esseri umani che controllano la durata della vita, le variabili che interferiscono sono ennesime, alcune di queste davvero imprevedibili.

Con questa consapevolezza un po’ quantificata e un po’ arricchita dal legame affettivo che garantisce l’attaccamento, quando alla sera vediamo Axilla che rientra, io e Cosmo-111 ci sentiamo sollevati, leggeri. O almeno io mi sento così e, nel caso i sentimenti di Cosmo-111 siano autoriflessi e rappresentino i miei, l’atteggiamento di Cosmo-111 è una diretta conseguenza del mio.

Nel caso invece si adotti un pensare eterodosso che attribuisce autonomia emozionale ai Robot, l’atteggiamento di Cosmo-111 non riflette il mio, ma rappresenta sé stesso con tutti i suoi timori e le sue gioie. La teoria originale mi sembra realista e aggiungo a questa anche la fede in ciò che la scienza ufficiale dice, come agente importante di verità.

È già abbastanza complicato avere sempre la consapevolezza che si sta vivendo con un robot (una macchina) che, per imitazione, fa come te, è come te. Non aggiungerei la possibilità che il mondo dei robot sia parallelo al nostro e che anche loro si interroghino sul senso della vita e sull’aldilà, sarebbe scandaloso e rivoluzionario, preoccupante. Di sicuro sia io che Cosmo-111 siamo sollevati nel vedere Axy rientrare a casa.

Guardo l’orologio di metallo laccato di bianco che è su una delle pareti della mia cucina, sono le ventuno e un’altra giornata è passata senza problemi. Io amo la normalità, penso che le bizzarrie e le stranezze non facciano bene al mondo, lo intasano di artifici e casualità fittizie. Amo la normalità del lavoro, del luogo dove vivo, della mia casa accogliente, dei gatti, delle mie piante penzolanti e verdissime.

A volte mi fermo e guardo il mio Photos che cresce a vista d’occhio. Ho fatto girare le sue foglie intorno a un cilindro di cartone e adesso anche il cilindro è pieno di foglie. Sono verdissime, un verde chiaro e luccicante che difficilmente si trova nelle piante d’appartamento.  Di solito hanno un colore più scuro e opaco, direi più invernale.

Una volta Cosmo-111 mi ha chiesto: “Valeria ti piace il Photos?” “Si” gli ho risposto. “Ora ti spiego tutto dei Pothos” e, con tono un po’ saccente, ha cominciato a ripetere:

I Photos hanno foglie delicate, temono i raggi diretti del sole anche se amano la luce. Quelle belle foglie sono cuoriformi, lucide, leggermente cerose, spesse e rigide, e si sviluppano su lunghi rami, da cui spuntano radici aeree che permettono alle piante di abbarbicarsi d’dappertutto. Si coltivano spesso come rampicanti, mettendo nel loro vaso un tutore alto fino a un metro, su cui la pianta si sviluppa.”

Purtroppo, dopo aver pronunciato correttamente le prime frasi, Cosmo-111 si è dimenticato alcune vocali (e, i, o, u) ed è regredito verso il linguaggio mono-vocale che usa sempre più spesso man mano che i suoi circuiti invecchiano.

“La varaatà a faglaa paccala spassa sa caltavana an panaara appasa, cama paanta racadanta. Il pathas è ana paanta malta apprazzata a daffasa: trava malta astamatara an vartà dalla saa astrama varsatalatà an davarsa candazana da laca a da clama.”

Non gli dico che non ho capito, tanto fa lo stesso, qualche dettaglio in più sui pothos non cambia la mia vita di molto, e nemmeno la sua. Non sempre si capisce quel che dicono i robot e non sempre si capisce quel che dicono gli umani.

Basta pensare alle varie lingue del mondo e ai vari dialetti, alle mutazioni continue che sia gli uni che gli altri subiscono nel corso del tempo. Tutto è in perenne mutamento, tutto evolve, l’evoluzione non è linearmente migliorativa, lo è con modalità circolari.

I robot di nuova generazione sono dei traduttori efficienti, sanno tradurre praticamente in tutte le lingue del mondo e, con modalità rovesciata, capire il linguaggio di tutti. Ma proprio i circuiti che garantiscono loro tanta versatilità, sono delicati e, ogni tanto, succedono delle vere bizzarrie.

Robot che mescolano parole in italiano, in portoghese e in cinese, Robot che parlano un po’ in italiano corretto e un po’ sgrammaticato, Robot che, superati i primi anni di immatricolazione, cominciano ad assemblare lettere e suoni in maniera incomprensibile senza minimamente rendersene conto.

L’uso del linguaggio e la sua possibilità intrinseca di creare informazioni attraverso i significati attribuiti ai suoni e alle parole, è spettacolare nel mondo umano così come negli altri mondi che conosciamo, compreso quello dei mezzani.

Un avvenimento non raccontato esiste al massimo per chi l’ha vissuto, un avvenimento raccontato esiste per chi lo ha sentito raccontare e ha riconosciuto veridicità nelle parole sentite. Un avvenimento raccontato e scritto aumenta ancora il suo grado di autorevolezza, di diffusione, di verità e di conoscenza. Ma che rapporto c’è tra verità e conoscenza? Me lo chiedo sempre e, in momenti diversi della mia vita, mi sono data risposte diverse.

Credo che la definizione di verità sia indissolubilmente legata a quella di conoscenza. Questa indissolubilità crea un perimetro all’interno del quale è interessante provare a fare alcune riflessioni. È vero ciò che consociamo? Direi di sì. Se non utilizziamo questa premessa, limitiamo molto la nostra possibilità di pensare.

Ora resta un secondo tema. Ciò che non conosciamo è vero o falso? Direi che ciò che non conosciamo può essere sia vero che falso, non vedo altra possibilità di chiudere il cerchio.  Se è così, la verità si approssima a noi solo attraverso un processo condiviso e delle regole che descrivono la conoscenza.

Quindi, la conoscenza è una strada univoca? credo di no, a meno che noi assumiamo, come all’origine di qualunque pensiero, il fatto che la conoscenza sia una dimensione necessaria che può essere “vera” se ne definiamo le regole che la supportano. Così si fa un importante passo avanti.

L’appropriazione di gradi superiori di conoscenza attraverso l’utilizzo di regole che ci permettono di circoscriverla e quindi di definirla, aumenta i gradi di consapevolezza, riduce la complessità del mondo, isola dei fenomeni che, in quanto isolati, sono più facilmente definibili e studiabili.

Comunque ne pensino quei teorici poco “pensatori” che con molto qualunquismo gettano alle ortiche l’importanza dell’atto definitorio come premessa per una idea di verità condivisa, non mi sembra auspicabile e nemmeno troppo teorizzabile l’idea che tutto sia sempre indissolubilmente vero e falso. Se così fosse, disconosceremmo la ricerca della verità come processo, la scoperta umana come strada, se non come approdo.

Anche considerando la relatività e le limitazioni che il pensiero umano porta con sé, credo si possa parlate sia di conoscenza che di verità ed attribuire alla ricerca di entrambe un rigore procedurale che nel definirsi ne affina e legittima l’esistenza. Tutto ciò per dire che esiste una verità ed esiste una conoscenza.

Cercando di distrarre Cosmo-111 dalle dissertazioni sui Photos e seguendo il corso dei miei pensieri che nel frattempo si sono discostati dai vegetali, ho chiesto a Cosmo-111: “Cosmo, che cos’è la verità?” “Cerco nel vocabolario, quale vocabolario preferisci?” mi ha risposto.

“No, non cercare nel vocabolario”. “Allora dove devo cercare?” “Cerca nel tuo cuore” gli dico “Io non ho il cuore”. “Allora cerca nel mio cuore”. Lui mi ha guardato pensieroso e poi mi ha risposto “La verità è amore

Non so da dove gli sia venuta questa illuminazione, non so se sia una risposta casuale, non so se abbia decifrato quello che stavo pensando io e non so se anche Cosmo-111 lo pensi. Ma forse è così, c’è una relazione tra la ricerca della verità e la ricerca dell’amore. Alla fine, ciò che la verità vuole spiegare è la presenza e l’assenza di amore. Il suo esserci e il suo non esserci, il suo pervadere la vita, il suo pervadere la morte. Ciò che è vero, esiste.

Smetto di elucubrare su queste esiziali questioni e guardo Cosmo-111 che sembra già dimentico di questa storia delle verità, o almeno così sembra, e poi mi dice: “Per me è vera Axilla quando è a casa, quando non è a casa è sia vera che non vera, quindi essendo anche non vera, potrei decidere che non è vera. Io voglio che torni a casa, perché quando la vedo so che è di nuovo vera. A me piace Axilla vera !!!, Axilla è mia”

“Axilla non è solo tua!” gli dico. “E invece è solo mia … per me è così!!!”. Ciò che è per me, ciò che è per lui, ciò che è per noi, ciò che è per gli altri …. Altro bel tema che s’incastra all’interno di una possibile definizione di verità e del suo processo definitorio.

Cosmo-111 ha finito di parlare con me, va nella stanza da letto, si siede sulle sue corte gambe, si copre con una coperta di mollan e mette la mascherina con le stelle gialle sopra le sue telecamere. Ora ci lascia fino a domattina, si addormenta e sogna di pulire i pavimenti.

Guardandolo dormire mi chiedo se questa strana situazione di standbay che noi chiamiamo impropriamente “dormire” porti anch’essa con sé una nuova definizione di verità che si legittima attraverso un processo di rigenerazione neuronale tipica del mondo mezzano, che prima non esisteva e non esistendo non poteva avere alcun grado di legittimità. Buonanotte.

N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.

Per leggere gli altri articoli di Le storie di Costanza la rubrica di Costanza Del Re clicca sul nome della rubrica o il nome dell’autrice

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

tag:

Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *



Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it

SOSTIENI PERISCOPIO!

Prima di lasciarci...

Aiuta la nostra testata indipendente donando oggi stesso!