Le storie di Costanza /
Dicembre 2062 – Il Natale di Dylan
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Le storie di Costanza. Dicembre 2062 – Il Natale di Dylan
Il 2062 sta finendo. Questo dicembre si addormenta nel freddo e si risveglia con la nebbia. Le goccioline appiccicate ai vetri dalle finestre camminano lentamente verso il davanzale e le luci si accendono in fretta, tanto quanto tramonta il sole.
Nel buio vivono tante sorprese e anche tanti incubi. Una delle mie paure è proprio legata alla notte. Ho paura che il nero non finisca, che i miei occhi a un certo punto non ritrovino più la luce e non possano rivedere con piacere il mattino bianco e azzurro.
Si potrebbe pensare che io abbia qualche malattia visiva, ma non è così, ho semplicemente paura della cecità. Non so se riuscirei a riadattarmi a questa vita senza vederci, io amo i colori e quando vedo qualche pittore dipingere, mi incanto a guardare la tela che da bianca diventa variopinta e viva. È uno spettacolo incredibile, una materia anonima che prende forma e diventa arte.
Anche io a volte dipingo un po’. Mi piace usare i colori a olio su tavole trattate con la sabbia. La preparazione a sabbia rende irregolare la superficie da dipingere aumentando il senso di profondità e di movimento già tipici dei quadri dipinti ad olio.
Io sono Dylan, sono un amico di Axy e forse anche qualcosa in più. Quando mi sarò laureato in medicina forse mi fidanzerò con lei, ma non so … manca ancora molto tempo. Avevo iniziato Giurisprudenza, ma poi ho smesso e mi sono iscritto alla facoltà attuale e i tempi, tra il presente e la laurea, si sono ulteriormente allungati.
Mia madre voleva che io facessi medicina ma io, per dimostrarle autonomia di pensiero e conoscenza del mondo, mi sono iscritto a giurisprudenza, per poi accorgermi che aveva ragione lei. Voglio curare la gente dalle malattie, non mandarla fuori o dentro dalla prigione.
Così ho cambiato facoltà e mi sono messo a studiare a più non posso, con mia madre che ogni tanto mi borbotta nelle orecchie ‘Io te l’avevo detto! sei un testone, una zucca come quelle che coltiva Annarita.’ Annarita è la zia di mia madre, la sorella della nonna. Vive in campagna e, davanti a casa, ha un campo dove coltiva di tutto. Le zucche americane sono una delle sue passioni.
Non lavorando non ho soldi e senza soldi non c’è molto futuro da progettare. Ma prima o poi riuscirò a laurearmi, a fare il medico e ad essere autonomo economicamente. Allora vorrei trovare una casa per me in Via Santoni Rosa e poi chiedere ad Axy se le piacerebbe venirci a stare.
In quella via abitano i suoi parenti e tutti i loro animali (veri e meccatronici), quel gruppo simpatico che costituisce la grande famiglia dei ‘Santoniani’. Là c’è la vecchia casa di Costanza e Cecilia, la prozia e la nonna di Axy. Ascoltare Cecilia e Costanza che raccontano le storie di famiglie è uno dei miei passatempi invernali preferiti. Nel grande soggiorno dai divani gialli dove viene acceso il camino, Zeus-t abbrustolisce le castagne e le offre agli ospiti con molta eleganza.
Io e Axy ci sediamo a volte sul divanetto d’Adelina, non so esattamente perché tutti lo chiamino così, e a volte in terra sul tappeto che copre la sezione di pavimento circondato da due divani, due poltrone e un tavolino su cui ci sono riviste e ‘occorippi’.
Là seduti ascoltiamo i racconti di nonna e zia e il tempo vola sulle ali dei ricordi. Sono ali che possono essere leggere o pesanti, corte o lunghe, ma mai banali. Quei pomeriggi passati seduto sul tappeto mi aiutano a prendere le distanze dalla vita frenetica che mi caratterizza spesso. Tra corsi universitari, libroni da leggere più volte, cliniche in corsia e volontariato alla Croce Rossa, passo da un accidente all’altro, oscillando come le palline del moto perpetuo.
Penso che mi specializzerò in pronto soccorso, niente di semplice e tranquillo, ma che porta appresso la consapevolezza di molta utilità. Anche un po’ di spirito caritatevole e anche un po’ di masochismo, la mia quotidianità è tutta lì.
Poi c’è Axy con i suoi occhi scuri, i capelli ricci e quella sua passione per l’informatica e per la Formula 1. Una ragazza bella e brava, anche cocciuta e taciturna. Molto brillante e sorprendente. Ama vestirsi di bianco, nero e grigio. Ha uno zaino nero e una felpa verde militare con scritto: ‘Non buttate la plastica, gli aironi la potrebbero mangiare’.
Lungo il Lungone vivono tanti aironi cenerini e Valeria, la mamma di Axy, va spesso a osservarli, portandosi appresso Cosmo-111. Il robot ogni tanto li fotografa, ci sono a casa loro delle immagini magnifiche di quegli uccelli fluviali dalle grandi ali.
Io vivo con mia madre Alessia, mio padre è morto in un incidente quando avevo tre anni. Di lui mi ricordo molto poco, la mamma dice che era uno psicologo molto bravo. Un suo paziente l’ha accoltellato mentre usciva dallo studio. È morto il giorno seguente in ospedale a Trescia, dopo che invano i chirurghi avevano tentato un intervento per salvarlo.
Ho raccolto tutti i ritagli di giornale che ho trovato su quell’avvenimento e ogni tanto li rileggo per non dimenticare nemmeno una parola di quello che c’è scritto su quei pezzi di carta. La mamma non sa che io li ho, è il mio segreto. Un segreto buono, non gliene ho mai parlato per non farla soffrire e per non tornare a specchiarmi in quegli occhi lucidi e senza fondo con cui mi guardava quando mi accompagnava a scuola e vedeva i miei coetanei con i loro padri.
Sono cresciuto con mia madre, con il cane Bambù-senior prima, con Bambù-junior poi e con il fantasma di mio padre. Tutto sommato un fantasma discreto, che ci ha lasciato molto vuoto, ma nessun brutto ricordo. Credo che anche quello sia molto importante. Non lasciare dietro di noi amarezze di alcun tipo.
Questo è ciò che mi resta di mio padre, una assenza senza rancore, un vuoto che non si riempie mai, ma che non si colma di brutti ricordi, sta semplicemente lì, sedimentato come una stalagmite senza punte.
Mia madre mi ha raccontato che il paziente che ha ucciso mio padre è stato rinchiuso in un ospedale psichiatrico, non sa attualmente dove sia, non sa nemmeno se sia ancora vivo. Forse anche per tutto questo voglio fare il medico, voglio che gli psicologi si salvino e i loro figli crescano senza pericolosi cristalli di roccia sul loro cammino.
Ad Axy ho raccontato questa triste vicenda e le ho anche fatto vedere i ritagli di giornale. Lei li ha letti tutti e poi ha promesso di mantenere il segreto sulla loro presenza a casa mia. Condividere un segreto accumuna molto due persone. Le rende complici nei confronti di tutti coloro a cui il segreto non è stato svelato.
So che Axy non ha raccontato niente a nessuno, nemmeno alla prozia Costanza, con cui parla sempre. Una volta mi ha chiesto se potesse rendere partecipe Costanza del nostro segreto e io le ho detto di no. Dopo quella volta non ha più fatto menzione agli articoli e io le sono grato per questo. Un po’ perché non voglio che mia madre sappia dei ritagli e si senta tradita dalla mia mancanza di confidenza e un po’ perché il segreto che c’è tra di noi mi fa sentire Axy più vicina, una complice buona e muta sulla quale posso contare.
Da quando ho raccontano tutto a Axy la mia vita è migliorata, mi sento meno solo, con un fardello meno pesante sulle spalle. Il dolore condiviso è meno cattivo, si addomestica più facilmente. Credo che se ogni persona sofferente potesse trovare un complice che capisce e condivide il suo dolore, soffrirebbe di meno, troverebbe con più facilità una strada per riappacificarsi con il mondo e con le sue malvagità.
Ad Axy non è ancora morto nessun parente particolarmente caro, però si ricorda Albertino Canali, il bizzarro vicino di casa di Costanza che è morto qualche anno fa. Quel signore era pettegolo e un po’ rude, aveva passato la vita a fare il trebbiatore, ma era anche intelligente e buono.
Tutti i Santoniani erano molto affezionati ad Albertino e la sua dipartita ha suscitato in loro grande tristezza. Sono contento che Axy non si sia ancora confrontata con qualche vero dramma che può succedere nella vita, è meglio così, le resta maggiore energia per guardare al futuro con positività, per pensare che domani sarà migliore di oggi e non viceversa, per credere che potrà realizzare tutti suoi sogni e per non farsi attanagliare dalla preoccupazione.
Lei non pensa che uno dei suoi cari potrebbe morire da un momento all’altro nelle accidentalità più dolorose che si possono immaginare, lo penso io. Axy è molto forte e libera, per questo ha potuto condividere il mio segreto e farsene in parte carico, aveva sufficienti risorse emotive per sopportarlo. Sono molto contento di questo e mi chiedo se anch’io riesco, con la mia presenza, a renderle migliori le giornate. Spero proprio di sì.
Fra un po’ è Natale, tempo di buoni sentimenti, di pensieri sull’anno che sta chiudendo, di programmi per quello nuovo. È anche tempo per fermarsi e godere la presenza dei parenti che, nel nostro caso, non sono né serpenti né invadenti.
Vorrei farle un regalo e vorrei essere sicuro che sia unico. Ho così pensato che le regalerò un quadro fatto da me. Sto aspettando un’alba colorata. Sono due settimane che metto la sveglia alle cinque, apro la finestra e guardo il cielo per vedere com’è. Non ho ancora trovato un’alba abbastanza bella per essere dipinta sulla tela sabbiata già pronta. La voglio rosa, azzurra e bianca, con anche la luna. Un’alba così bella che solo il giorno di Natale la può meritare.
Così potrei fare ad Axy un regalo fatto con le mie mani, che rappresenta un fenomeno naturale ammirevole. Un quadro che raffigura l’alba a Pontalba per lei, per i Santoniani e per tutta la gente che vive a Pontalba. Vorrei che potesse servire ad augurare un buon Natale anche a chi da Pontalba passa solo qualche volta e si ferma per un po’ a guardare gli abitanti di questo paese di pianura, dove il fiume scorre insieme al tempo e si ferma quando vuole per augurare a tutti la felicità.
N.d.A.
I protagonisti dei racconti hanno nomi di pura fantasia che non corrispondono a quelli delle persone che li hanno in parte ispirati. Anche i nomi dei luoghi sono il frutto della fantasia dell’autrice.
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