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Le storie di Costanza. Albertino Canali e la maestra Caterina

È marzo e fa ancora freddo, le foglie degli alberi sono piccole e arricciate su loro stesse per proteggersi dalla bassa temperatura e dal vento. Tra le fronde degli alberi passa molta luce, che di questa stagione è particolarmente chiara e trasparente. Marzo è un bel mese, riluce di nuovo e di imminente primavera.

Io e i miei colleghi trebbiatori abbiamo cominciato a seminare, ma possiamo ancora godere di un po’ di tempo libero. Sto revisionando le raccogli-sgranatrici e scegliendo sementi dal catalogo del grossista che mi fornisce sempre. Oltre a trebbiare i campi degli altri agricoltori Pontalbesi, ho alcuni ettari di terreno che coltivo per me. Ci semino soprattutto frumento, che poi diventa farina per la mia casa e per quella di mia sorella Gina, granoturco che do da mangiare ai miei animali da cortile e un po’ di orzo.

Ho sei galline ovaiole, tre anatre e due oche. Le galline sono rossicce, hanno dei bei bargigli rossi e degli occhi tondi e vigili. La cultura popolare dice che le galline sono stupide, ma io so che non è così, vedendole tutti i giorni, vengo spesso sorpreso dalla loro perspicacia e dalla determinazione con cui perseguono i loro scopi da animali di cortile. Le due anatre sono una coppia di germani reali molto belli, la femmina tutta grigia e il maschio con il classico collare verde brillante che contraddistingue questa specie.

Le oche sono bianche candide con il becco giallo. Sono due animali da guardia sorprendenti. Quando si avvicina qualcuno starnazzano così forte che le sentono per tutta via Santoni. Una volta Costanza Del Re mi ha detto: «Altro che pitbull, quelle due oche fanno più paura dei cani, spaventano anche la maestra Caterina che passa di qui tanta volte al giorno». Non paragonerei le mie oche a dei pitbull, Costanza esagera sempre un po’, però devo ammettere che starnazzano forte e quando spalancano il becco sembrano delle indemoniate.

Caterina è l’unica maestra della nostra scuola primaria che risiede a Pontalba e passa a piedi da via Santoni diverse volte al giorno per andare a lavorare. Va alla mattina, torna a ora di pranzo, rivà il primo pomeriggio, torna il tardo pomeriggio, e se c’è qualche riunione di sera, a scuola o in parrocchia, ripassa nuovamente col suo incedere deciso e la sua folta chioma di capelli color carota. Visto il colore dei suoi capelli si direbbe che sia olandese o comunque nordica, non Lombarda. Ma non è così, i suoi colori ingannano, chissà che antenati ha avuto.

La maestra Cate, come qui la chiamano tutti, è una istituzione del paese. A lei si ricorre per svariate attività comunitarie compreso l’identificare quei Pontalbesi che, essendo poco socievoli, sfuggono alla potente rete sociale che accomuna tutti gli abitanti del paese e che fa sì che nessuno possa traferirsi, ammalarsi, sposarsi, laurearsi, divorziare, morire senza che tutti lo sappiano. Se qualcuno sfugge all’identificazione, Caterina ricostituisce l’ordine sociale.

Lei sa chi è anche il più scontroso ed ermetico dei paesani, perché l’ha avuto a scuola. Lo “scontroso” è sicuramente stato un suo bambino della primaria e se non l’ha istruito lei direttamente, l’ha sicuramente fatto qualche sua collega a cui si può ricorrere per l’identificazione. Il Pontalbese ramingo viene così ricollocato in quella specie di organigramma ascritto che racchiude tutti gli abitanti di questo angolo di mondo. Un organigramma che toglie un po’ di privacy, ma che sa ricompensare con conoscenza e socialità.

Alla fine, il cambio è sicuramente favorevole. Dove non ci si conosce non ci si aiuta e non si condividono gioie e dolori. Dove non c’è condivisione non c’è vita comune e non c’è socialità. Si crea una solitudine che impoverisce la vita fino a renderla insignificante, fino a risucchiare nell’anonimato chicchessia, rischiando di farlo diventare una persona perennemente triste.

Quindi dobbiamo ringraziare tutti Caterina, perché fa la maestra, perché aiuta la comunità e perché conosce tutti. Grazie alla sua dedizione a questo posto i suoi capelli rossi passano inosservati e sembra che siano come quelli di quasi tutti gli abitanti di questo paese di pianura conquistato dai Longobardi moltissimi anni fa.

Anche a Costanza Del Re piace la maestra Caterina, la considera una persona di buon cuore e quindi indispensabile a questo posto. Quando passa da qui, la saluta sempre.

«Ciao Caterina, come stai?»

«Ciao Costanza, come al solito, si corre su e giù. E tu come stai?»

«Idem. Si prosegue, speriamo che esca un po’ di sole che poto le rose del mio giardino. Come va a scuola?»

A quel punto si mettono spesso a confabulare tra loro a bassa voce e nessuno sa cosa si stiano dicendo. Dopo poco si salutano e ognuna prosegue le sue attività, marciando su e giù per via Santoni Rosa.  Sono due guerriere, due donne che non perdono tempo, che lavorano sempre e che non si lasciano intimorire dalle chiacchiere. Dicono sempre quello che pensano, che piaccia o no.

Caterina è un po’ più diplomatica di Costanza, i tanti anni di scuola e una dirigente piuttosto autoritaria, l’hanno resa almeno apparentemente più docile. Costanza batte tutti, se pensa che sia suo dovere dire qualcosa, lo dice senza mezzi termini, che sia l’ultimo dei barboni o il Presidente della Repubblica, per lei è lo stesso. Ne fa una questione di onestà che lei considera il pilastro etico della sua vita.

È altrettanto vero che è sempre corretta, odia la volgarità e in questa sua convinzione è ammirevole. Poi con quel suo voler sempre avere ragione a volte è insopportabile, ma tant’è, qualche difetto ce l’hanno tutti. L’importante è non averla sempre alle costole. Qualche ora al giorno è già fin troppo, sarebbe per me impossibile sopportarla di più.

Sono qui seduto sul mio muretto e guardo il suo cancello di ferro smaltato di verde. Un grande sbarramento che copre la visuale dell’interno della casa e del cortile. So che se tengo duro prima o poi lei sbucherà dalla porticina ricavata in una sezione del cancello e mi saluterà «Ciao Albertino Canali, come stai?»

Sempre così da una vita, abitudinaria la signora. Esce quasi sempre in tarda mattinata, verso mezzogiorno e va da Camilla a far compere. Pane, affettati, formaggio, latte, sale, detersivi, strofinacci, saponi, tutto quello che le serve per cucinare e per fornire Rosa del necessario per tenere l’abitazione in buone condizioni. Pulire quella grande casa da cima a fondo è un lavoro non indifferente, così oltre a Rosa vi lavorano lei, la signora Anna, Pietro, e, d’estate quando non vanno a scuola, anche i suoi nipoti che l’aiutano con l’orto. Puliscono, lucidano, zappano e potano le piante, disinfettano dappertutto, curano i loro tre gatti e continuano a darsi da fare.

Tutto questo si interrompe solo quando Costanza diventa la poetessa Alba Orvietani e si mette e scrivere. Allora se ne va nel suo studio, chiude a chiave la porta della stanza e comincia a pigiare sui tasti del suo pc, ignorando qualsiasi cosa la circondi. Non sente nemmeno se il telefono squilla o se la signora Anna la chiama dal fondo delle scale. Sua nipote Rebecca dice che se in uno di quei momenti le cadesse sulla testa una bomba atomica lei non se ne renderebbe minimamente conto. Resterebbe là bruciata e priva di vita come un cactus del Texas dopo un pauroso incendio.

Sono ancora qui seduto che guardo il suo cancello ed ecco che la porta di ferro verde si apre e Costanza, con una tuta di pile bianco, esce.

«Ciao Albertino Canali – mi dice – Tutto bene?»

«Si tutto bene» rispondo

«Hai visto passare la maestra Caterina?» mi chiede

«No, ma esce da scuola alle dodici e trenta quindi fra poco passa di qui».

«Come fai a esserne sicuro?, potrebbe avere l’influenza e non essere andata a scuola. Se non è andata a scuola, non passa di qui alle dodici e trenta».

“Ecco, non va mai bene niente” penso, e poi le dico: «Ma perché dovrebbe avere l’influenza?, ieri l’ho vista passare e camminava spedita e dritta come sempre».

«Ma questo non vuol dire niente. Stanotte potrebbe esserle successo qualsiasi cosa, potrebbe perfino essere morta».

«Macché morta. Sarebbero suonate le campane. E poi perché dovrebbe essere morta? Sta benone, allontana da te questi pensieri macabri e distruttivi che servono solo a metterti di malumore» le dico.

Lei mi guarda pensierosa.

«Però magari non c’è lo stesso, potrebbe aver chiesto un giorno di permesso».

«Come no, un giorno di permesso, ne può chiedere due in un anno e ne ha chiesto uno proprio oggi».

«Vabbè … però non lo si può escludere a priori» continua.

Intanto sentiamo la campanella della scuola che suona e dopo due minuti vediamo Caterina che esce con la borsa a tracolla e un pacco di quaderni sotto il braccio.

«Ecco Caterina – dico – si sta avvicinando»,

«bene – dice lei – per oggi non è morta».

Guardiamo la maestra Cate avvicinarsi con il suo passo deciso e il viso sorridente. Non ha proprio nulla di mortifero, anzi sembra proprio il ritratto della vitalità.

«Sei sempre la solita che vede le catastrofi dove non esistono» dico a Costanza.

«Macché, sono solo una che prende in considerazione tutte le possibilità» e così dicendo comincia a camminare e si dirige verso la maestra. Fra un po’ si fermeranno a confabulare degli affari loro e io resterò lì come un soprammobile del mio muretto, guardando una porticina verde che non aspetta di certo me.

Coltivo anche mezzo ettaro di barbabietole da zucchero che poi rivendo. Ultimamente con le barbabietole si guadagna bene, posso accumulare un gruzzoletto per fare qualche lavoro in casa, magari risistemare il tetto con i coppi nuovi. Gina si è risposata con Luigi, un agricoltore un po’ burbero, ma buono come il pane. Ha dieci anni più di lei

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Costanza Del Re

E’ una scrittrice lombarda che racconta della vita della sua famiglia e della gente del suo paese, facendo viaggi avanti e indietro nel tempo. Con la Costanza piccola e lei stessa novantenne, si vive la storia di un’epoca con le sue infinite contraddizioni, i suoi drammi ma anche con le sue gioie e straordinarie scoperte.

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