Domani le elezioni. Sappiamo tutti chi vincerà, ci manca solo di sapere di quanto vincerà. Non c’è ‘voto utile’ che tenga, la storia si ribalta: la Invencible Armada della Destra questa volta è davvero imbattibile. E lo sarebbe stata ugualmente se il Pd avesse scelto altri e diversi compagni di sventura.
A due passi dalle urne, non è il caso di far la conta dei tanti errori, prossimi e remoti, della Sinistra o della ex Sinistra italiana. Dopo, da lunedì in poi, ci sarà tutto il tempo per esercitarsi sull’argomento.
Qui. invece, vorrei provare a ragionare di elezioni, voto, elettore, partito: quattro parole che sono sempre andate a braccetto, quattro ‘ingredienti base’ di ogni cucina politica.
Una volta le elezioni
Una domenica di sole
Una mattina molto bella
Un’aria già primaverile
In cui ti senti più pulito
Anche la strada è più pulita
Senza schiamazzi e senza suoni
Chissà perché non piove mai
Quando ci sono le elezioni
Che rassomiglia un po’ a un esame
Di cui non senti la paura
Ma una dolcissima emozione
E poi la gente per la strada
Li vedo tutti più educati
Sembrano anche un po’ più buoni
Ed è più bella anche la scuola
Quando ci sono le elezioni
C’è un’aria più rassicurante
Ma mi ci vuole un certo sforzo
Per presentarmi con coraggio
C’è un gran silenzio nel mio seggio
Un senso d’ordine e di pulizia
Democrazia
È proprio vero che fa bene
Un po’ di partecipazione
Con cura piego le due schede
E guardo ancora la matita
Così perfetta e temperata
Io quasi quasi me la porto via
Democrazia.
(Compositori: Alessandro Luporini / Giorgio Gaberscik)
Più di trent’anni fa, l’insostituibile Giorgio Gaber raccontava così – con grazia e ironia – il rito italiano delle elezioni. E’ tutto vero, e un po’ me la ricordo ‘la domenica delle elezioni’, era un giorno speciale, diverso da tutti gli altri giorni. C’era qualcosa nell’aria, un’attenzione, un sentimento che ci veniva da qualcuno più vecchio di noi: il diritto/dovere del voto. C’era l’idea, la convinzione che anche il nostro microscopico voto – una goccia nel mare – era importante. Decisivo, Non avrebbe cambiato l’Italia. Certo che no. Il nostro voto era una briciola, ma insieme a tante altre briciole avremmo contribuito al bene comune, migliorato il nostro paese, o almeno, avremmo raddrizzato qualche torto.
Dov’è finito il ‘mio partito’?
E non ditemi che oggi siamo meno ingenui. Siamo sinceri, il fatto è che oggi (e da parecchi anni) in tanti, specie tra chi votava dalla parte della sinistra, alle elezioni non ci credono proprio più. Lo dico con più grazia: gli italiani hanno una diversa percezione del voto elettorale, non lo sentono più come un momento importante, il punto culmine della loro partecipazione alle sorti del paese.
E non è un fatto di poco conto; perché il nostro sistema democratico, così come è stato disegnato dalla Costituzione repubblicana, si basa sulla democrazia rappresentativa: tu voti un partito (quello che più rappresenta i tuoi valori, i tuoi bisogni, le tue istanze) e il ‘tuo partito’ ti rappresenterà in parlamento. Il tuo partito sarà la tua voce, lavorerà giorno e notte per raggiungere gli obiettivi che ti sono cari e cambiare in meglio l’Italia.
Partito ed elettore, Politica e Società sono diventati due mondi distinti e lontani, due insiemi non comunicanti. O qualcuno pensa che a colmare quel fossato possano servire i reiterati e retorici appelli agli indecisi, o il serrato corteggiamento ai giovani che voteranno per la prima volta? (E questa volta saranno la bellezza di 4 milioni gli elettori debuttanti, da qui la insistenza sui giovani di tutti i partiti, fino a diventare il chiodo fisso di Enrico Letta).
Le risposte sono sempre quelle. La colpa dei partiti di sinistra è quella di aver abbandonato il lavoro porta a porta, in gergo politico ‘il territorio’. L’aver ripiegato le bandiere e accantonato i propri valori identitari. La colpa è dei programmi di partito, general-generici, ondivaghi, incomprensibili. O delle tattiche e delle alleanze spurie, contraddittorie, scandalose. O ancora, e questo è un must che è ancora possibile ascoltare in qualche bar Sport superstite: “Manca un vero leader, uno come Berlinguer”, uno capace di infiammare i cuori e riempire le piazze (e le urne).
Qualcosa di vero ci sarà, ma nessuna di queste spiegazioni mi convince.
Proviamo a sommare agli astensionisti (e alle schede bianche e nulle) tutti quei ‘bravi cittadini elettori’, che anche domenica prossima metteranno la croce su un partito e su uno sconosciuto candidato, ma che l’hanno fatto solo per un’antica abitudine o un rimasuglio di ‘dovere civico’. Tutti gli elettori che hanno votato senza convinzione (lasciamo perdere l’entusiasmo), tutti gli elettori che non credono che il loro voto possa contare o servire a qualcosa. Mettiamoli tutti insieme e ci accorgeremo che la maggioranza assoluta degli italiani ha smesso di credere nella politica, nei partiti, nelle elezioni.
Voto… non voto… e se voto per chi voto?
Mai come in queste settimane incontro amici, ricevo messaggi e telefonate che mi chiedono per chi è giusto o è meglio votare, e se io voterò e per chi voterò. Sono tanti, soprattutto giovani e giovanissimi. ma anche ex militanti di partito e attivi nei movimenti e nel volontariato sociale.
Alcuni di loro (i più giovani) mi sparano addosso domande secche, radicali, imbarazzanti: “Dimmi di preciso che senso e che valore ha il mio voto?” Cosa cambia in Italia e nella mia vita? Devono essere confusi o disperati per chiederlo proprio a me, io che non sono né un politico né un sociologo, tantomeno un maître à penser. Rispondo che voterò, per dovere civico, e per mettere il mio sassolino contro la Meloni. E per chi voti? Voto a Sinistra. E cioè, per quale partito? Non lo so, è un problema, ci sto ancora pensando.
Oggi, questa è almeno la mia impressione, non è più così.
E’ possibile una riforma radicale del partito, teoria e prassi? Personalmente faccio fatica a pensarlo. C’è l’arteriosclerosi galoppante dei partiti: leaderismo, correntismo, tatticismo eccetera eccetera. Bisognerebbe capovolgere il partito come un calzino, svuotarlo completamente di uomini e cose, e ricominciare a riempirlo con bisogni, idee, speranze, passione.
Ma nemmeno questo, temo, basterebbe: le istanze che percorrono la società, le identità che la popolano, si sono moltiplicate e il ‘calzino partito’ e decisamente troppo stretto per contenerle.
Come sarà possibile dare rappresentanza a queste ‘cucine popolari’, che sono poi la parte migliore del paese? Con quale strumento sarà possibile una sintesi (e si chiamerà ancora ‘sintesi’?) per portare le nuove istanze in parlamento e al governo.
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Francesco Monini
Commenti (3)
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Francesco hai fatto centro.
Preziosa quadro che sotto ha la didascalia “Dove navighiamo oggi come cittadini. Bussole cercando…”
Tutto tremendamente vero, io oggi, ma anche ieri non ho la forza di fare un commento/analisi intelligente. Non mio viene. lo dici bene tu, e io estremizzo, “il nuovo è vecchio e il vecchio è nuovo” parafrasando Orwell, lo dico da decenni. Occorre rispolverare “l’agenda” Gramsci o l’agenda Berlinguer. Occorre avere ancora la voglia di stare insieme, di sentirci compagni, di volersi bene a prescindere dal io sono meglio di te, io sono puro. Puro un cazzo, lo sappiamo tutti che la purezza è di destra. Hlvs