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Ferrara film corto festival

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Buone notizie? Una: fra poche ore ci sbarazzeremo  di questo avaro e interminabile 2022.
Ma ormai è mezzanotte. La televisione è spenta. Riempiamo i bicchieri, guardiamo negli occhi chi ci è vicino, inviamo un pensiero a chi amiamo da lontano… Ma insomma, dobbiamo continuare a fare la finta,  sottoporci ancora al rito dell’illusione?  E’ sempre più complicato credere ai brindisi, agli auguri, all’Anno Nuovo che arriva per  portare al mondo un qualche dono. Eppure
Periscopio ci prova, ancora ci crede.
Pubblichiamo di seguito l’editoriale degli amici di
Volere la luna a firma dell’ex magistrato Livio Pepino; è un bilancio tanto amaro, quanto realistico, dei mali  di un mondo sempre più malato.  Basta alzare lo sguardo, ascoltare il pianto di un dolore diffuso: davvero la speranza non abita più qui? Introvabile nelle stanze della politica come nei banchi del supermercato neoliberista. Eppure, per quanto sembri impossibile, è ancora e solo compito nostro, solo le donne e gli uomini possono aprire nuovi sentieri, proporre (imporre) il regime della ragione,  dell’uguaglianza, della cooperazione.
Ci vorrà tempo, ma è  il tempo di assumerci questo impegno. 

Francesco Monini

di Livio Pepino
Tratto da Volere la luna del 30.12.2022

Sta per andarsene un anno orribile. Come pochi altri nella vita della mia generazione.

Una guerra mondiale (per numero di paesi direttamente o indirettamente coinvolti) sta mietendo decine di migliaia di vittime, distruggendo un intero paese e provocando una catastrofe ambientale.
È una guerra, per di più, destinata a proiettarsi in un futuro in cui sono in gioco non solo le sorti dell’Ucraina e (forse) della Russia ma gli equilibri geopolitici che caratterizzeranno il mondo nei prossimi decenni con cambiamenti epocali, a partire dal ruolo della Cina e di altri colossi emergenti. E non è una guerra isolata.

Ci colpisce in modo particolare perché è nel cuore di un’Europa che ha conosciuto decenni di pace (con la sola tragica eccezione della ex Jugoslavia) ma, nel mondo, i conflitti dimenticati o rimossi sono decine, in Kurdistan, in Palestina, nello Yemen, nel Myanmar per citare solo i più noti.

Ci stiamo abituando e la guerra diventa normale, parte del paesaggio planetario e delle rubriche fisse dei telegiornali. E, con l’abitudine, sono riemersi – incomprensibilmente solo con riferimento all’Ucraina – lo spettro del nazionalismo, la retorica della guerra giusta, il mito della “vittoria finale”. Ciò ha diviso, nel nostro Paese, quel che resta della sinistra. Così, compagni di sempre hanno letteralmente indossato l’elmetto e impugnato le armi proclamando che non c’è trattativa o compromesso possibile, anche se tutti sanno che la guerra finirà – dopo decine, o forse centinaia, di migliaia di morti evitabili – con un compromesso analogo a quello che si sarebbe potuto raggiungere nove mesi fa.

E non ci sono solo la guerra e, al suo fianco, la violazione dei diritti civili, diffusa più che mai anche in Europa (e nei Paesi con essa alleati). Ci sono, per continuare nel linguaggio bellico, una questione ambientale e una questione sociale esplosive.

La crisi climatica e ambientale è sotto gli occhi di tutti: basta aprire una finestra, scorrere il bollettino delle temperature, leggere i giornali (che descrivono, anche qui considerandoli eventi naturali e all’ordine del giorno, fenomeni atmosferici estremi che distruggono vaste aree di un mondo che si modifica sotto i nostri occhi distratti). A fronte di ciò, capi di governo e leader mondiali dichiarano, a parole, la propria consapevolezza e determinazione ma, in concreto, non ci sono interventi significativi, a meno di considerare tali le inutili proclamazioni conclusive di conferenze internazionali sempre più stanche e ripetitive, incapaci di rinunciare al mito della crescita infinita, delle risorse illimitate, dell’energia a ogni costo, delle grandi opere inutili, del dio mercato.

Non meno grave la (connessa) crisi sociale.
Ovunque, nel mondo, i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri diventano sempre più poveri. Il patrimonio netto dei 10 miliardari più ricchi si è più che raddoppiato (+119%), in termini reali, dall’inizio della pandemia, superando il valore aggregato di 1.500 miliardi di dollari, oltre 6 volte lo stock di ricchezza netta del 40% più povero, in termini patrimoniali, dei cittadini adulti di tutto il mondo (https://volerelaluna.it/materiali/2022/01/21/la-pandemia-della-disuguaglianza/).

È il trionfo della disuguaglianza. Ma non è solo un fatto quantitativo. «Tutto – come ha scritto papa Francescoentra nel gioco della competitività e della legge del più forte, dove il potente mangia il più debole. Si considera l’essere umano in se stesso come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare. Abbiamo dato inizio alla cultura dello “scarto” che, addirittura, viene promossa. Non si tratta più semplicemente del fenomeno dello sfruttamento e dell’oppressione. Gli esclusi non sono “sfruttati” ma rifiuti, “avanzi”». Il rischio è quello descritto con lucidità da Luigi Ferrajoli: «È del tutto inverosimile che otto miliardi di persone, 196 Stati sovrani dieci dei quali dotati di armamenti nucleari, un capitalismo vorace e predatorio e un sistema industriale ecologicamente insostenibile possano a lungo sopravvivere senza andare incontro alla devastazione del pianeta, fino alla sua inabitabilità» (Per una Costituzione della Terra, Feltrinelli, 2022).

Intanto, mentre sul piano individuale non ci siamo ancora ripresi dallo shock della pandemia (che ha svelato la nostra vulnerabilità e insicurezza, quando vivevamo nell’illusione che le scoperte scientifiche e le tecnologie ci avessero reso invincibili e padroni dell’universo), su quello collettivo sperimentiamo, ovunque, il deperimento degli istituti della democrazia a cui siamo stati abituati con la fuga dei cittadini dal voto (e conseguente riproposizione, pur rivisitata, dell’antico “governo dei meno”), l’accantonamento dei parlamenti a vantaggio dei governi (che, a loro volta, si dichiarano impotenti di fronte allo strapotere delle multinazionali private), l’insediamento all’est e all’ovest, nel guscio vuoto degli istituti della rappresentanza, di regimi autoritari (definiti appunto, con evidente ossimoro, “democrazie autoritarie”).

Se, poi, guardiamo al nostro Paese la situazione è segnata – oltre che dagli elementi sin qui descritti – da una deriva politica e culturale senza precedenti nella storia repubblicana. Per la prima volta abbiamo un Governo dalle esplicite ascendenze fasciste che, come ha sintetizzato da ultimo Francesco Pallante «mentre, a parole, si autoproclama difensore della nazione intera, nei fatti opera a smaccato beneficio soltanto delle parti “amiche”, favorendo l’ingiustizia tributaria, ammiccando all’evasione fiscale, sostenendo le regioni già ricche, dimenticando la sicurezza sui luoghi di lavoro, aumentando le occasioni di sfruttamento, propugnando l’autoritarismo nei confronti dei più giovani, contrapponendo studenti meritevoli e immeritevoli, operando per la privatizzazione della sanità, annullando le politiche per la casa, reprimendo l’immigrazione con la negazione di ogni umanitarismo, osteggiando i diritti civili vecchi (la libertà di associazione) e nuovi (la libertà di autodeterminazione della propria sfera sessuale e vitale)»(https://volerelaluna.it/commenti/2022/12/19/meloni-la-retorica-della-nazione-e-il-neoliberismo-autoritario/).
Inutile insistere oltre data l’evidenza dei fatti, pur minimizzati – ed è un ulteriore segnale della deriva che stiamo vivendo – dall’establishment politico, mediatico e culturale.

È in questo contesto che sta arrivando il nuovo anno. Non arriverà – è facile prevederlo – l’anno evocato, tempo fa, da Lucio Dalla in cui «sarà tre volte Natale e festa tutto il giorno» e «ci sarà da mangiare e luce tutto l’anno». Sarà, al contrario, un anno difficile nel quale le tendenze emerse nel 2022 proseguiranno e si consolideranno ulteriormente.

Eppure non è consentito cedere alla rassegnazione e allo sconforto. Le difficoltà e la regressione che stiamo vivendo non sono ineluttabili ma frutto di scelte e di comportamenti individuali e collettivi. In una parola, di una cultura.

A qualcuno potrà sembrare strano ma, negli anni a venire, lo scontro sarà sempre più sul piano culturale e comportamentale, cioè là dove si annidano i presupposti e le motivazioni delle scelte economiche, politiche, sociali, ambientali. E, qui, nella grande storia, facciamo capolino noi con la nostra piccola storia. Piccola ma importante.

Cosa può fare in questo contesto una realtà come Volere la Luna? La strada è tracciata da tempo: «proporsi quello che può sembrare impossibile a molti, ma che in realtà dovrebbe essere normale: cambiare radicalmente il proprio modo di essere, di pensare, agire, cooperare e aggregarsi, tenendo fermi i valori di riferimento di un solidarismo radicale. Il mondo è cambiato, è ora di cambiare noi stessi. E il nostro modo di stare insieme. A cominciare da tre obiettivi primari: contrastare le diseguaglianze, promuovere ma soprattutto praticare forme di partecipazione solidale, favorire la rinascita di un pensiero libero e critico. Cioè non limitarsi a proclamare i propri valori, ma praticarli concretamente, con azioni positive quotidiane, creazione di occasioni di prossimità, di spazi, anche limitati, di relazione, di strumenti di comunicazione aperti e critici» (dallo statuto di «Volere la luna»). Si tratta di consolidare quegli obiettivi, di allargare la nostra comunità a tutte e tutti coloro che vorranno continuare a sostenerci in questo percorso difficile ma affascinante, di creare alleanze e collaborazioni ovunque possibile.
Basterà? Non nei tempi brevi, ma a medio termine contribuirà ad avviare cambiamenti significativi.
L’importante è tenere la barra dritta, non accettare aggiustamenti e compromessi al ribasso e continuare, nonostante tutto, a volere la luna.

 

Livio Pepino,
Già magistrato e presidente di Magistratura democratica, dirige attualmente le Edizioni Gruppo Abele. Da tempo studia e cerca di sperimentare, pratiche di democrazia dal basso e in difesa dell’ambiente e della società dai guasti delle grandi opere. Ha scritto, tra l’altro, “Forti con i deboli” (Rizzoli, 2012), “Non solo un treno. La democrazia alla prova della Val Susa” (con Marco Revelli, Edizioni Gruppo Abele, 2012), “Prove di paura. Barbari, marginali, ribelli” (Edizioni Gruppo Abele, 2015) e “Il potere e la ribelle. Creonte o Antigone? Un dialogo” (con Nello Rossi, Edizioni Gruppo Abele, 2019).

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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