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I ministri europei dell’energia anticipano al 9 settembre l’incontro di Berlino in quanto gli aumenti enormi di gas/luce mettono a rischio non solo molte famiglie ma parte dell’industria europea.
Si profilano razionamenti e una riforma strutturale dell’energia basatasi fino ad oggi sul libero mercato.
L’Europa scopre (un po’ tardi) che non si può andare avanti con bollette stratosferiche legate al “prezzo marginale” che fa la borsa Ttf di Amsterdam (avviata nel 2003). Una borsa che molti esperti hanno definito unautentico casinò che consente agli speculatori enormi profitti a spese dei consumatori e che ora tiene in scacco coi suoi prezzi (20 volte quelli del 2021) i cittadini europei.

Una borsa, quella di Amsterdam, con scambi modesti (1-2 miliardi di dollari di gas al giorno) contro i 2mila miliardi di dollari del petrolio Brent alla borsa di Londra (fonte Salvatore Carollo sulla rivista Energia.it) e che – non riflettendo i reali valori tra produzione e consumo -, consente con pochi movimenti speculativi di modificare (e di molto) il prezzo giornaliero. Già la California fu travolta nel 2000 da un sistema simile dove “gli squali della finanza sfruttarono gli errori dei politici” (F.Rampini su Il Corriere della Sera del 2.9.2022), che portò al fallimento della società finanziaria Enron. E la storia si ripete oggi con gas e luce in piena Europa.

E’ la Germania il paese più colpito perché ha la manifattura più estesa in Europa (seguita da quella italiana) e il suo modello di sviluppo si è basato per decenni su export ed energia a basso prezzo dalla Russia.

La carenza di gas ha fatto schizzare i prezzi alle stelle e il rischio è che le imprese europee vadano fuori mercato in quanto quelle americane pagano gas ed elettricità 7-10 volte meno e i cinesi la metà.
Se 2/3 delle famiglie italiane rischiano di perdere ‘solo’ una parte dei risparmi nei prossimi 6 mesi (1/3 hanno contratti bloccati fino al 30 aprile 2023, poi sarà “lacrime e sangue per tutti”), molte imprese europee (con contratti variabili) rischiano di chiudere o essere acquistate (come Pernigotti da JP Morgan, banca d’affari Usa). Il che prefigura chiusure, licenziamenti, deindustrializzazione e pesanti ricadute sul debito pubblico, specie per quei paesi (come l’Italia) che sono fortemente indebitati.

Dopo Svezia e Finlandia è ora la Germania che versa 10 miliardi a Uniper (l’utility tedesca del gas) affinché non fallisca, ma Uniper ha già perso negli ultimi 40 giorni altri 4 miliardi (perde 100 milioni al giorno) in quanto costretta a rifornirsi al mercato libero del gas. Ma al di là di Uniper, quasi nessuna impresa è in grado di reggere la concorrenza asiatica o americana con i prezzi attuali della materia prima energetica.

Negli ultimi 6 mesi industria e famiglie hanno ridotto i consumi energetici di circa il 15% in Germania e del 3% in Italia (al solito inadeguata), ma ciò non è assolutamente sufficiente (già l’Europa ci impone una riduzione del 7%). Inoltre ci sono prezzi stratosferici (245 euro a MWh ieri, 5 settembre, dopo il picco a 330 del 26 agosto), rispetto ad una media di 11-20 euro del 2018-2021), anche perché i rifornimenti alternativi alla Russia sono possibili solo in parte e a questi prezzi altissimi.

Ciò porta a rinviare la chiusura delle centrali nucleari tedesche (fissata a fine anno), a riaprire le 6 centrali a carbone in Italia e la BCE ad alzare i tassi di interesse (75 punti attesi) per mitigare l’inflazione, rallentando ancor più l’economia e accrescendo l’onere del debito pubblico per gli Stati. Europa e G7 hanno approvato un tetto al prezzo del gas russo (come chiesto da Draghi) e al petrolio russo (che scatta a fine anno) che probabilmente farà cessare completamente il flusso del gas russo aggravando il razionamento di questo inverno. Difficile pensare che la Russia possa accettare (unico tra i membri Opec+) di autoridursi i prezzi. Verosimilmente venderà petrolio e gas a Cina e India come sta già facendo.

In tale contesto cresce la pressione di cittadini e imprese perché la guerra finisca prima possibile.

Molte imprese espongono i confronti tra le bollette di questo anno e il 2021 (più alte da 3 fino a 16 volte) e sono i problemi che buona parte delle famiglie si troverà ad affrontare da ottobre (e forse per altri 2-3 anni).
Per molti paesi poveri (specie Africa) il rischio è ancora peggiore: la fame.
Negli ultimi 20 anni infatti qualcosa di molto storto è avvenuto anche nei paesi poveri, i quali (come noi) si sono sempre più indebitati, complici i bassi tassi di interesse che pagavano (in dollari) al Fondo Monetario Internazionale (Fmi), per cui oggi a livello globale il debito pubblico è salito a 305mila miliardi (348% del Pil mondiale), 5 volte quello che era nel 1997. 100mila miliardi sono debiti dei paesi poveri che hanno in parte anche migliorato le loro condizioni, ma ora, molto più indebitati, rischiano grosso.
Se infatti gli Stati Uniti, con l’inflazione alle stelle, aumentano i tassi di interesse al 3,5% per mitigarla, il dollaro (attuale moneta internazionale) si rivaluta (+12% sulle altre monete, euro incluso) e cresce così il costo annuo del debito dei paesi poveri (che è in dollari), per cui circa 20 paesi rischiano di fallire entro la fine dell’anno come lo Sri Lanka.

La finanza internazionale, a caccia di profitti per i nostri 50 milionari occidentali (americani, inglesi ed europei), dà un enorme contributo a questi squilibri perché sposta i soldi dai paesi emergenti (a rischio default) verso l’Occidente (circa 50 miliardi, fonte Fmi) dove crescono i tassi di interesse dei titoli di Stato e delle obbligazioni e anche per la rivalutazione del dollaro. Oltre alle manovre speculative su alimentari e gas che da sole incidono per la metà sugli aumenti in corso.
A rischio è paradossalmente anche l’Ucraina che da sola ha avuto un deflusso di 11,8 miliardi di dollari (da marzo) pari al 22% del totale deflusso dei paesi poveri e rischia la bancarotta dello Stato non più in grado di pagare gli stipendi (infatti l’Italia ha prestato, per ora, 200 milioni per pagare gli insegnanti).

Il Governo italiano anziché intervenire sulle regole di formazione del prezzo del kW al consumo ha lasciato fare, sapendo che ciò avrebbe prodotto ingenti extraprofitti (50 miliardi calcola la Confindustria). Extraprofitti che ha poi tassati per 25%, ma poiché la misura è malfatta ha raccolto solo 2-3 miliardi dei 10 previsti.
Doveva invece cambiare le regole di determinazione del prezzo base del kW al consumo, lasciando i legittimi profitti alle imprese della filiera, ma stroncando sul nascere gli extraprofitti. Il popolo italiano avrebbe ringraziato di cuore.

L’invasione della Russia in Ucraina ha dato di certo il via a questo processo, ma nessuna riduzione del 17% del gas in Europa da parte della Russia può scatenare prezzi 20 volte superiori.

Cosa dunque porta i prezzi alle stelle? Da un lato c’è la speculazione, dall’altro le aspettative degli operatori, banche e finanza
Si  è avviata una rottura della globalizzazione e delle catene di fornitura con il nuovo mondo bi-polare che si va realizzando, con due recinti sempre più chiusi (Usa-Occidente vs Cina-Russia) che produrrà per molti anni ancora (fonte Federal Reserve Usa) alta inflazione per tutti e conseguente impoverimento per tutti i popoli del mondo (Italia compresa).
Intanto prosegue la guerra dove a morire sono soprattutto gli ucraini (e russi). Anziché essere uniti, come Nato, per imporre a tutti una equa distribuzione degli oneri (almeno delle bollette) ci troviamo con paesi che per gli aumenti di gas e luce ci guadagnano (come Usa, Norvegia e Olanda) e noialtri che ci perdiamo. Strana idea di fratellanza.

Questo è a mio avviso il grande peccato di omissione dell’Europa, non aver capito per tempo il suo compito spirituale e civile, cioè diventare un Terzo polo nel mondo (autonomo sia da Usa che da Cina), dialogante con tutti, specie coi paesi poveri che sono la grande maggioranza nel mondo, sfruttando i reciproci interessi (come fece il grande Mattei a suo tempo con Eni), senza subire la diffidenza o l’ostracismo di molti paesi nei confronti degli USA per le sue politiche di potenza.
Era questo del resto il progetto politico di Gorbachev e di Brandt (due grandi statisti che “ci hanno provato” : alleare Europa e Russia (fonte Barbara Spinelli, Il Fatto quotidiano, 2.9.22). Del resto gli stessi Stati Uniti hanno capito, con l’uscita dall’Afghanistan che il mondo non può essere governato con le armi e solo un commercio equo (e non semplicemente “libero”) aiuta tutti a svilupparsi, limitando le speculazioni finanziarie e ridando un ruolo alla vera economia degli scambi equi nel rispetto anche della Natura che fino ad oggi è stata considerata una mera esternalità da distruggere per avere prezzi minori.

Questo non significa essere amici di Putin, ma capire che non ha senso combattere la Russia (che prima o poi si libererà di Putin), così come la Cina (che prima o poi potrebbe mitigare il suo dispotismo).
In ogni caso non è più possibile fare i ‘gendarmi’ di un mondo in cui diventiamo sempre più piccoli. Significa accettare che Russia e Cina oggi governati da dispotismi invaderanno il mondo e il nostro ricco Occidente? Non credo.
Compito dell’Europa è fare in modo che la Russia non finisca nella braccia della Cina in modo definitivo. Il futuro starà sempre più nella capacità di allearsi coi paesi poveri con scambi equi che favoriscano lo sviluppo (loro e nostro), Una politica di pace, diversa sia da quella militare americana, sia da quella ‘commerciale’ cinese che ‘aiuta’ i paesi poveri per indebitarli e portarli nella propria sfera di influenza.

L’Europa ha un altro ruolo, quello di proporre una ‘vita buona’ per tutti (non consumistica), basata sul modello sociale europeo, rispettoso della Natura, basata su scambi equi tra paesi, che ponga uno stop definitivo alle guerre e all’uso della finanza per impoverire con una ‘mano invisibile’ la maggioranza dei nostri concittadini e i paesi poveri come si fa da 500 anni.

Questo è il nostro ‘vantaggio competitivo’: cultura, habitat, ambiente, sanità, welfare, diritti umani, comunità territorialmente radicate che qualcuno vuole spazzare via.

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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