La strage di Addis Abeba
Nel ricordo di Yekatit 12, l’olocausto nero
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La strage di Addis Abeba. Nel ricordo di Yekatit 12, l’olocausto nero
Il 19 febbraio 1937, durante una cerimonia pubblica in onore della nascita di Vittorio Emanuele di Savoia tenutasi ad Addis Abeba nel giorno Yekatit 12 -Festa della Purificazione della Vergine, secondo il calendario copto e da allora Giornata di Lutto Nazionale Etiope in memoria delle vittime dei massacri- un commando composto da due guerriglieri eritrei, Abraham Debotch e Mogus Asghedom, lanciò contro il palco otto bombe a mano uccidendo quattro carabinieri italiani, tre zaptiè (carabinieri reclutati tra le popolazioni indigene) e ferendo una cinquantina di presenti, tra cui lo stesso Viceré d’Etiopia Maresciallo Rodolfo Graziani, colpito da 350 schegge.
Il fallito attentato diventò l’occasione per scatenare una feroce rappresaglia, ordinata da Mussolini, passata alla storia come olocausto nero.
Harold J. Marcus, professore di Storia e di Studi Africani alla New York State University, parla del clima post-attentato in questi termini: ”Poco dopo l’incidente, il comando italiano ordinò la chiusura di tutti i negozi, ai cittadini di tornare a casa e sospese le comunicazioni postali e telegrafiche. In un’ora, la capitale fu isolata dal mondo e le strade erano vuote. Nel pomeriggio il partito fascista di Addis Abeba votò un pogrom contro la popolazione cittadina. Il massacro iniziò quella notte e continuò il giorno dopo. Gli etiopi furono uccisi indiscriminatamente, bruciati vivi nelle capanne o abbattuti dai fucili mentre cercavano di uscire. Gli autisti italiani rincorrevano le persone per investirle col camion o le legarono coi piedi al rimorchio trascinandole a morte. Donne vennero frustate e uomini evirati e bambini schiacciati sotto i piedi; gole vennero tagliate, alcuni vennero squartati e lasciati morire o appesi o bastonati a morte. Esercito e camicie nere si riversarono in strada, non tanto per stanare e arrestare i responsabili, quanto per terrorizzare e colpire in maniera indiscriminata i nuovi sudditi dell’Italia imperiale, colpevoli di essersi ribellati agli invasori. Oltre ai militi e ai fascisti organizzati, si lanciarono entusiasti nella caccia al nero anche operai, burocrati e impiegati coloniali. Prigionieri e semplici passanti – colpevoli soltanto di essere africani – vennero uccisi a bastonate, a badilate, oppure pugnalati, fucilati, impiccati, investiti con automezzi, bruciati vivi nelle loro case. Centinaia di persone furono sequestrate, deportate e rinchiuse nei campi di detenzione di Danane, in Somalia, e Nocra, in Eritrea, dove Graziani ordinò che avessero minime quantità d’acqua e di cibo”.
Il medico ungherese Ladislav Shaska così ricorda le azioni condotte dal Federale Guido Cortese: “Il maggior massacro si è verificato dopo le sei di sera… In quella notte terribile, gli etiopi vennero ammucchiati nei camion, strettamente sorvegliati dalle camicie nere armate. Pistole, manganelli, fucili e pugnali furono usati per massacrare gli etiopi disarmati, di tutti i sessi, di tutte le età. Ogni nero incontrato era arrestato e fatto salire a bordo di un camion e ucciso o sul camion o presso il piccolo Ghebi. Le case o le capanne degli etiopi erano saccheggiate e quindi bruciate con i loro abitanti. Per accelerare gli incendi vennero usate in grandi quantità benzina e petrolio. I massacri non si fermarono durante la notte e la maggior parte degli omicidi furono commessi con armi bianche e colpendo le vittime con manganelli. Intere strade erano bruciate e se gli occupanti delle case in fiamme uscivano in strada erano pugnalati o mitragliati al grido “Duce! Duce Duce!”. Dai camion, in cui gruppi di prigionieri erano stati portati per essere massacrati vicino al Ghebi, il sangue colava letteralmente per le strade, e da questi camion si sentiva gridare “Duce! Duce! Duce!. …Non dimenticherò mai quello che ho visto fare quella notte dagli ufficiali italiani che passavano con le loro auto lussuose per le strade piene di cadaveri e sangue, fermandosi nei luoghi dove avrebbero avuto una migliore visione delle stragi e degli incendi, accompagnati dalle loro mogli, che mi rifiuto di definire donne!”
Dopo che venne data alle fiamme, davanti agli occhi di Cortese, la chiesa di San Giorgio, il 28 febbraio Graziani arrivò addirittura a proporre di “radere al suolo” la parte vecchia della città di Addis Abeba “e accampare tutta la popolazione in un campo di concentramento”, ma Mussolini si oppose per paura delle reazioni internazionali, pur riconfermando l’ordine di passare per le armi tutti i sospetti e la rappresaglia divenne anche di matrice religiosa.
Percorrendo il sentiero del ‘repulisti’ tracciato da Mussolini in persona, il Vicerè ordinò una spedizione punitiva verso Debrà Libanòs -centro del potere spirituale e cuore secolare della chiesa cristiana ortodossa copta fondato nel XIII secolo a 150 km da Addis Abeba, nella regione dello Shoa- città santa i cui residenti erano ritenuti colpevoli di fomentare le ribellioni e di proteggere gli insorti.
Nel tragitto, le truppe italiane e somale comandate da Pietro Maletti, vennero incendiati 115.422 tucul e tre chiese e furono ben 2.523 i partigiani etiopi giustiziati.
Non sazia del sangue versato, la colonna imperiale proseguì il suo viaggio e dopo aver incendiato il convento di Gulteniè Ghedem Micael ed averne fucilato tutti i monaci, il 19 maggio i soldati occuparono Debrà Libanòs.
Il grande monastero fondato dal santo cristiano Tecle Haymanot era formato da due grandi chiese e da tremila modeste abitazioni dove vivevano monaci, preti, diaconi, studenti di teologia e suore. I residenti furono trucidati in circa una settimana; l’ultimo giorno del massacro vennero fucilati anche centoventisei giovani diaconi che erano stati inizialmente risparmiati.
Graziani, forte dell’approvazione di Mussolini, rivendicò “la completa responsabilità” di quella che definì trionfante la “tremenda lezione data al clero intero dell’Etiopia” come ”romano esempio di pronto, inflessibile rigore sicuramente opportuno e salutare”, compiacendosi di “aver avuto la forza d’animo di applicare un provvedimento che fece tremare le viscere di tutto il clero, dall’abuna all’ultimo prete o monaco, che da quel momento capirono la necessità di desistere dal loro atteggiamento di ostilità a nostro riguardo, se non volevano essere radicalmente distrutti”.
Nel 1946 Hailè Selassiè, per conto del Governo etiopico, presentò alla Conferenza di Pace di Parigi un memorandum che segnalava queste spaventose perdite umane, ma nessun italiano venne mai punito per i massacri, favorendo la rimozione collettiva e la mancanza di presa di coscienza, tuttora persistente, dei crimini compiuti durante le guerre coloniali fasciste in Etiopia.
Massacri di civili e religiosi del Yakitit 12-19 febbraio 1937: 30.000
Persone morte a causa della distruzione dei loro villaggi: 300.000
Donne, bambini e infermi uccisi dalle bombe: 17.800
Patrioti morti nei campi di lavoro a causa di privazioni e maltrattamenti: 35.000
Patrioti uccisi dalle corti marziali: 24.000
Patrioti uccisi in battaglia: 76.000
Totale esseri umani assassinati: 760.300.
Il doloroso significato che assume la data del Yekatit 12, giornata di Lutto Nazionale celebrata nella Repubblica Federale Democratica di Etiopia in memoria delle vittime dei massacri compiuti dal colonialismo italiano, deve essere considerato come la faccia oscura o l’altra metà del 25 Aprile italiano.
La nascita, l’affermazione, la sconfitta e le conseguenze politico-sociali imposte dal regime dittatoriale fascista continuano ad essere ricordate solo a metà e solo a livello nazionale, con il risultato che le dominazioni in Libia, Etiopia, Eritrea e Somalia non sono mai entrate nel dibattito pubblico e che il popolo italiano è rimasto l’unico a non fare i conti con il proprio passato coloniale, razzista e militarista.
Il 23 ottobre 2006 un piccolo gruppo di deputati ha presentato alla camera una proposta di legge -non approvata- per istituire un “Giorno della memoria in ricordo delle vittime africane durante l’occupazione coloniale italiana”, in riferimento alle oltre 700mila vittime della dominazione.
La Risoluzione del Parlamento Europeo del 26 marzo 2019, ha poi indicato che è indispensabile ”riconoscere ufficialmente e a celebrare le vicende delle persone di origine africana in Europa, tra cui figurano anche le ingiustizie e i crimini contro l’umanità del passato e del presente, quali la schiavitù e la tratta transatlantica degli schiavi, o quelli commessi nell’ambito del colonialismo europeo”.
La Mozione 156, approvata il 6 ottobre 2022 dall’Assemblea Capitolina, che istituisce il 19 febbraio, giorno di inizio della Strage di Addis Abeba nel 1937, quale “Giornata in memoria delle vittime del colonialismo italiano” ha avviato un processo di ri-significazione -attraverso interventi di contestualizzazione e didascalie, azioni di guerriglia odonomastica, performance, reading, trekking urbani, installazioni e incontri- degli odonimi della città di Roma, riferendoli agli episodi storici, in gran parte criminali, a cui la loro intitolazione fa riferimento.
Roma, con oltre 150 odonimi, è sicuramente il luogo d’Italia maggiormente connotato dall’esperienza storica coloniale, ma il nutrito programma di iniziative, in corso da febbraio a maggio 2024, proposte dalla neonata Rete Yekatit 12 – 19 in collaborazione con la Federazione delle Resistenze, include Bologna, Firenze, Milano, Modena, Napoli, Padova, Reggio Emilia, Ravenna, Siena, Bari.
Un’accettazione più ampia nella nostra coscienza di un passato scomodo da digerire come invasori, colonizzatori e imperialisti, oltre che di fascisti, forse ci darebbe la volontà di guardare al presente e al futuro del nostro paese con occhi diversi e ci consentirebbe di comprendere che l’oppressione è un meccanismo perverso, biunivoco e onnivoro che non finisce quando la vittima se la scuote di dosso, ma quando la ripudia anche il carnefice.
https://www.cnca.it/la-rete-yekatit-12-19-febbraio-chiede-di-istituire-una-giornata-sui-crimini-del-colonialismo-italiano/
https://www.cnca.it/wp-content/uploads/2023/02/Appello-19-febbraio-Colonialismo.pdf
https://www.cnca.it/wp-content/uploads/2024/02/rete-Yekatit12-19Febbraio_PROGRAMMA-FEBBRAIO-MAGGIO-2024.pdf
In copertina: Etiopia – Giorno dei martiri
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Franco Ferioli
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