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Chi mi conosce sa che della mia passionaccia per la Spal scrivo anche su un’altra testata. Non preoccupatevi, per quanto riguarda Periscopio è una tantum.

Perché parlare della gloriosa Società Polisportiva Ars et Labor tra queste pagine? In molti diranno, coi problemi di oggi, il mondo che va a fuoco, l’incertezza sul futuro di tutti, la campagna elettorale imminente e impertinente, ancora di calcio dobbiamo sentir parlare? Ecco, chi ha questo legittimo pensiero può abbandonare questo men che memorabile articolo e veleggiare su argomenti più seri.

Parlo di S.P.A.L. qui e ora perché il calcio con i colori del mio cuore non c’entra nulla. L’evento sportivo in sé non spiega minimamente l’attaccamento viscerale di una comunità alla propria squadra. Ferrara e la Spal sono la stessa cosa, lo sono dall’alba dei tempi, una storia che nasce dalle sacrestie dei salesiani a inizio secolo e trionfa nella massima serie con il Commendator Mazza per sedici anni, ritorna ad annaspare in seconda e terza serie per quasi mezzo secolo e riprende il suo cammino ritornando in serie A dopo quarantanove anni grazie ai Colombarini da Masi San Giacomo. Poi, purtroppo, ai momenti di inaspettata e inebriante felicità segue la realtà odierna. Da Masi al New Jersey c’è un gran picchio di differenza, che poi io il New Jersey pensavo esistesse solo e unicamente nei film americani, non credevo fosse un posto reale.

Come parlarvi della fatica di essere spallino, come spiegarvi i veri motivi che ci spingono adandare alla Spal come si dice da noi, come scriverlo? Molto difficile e complesso per chi mai ha ascoltato il boato del Mazza che non ti fa sentire la tua voce, quell’esplosione di gioia che fa tremare i vetri dei due torrioni, quelle onde sonore che si perdono giù verso la via Foro Boario, fino quasi in via Bologna.

Oggi viviamo in un mondo dove l’aggregazione, lo stare insieme, il pronome personale noi, hanno perso il loro significato. Non esistono più luoghi deputati alla socialità. Sui gradoni della Ovest, appoggiati spalla a spalla, noi riusciamo a ritrovare quei valori che paiono dispersi nel mondo reale. La curva della S.P.A.L. è talmente politica da essere a-partitica, è rimasta l’ultimo baluardo aggregativo di una città dove non esistono spazi per i giovani, al di fuori di proto balere o street bar. I centri giovanili dei miei tempi erano essenzialmente tre: la sezione, la parrocchia e il bar, che accomunavano tra loro il sacro e il profano, l’ateo e il credente. Oggi quegli ambienti sono estinti, e lo stadio diviene luogo fondamentale per recuperare il concetto di amicizia, comunità, storia e memoria. Gli anni bui che già abbiamo vissuto ci hanno fatto perdere una generazione, che poi con il lavoro dei ragazzi della Ovest, piano piano, un passo alla volta si è riusciti a riprendere, realizzando un humus identitario che ci è valso i complimenti anche dei non adepti, specie quando venivano allestite coreografie ricche di contenuti.

Questi stessi ragazzi, spesso identificati come barbari trinariciuti, messi in un angolo e classificati come  teppaglia schiava del panem et circenses, sono un esempio da seguire per quanto riguarda la messa in pratica del concetto di solidarietà, vera, attiva, non sbandierata. Quegli stessi ragazzi che spesso a causa di provvedimenti iniqui come il Daspo alle intenzioni vengono privati della libertà personale. Capiamoci, non sto dicendo che lo stadio è una discarica dove tutto è lecito, esistono i reati e le pene, dopo una sentenza di condanna giustamente deve essere comminata una pena. Dopo però, non prima. Ecco in breve sintesi ciò che siamo e perché abbiamo così a cuore le sorti della nostra squadra.

Per tornare a bomba alla realtà di oggi, ci ritroviamo con una squadra gestita (!) da investitori stranieri che, con la delicatezza di un elefante in una cristalleria, hanno demolito in poco più di due anni un ambiente che pareva inscalfibile, anche oltre gli errori della precedente proprietà. Non sono così stupido da pensare che un qualsivoglia investitore, sia esso americano, arabo o marziano acquisti per amore una squadra di provincia lontana un anno luce dai suoi possedimenti. Capisco, non senza qualche conato di vomito, i concetti di budget, target, capitale e plusvalenze applicate al calcio, e mi immagino che i signori americani abbiamo visto in una piccola, sana, attrezzata realtà di provincia un bel giochino per fare soldi. Una realtà di provincia che ai tempi della serie A riempiva lo stadio cittadino, ma che nella storia (se qualcuno l’avesse letta), portava nei primi anni ’90 più di diecimila spettatori al Bentegodi per uno spareggio di quarta serie, assiepava seimila spallini a Bologna e molto, molto altro. Vero, mi si dice fosse un altro calcio e un altro mondo, ma la scalata della banda Semplici non è così lontana nella memoria, pochi anni fa, il tempo di un battito di ciglia, Floccari puniva la Vecchia Signora, si vinceva contro l’Atalanta, le squadre capitoline spesso venivano sconfitte dai ragazzi vestiti eleganti nelle loro strisce verticali dai colori del cielo (mi raccomando signor sindaco, i nostri colori sono bianco e azzurro, il celeste non sappiamo neppure che colore è).

Tornando agli errori presidenziali, io credo che i tanti soldi spesi nel progetto siano stati spesi … senza un progetto. Non so come si svilupperà il futuro, credo sia importante che le istituzioni cittadine, senza farne una mera bandiera elettorale, ascoltino quelle che sono le richieste del popolo spallino, nella figura delle persone che stanno là sotto in fondo dove fa più calor. La possibilità di avere il Comune (qualunque sia la giunta) come garante del marchio mi pare una richiesta più che sostenibile, ne abbiamo (pochi) esempi in Italia. La spesa per la Società detentrice dello stesso non è nei termini indicati dal Presidente nella pessima ultima conferenza stampa.

La S.P.A.L. è un bene comune e in quanto tale va rispettato, è la storia di un popolo e di una comunità che ne ha fatto bandiera dal 1907.

E no, col calcio in sé non c’entra un cazzo.

Photo cover: formazione Spal 1976/77, wikimedia commons

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Cristiano Mazzoni

Cristiano Mazzoni è nato in una borgata di Ferrara, nell’autunno caldo del 1969. Ha scritto qualche libro ma non è scrittore, compone parole in colonna ma non è poeta, collabora con alcune testate ma non è giornalista. E’ impiegato metalmeccanico e tifoso della Spal.

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