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“Le musiche… interrotte”

Si respirava proprio un’aria di libertà e di ripresa, la mattina di venerdì 27 gennaio a Ferrara in Piazza Municipale, mentre i musicisti sistemavano strumenti e microfoni e amplificatori e bambini e bambine della scuola primaria Poledrelli, ragazzi e ragazze della secondaria Tasso si collocavano a formare due cerchi concentrici attorno alla bandiera della pace stesa per terra.

Fondamentale, per questo evento organizzato, in occasione della Giornata della Memoria dall’Associazione Culturale e scuola di musica Musijam in collaborazione con l’Istituto Comprensivo C. Govoni, l’immagine del cerchio: lo ‘spettacolo’ prevedeva l’esecuzione di due danze ebraiche e una zigana, per illustrare le quali mi piace riportare le parole di un allievo:

«per non dimenticare i bambini e i ragazzi e le persone vittime della Shoah eseguiremo danze ebraiche e rom, tenendoci per mano e muovendoci in cerchio.  Il cerchio è un simbolo presente in molte tradizioni religiose e rappresenta il cerchio della vita senza inizio e senza fine, esprime il senso di appartenenza ad un gruppo, ad un popolo; nel cerchio i danzatori si guardano e comunicano, si è tutti sullo stesso piano».

I due cerchi concentrici (foto Maria Calabrese)

Il ragazzo ha poi ringraziato, a nome dei suoi compagni e delle docenti, la maestra Isabella Gallesini (coordinatrice del gruppo Danze Insieme) per aver insegnato loro i balli.

Il progetto, elaborato dai docenti della scuola Musijam e indirizzato agli istituti scolastici, ha il significativo titolo “Le musiche… interrotte” e intende, facendo risuonare quelle note e quei canti drammaticamente interrotti dalla Shoah, rievocare alcuni aspetti peculiari della vita di Ebrei e Rom, quelli legati alle feste di comunità rallegrate da musiche e danze.

Ebrei e Rom insieme perché, alla luce di precise scelte culturali derivanti da accurate ricerche nel campo dell’etnomusicologia, non si vogliono individuare distinzioni nette tra le culture di ebrei e zingari, i quali hanno abitato le medesime terre ed elaborato tradizioni simili, al punto che si ritrovano numerose versioni diverse dei medesimi brani.

Il territorio di riferimento delle musiche eseguite e danzate, come hanno illustrato alcuni allievi, è quello dell’Est Europa, dove «ancora agli inizi del Novecento troviamo una grande comunità, caratterizzata dall’uso della lingua yddish; sono gli eredi di quegli Ebrei che giunsero in Europa nel primo secolo dopo Cristo, seguendo la via Ashkenazita, mentre altri, percorrendo la via Sefardita, si stabilirono nella penisola Iberica.»

L’Ensemble musicale, formato da Elio Pugliese alla fisarmonica, Marco Vinicio Ferrazzi al canto, Emanuele Zullo al basso, Diego Insalaco alla chitarra e Giampietro Beltrami alla batteria, ha iniziato la propria esibizione con due composizioni in lingua yddish: Shprayz Ich Mir (Alla Fiera) e Dona dona.

Il primo è un brano dalla ritmica trascinante, che quasi subito ragazzi e adulti presenti nella piazza hanno preso ad accompagnare battendo le mani e penso che avrebbe divertito tutti conoscerne il testo: narra la vicenda di un uomo che si reca al mercato per comprare un cavallo, ma non sa resistere davanti alla porta aperta dell’osteria e, un bicchierino dietro l’altro, si beve tutto il denaro e fa salti dalla rabbia, ma intanto si canta una canzoncina…).

Dona dona è, nell’immaginario dialogo fra il contadino e il suo vitello, una riflessione sulla tragedia della deportazione nei campi di sterminio. Un vitello viene portato al mercato su un carro (dona dona indica il suo incedere), osserva in alto una rondine e chiede, piangendo, perché non può essere libero come quell’uccello che vola lassù, sopra il suo capo. Ma il contadino gli risponde che è nato vitello e non rondine, e quello è il suo destino, anche se non ne ha alcuna colpa.

Nella versione inglese, resa famosa da Joan Baez nel 1960 e Donovan nel 1965, l’ultima strofa invita a comprendere l’importanza dell’autodeterminazione e a farsi rondini, non umili gigli nei campi, ma uomini dalla volontà e dalla coscienza irriducibili.

Ed ecco che si comincia a danzare! Ma Navu è una danza calma, ben ritmata e relativamente moderna, ballata su musica con melodia tipicamente orientale; il testo, a mio parere molto bello,  è ispirato a un versetto di Isaia: Come sono belli, sui monti, / i piedi del messaggero di buone notizie / che annunzia la salvezza / che annunzia la pace.

Si prosegue con Klezmer-Chava, danza chassidica, allegra e vivace; paradigma fondamentale del  Chassidismo è praticare la preghiera attraverso il canto e la danza, che esprime gioia, rispetto davanti al Signore e comunione; «le tue danze sono più efficaci delle mie preghiere», recita un detto chassidico citato da uno studente.

La musica klezmer (letteralmente ‘strumento per fare musica’), nata all’interno delle comunità ebraiche dell’Europa orientale, fonde in sé strutture melodiche, ritmiche ed espressive che provengono dalle differenti aree geografiche e culturali (Balcani, Polonia, Russia, Ucraina e altri territori dell’Europa Centro-Orientale) con cui il popolo ebraico è venuto in contatto.

La successiva danza è Ederlezi, che – ci dicono gli studenti – «appartiene alla tradizione Rom, con il testo in lingua romanì; il titolo significa ‘primavera’ e si riferisce a una festività serba che si celebra il 6 maggio (nel calendario gregoriano, nel nostro il 23 aprile), molto sentita dai Rom di tutto il mondo. Con questa danza vogliamo ricordare che, oltre agli Ebrei, anche i Rom furono perseguitati dai nazisti e dai loro alleati: circa 500.000 Rom furono deportati nei campi di sterminio; in lingua romanì esiste il termine porajmos che significa ‘distruzione’.»

Gli ultimi due brani eseguiti dall’Ensemble Musijam sono Karev yom e Hava Nagila.

Il primo Karev yom, il cui titolo significa ‘il giorno si avvicina’, viene cantato durante il primo e il secondo Seder (‘ordine’ o ‘sequenza’) di Pesach (‘Pasqua ebraica’); esprime la speranza e la brama per la redenzione finale, che avverrà in un tempo in cui non ci saranno più né giorno né notte. Le parole sono tratte dall’ultimo versetto di un poema liturgico del VI-VII secolo, che elenca una serie di eventi miracolosi, tutti, secondo la tradizione, avvenuti alla mezzanotte di Pasqua, riguardanti il ritorno dall’esilio o l’alleviamento delle sofferenze causate dall’esilio.

Hava Nagila (‘rallegriamoci’) è una canzone ispirata ad una melodia ucraina della Bucovina; è stata composta dal musicologo Abraham Zevi Idelshon nel 1918 per celebrare la vittoria inglese in Palestina al termine del primo conflitto mondiale, con la conseguente dichiarazione di apertura da parte del governo britannico nei confronti della creazione di una National home ebraica in Palestina.

L’evento, inserito nel programma delle manifestazioni patrocinate dal Comune di Ferrara per la Giornata della Memoria, si è aperto con gli interventi dell’Assessora alla Pubblica Istruzione e Formazione Dorota Kusiak e della Dirigente Scolastica dell’Istituto Comprensivo C. Govoni Anna Bazzanini.

Kusiak ha sottolineato il compito storico, che spetta a tutti noi, di tornare a fare memoria ogni anno della Shoah, ricordando i bimbi, i professori nelle scuole, le famiglie, gli enormi numeri che riguardano i perseguitati.

Anna Bazzanini, ponendo l’accento sul ‘finalmente’, ha evidenziato che: «finalmente dopo due anni di sospensione si torna a manifestare per la pace, per la fratellanza fra i popoli e le culture; finalmente le classi della primaria Poledrelli e della secondaria Tasso sono tornate, e continueranno, a celebrare la Giornata della Memoria in questa piazza, con le loro danze in cerchio, anche in rappresentanza delle altre scuole che stanno svolgendo diverse altre manifestazioni, per dire no all’odio, no alla violenza, no al pregiudizio, no alla guerra, no al razzismo, per dimostrare, assieme ai loro docenti e agli amici dell’Associazione Musijam, la volontà di abbattere ogni muro e costruire ponti di pace, di dialogo, di fratellanza, tolleranza e rispetto nei confronti di tutte le culture.

Nel ricordare l’apertura e la liberazione del campo di Auschwitz e la scoperta dell’orrore di quello che accadeva nei lager, si vuole dire no e costituire, noi che stiamo per occupare tutta la piazza, ‘pietre d’inciampo’ su cui fermarsi, per non dimenticare e per dire a Liliana Segre che questa giornata non sarà mai confinata in due pagine nei libri di storia, finché sarà la scuola a portare avanti questo ricordo e la Memoria».

In copertina: uno dei due cartelloni dal titolo ‘Pietre d’inciampo’ realizzato dagli studenti delle classi per l’evento, foto di Maria Calabrese

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Maria Calabrese

Pugliese di Foggia, trapiantata a Venezia, poi a Ferrara, il che dimostra che amo le città belle. Amo altresì i libri, i quadri, i dischi, l’archeologia. Ho studiato letteratura e lingue classiche e le ho insegnate per molti anni con grande passione. Canto in un coro, studio la fisarmonica di papà. Amo scrivere ma ancor più leggere, anzi nel leggere e nell’incontrare scrittori mi capita di trovare linfa per il mio scrivere.

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