Isaia Sales, meridionalista e grande studioso della camorra e in generale delle mafie, per anni ha insegnato a Napoli all’Università Suor Orsola Benincasa presso il Dipartimento di Giurisprudenza “Storia delle mafie”. Lo studioso ritiene che la corruzione accompagni la storia d’Italia dalla sua unità ad oggi, ma che non susciti riprovazione sociale.
Il caso Verdini, forse sarebbe più corretto definirlo Verdini/Salvini, ha di nuovo acceso i riflettori sulla corruzione, fenomeno che pensavamo superato. Distrazione, sottovalutazione o cosa?
È comodità di pensiero, fa sì che la corruzione esista solo quando la si scopre. È confortante, consente di immaginare di vivere in un Paese non così cattivo come lo si dipinge. La corruzione, quindi, viene sottovalutata perché la si scopre poco e quando la si scopre i colpevoli pagano poco, pochissimi finiscono in galera. Siamo, in realtà, di fronte a un paradosso: uno dei fenomeni più continuativi e diffusi della storia d’Italia è ampiamente sottovalutato e quindi – in questo modo – si fa il gioco proprio dei corrotti. Si ha l’impressione che la corruzione esista, ma come fatto eccezionale, solo quando la si scopre. Ma non è affatto un’eccezione. Anzi, come dicevo, la corruzione è il fenomeno di maggiore continuità della storia italiana.
Non è un reato legato al bisogno, è un reato delle classi dirigenti. Perché non si riesce a estirparla? Perché dall’Ottocento a oggi non è cambiato quasi niente?
Proprio perché è un fenomeno di classi dirigenti. Non solo si autoassolvono, ma hanno tutta la possibilità di farla franca. In gran parte i corrotti sono ricchi, possidenti, benestanti e, spesso, in Italia controllano anche la grande stampa, hanno quindi la possibilità di mettere la sordina al fenomeno. Sostengo da tempo che la criminologia vada in tilt quando parla di corruzione, perché la ritiene fondata su reati commessi dalle classi pericolose, in genere formate da persone in stato di deprivazione, ignoranti, quindi reati commessi per bisogno o per ignoranza. Ma la corruzione è esattamente il contrario, chi la commette è benestante, ha la possibilità e la capacità di farne parlare poco, di stabilire pene poco afflittive. Le élite si difendono, esiste una sorta di impunità nella corruzione, altro elemento continuativo della nostra storia.
Assolutamente sì! Ed è un fenomeno interessante anche dal punto di vista dello studio della cultura, o meglio della sottocultura delle classi dirigenti. La corruzione è ancora più preoccupante di altri reati perché è compiuta da uomini e donne dello Stato, della legge, da persone che hanno fatto e fanno le leggi, da rappresentanti dello Stato. E quindi, se c’è una lunga dimestichezza dell’Italia e delle classi dirigenti con la corruzione, dobbiamo porci la domanda, se non siamo in presenza di un ordinamento giuridico alternativo a quello ufficiale. Ritengo che siamo di fronte al fatto che le stesse classi dirigenti, oltre a fare le leggi, si siano organizzate in maniera tale da avere una specie di impunità dando vita a regole diverse da quelle dello Stato. Questa la ragione della lunga continuità nella storia italiana: accanto alla legge esiste una modalità di gestire il potere fuori dalla legge. Il potere coincide con l’abuso, questo è l’elemento culturale impressionante della corruzione, è un reato compiuto da coloro che dovrebbero applicare la legge, che dovrebbero rappresentare lo Stato e che invece fanno cose contro lo Stato e contro la legge.
La Francia ha una storia unitaria molto più lunga della nostra, ma anche un apparato burocratico molto più solido del nostro. Forse alcuni anticorpi rispetto alla corruzione risiedono proprio in questo: burocrazia e senso dello Stato. Ed è questo che in Italia manca. Non so se derivi dalla storia unitaria molto più breve, o dal ventennio fascista, ma è come se i vari corpi dello Stato in realtà non si sentissero per davvero parte fino in fondo dello Stato. È una sensazione sbagliata?
È così. Noi non abbiamo senso dello Stato. Bisognerebbe interrogare la nostra storia per capire perché. La corruzione riguarda anche altri paesi e altre nazioni. Quello che cambia in Italia è che quando si è presi nelle maglie della giustizia per il reato di corruzione non si perde prestigio, autorità, stima e qualche volta succede che si venga addirittura rieletti nel comune, nella regione o in Parlamento. È come se avessimo una riserva verso lo Stato e una diffidenza verso la cosa pubblica. Sembrano valere in alcuni ambienti le parole di un personaggio di Sciascia, che affermava che chi non ruba sottrae qualcosa alla sua famiglia. Questo è il paradosso della corruzione in Italia, non che esista, ma che chi la pratica viene considerato un potente che sa fare il suo mestiere. L’idea dello Stato come riconoscimento di un bene pubblico è una cosa ancora da costruire nella formazione delle classi dirigenti italiane.
In altri paesi i fenomeni corruttivi suscitano riprovazione sociale, da noi no. Non solo, esiste una sorta di stima aggiuntiva, di aurea di autorevolezza nei confronti di chi esercita il suo potere in maniera così distorta e corrotta. Forse questo fenomeno è legato anche alla subalternità dei cittadini rispetto all’esigibilità dei diritti. Troppo spesso il diritto diventa favore elargito.
La vicinanza tra clientela, corruzione e mafia è una cosa che andrebbe indagata. Non sono la stessa cosa in assoluto, perché si può essere clientelari senza essere corrotti, si può essere corrotti senza legami con la mafia, però queste tre modalità appartengono a un’idea dello Stato come fatto privato. Cioè il potere coincide con la capacità di privatizzare ciò che è pubblico, la capacità del politico è di mettere a disposizione di una cerchia ristretta di persone i beni pubblici e questo lo fa attraverso la clientela, la corruzione o anche i rapporti con la mafia. E la corruzione è uno dei pochi reati in cui non esiste una vittima apparente, perché tutti quelli che ne sono coinvolti ne beneficiano. E questo è un problema, da tempo penso che sarebbe opportuno che l’Istat, per esempio, facesse uno sforzo per comunicare quanti morti ci sono stati in Italia a seguito di fenomeni corruttivi, dai ponti crollati agli edifici costruiti male, basti pensare alle vittime del Ponte Morandi di Genova o a quelle dello Studentato de L’Aquila. Se non mettiamo nelle statistiche ufficiali i morti a causa di corruzione non avremo consapevolezza del costo sociale che paghiamo. Dovremmo fare qualcosa per rendere più consapevoli gli italiani e le italiane che la corruzione ha dei costi economici, sociali e umani altissimi. Non è un reato senza vittime, la vittima è lo Stato, sono gli inermi cittadini e cittadine che a causa della corruzione hanno pagato con la vita a seguito di opere malfatte.
E forse tra le vittime della corruzione andrebbero annoverati anche il costo economico e il mancato sviluppo del Paese.
E infatti alcuni studiosi hanno calcolato che, nei paesi più corrotti, c’è un minore sviluppo economico dove c’è maggiore corruzione. In genere c’è un costo che si distribuisce sulla collettività e una riduzione della crescita di quel Paese. La cosa a cui tengo di più, però, è proprio questa: rendere consapevoli che esiste un costo economico e un costo umano della corruzione.
Oltre a rendere evidenti i costi umani, sociali ed economici della corruzione, quali sono le medicine e quali gli anticorpi che andrebbero immessi nel sistema Italia per cominciare a limitare il fenomeno?
Domanda non da poco, me la cavo dicendo che in Italia è necessario costruire il senso dello Stato. Abbiamo appartenenze familiari, locali ma non abbiamo ancora appartenenze a ciò che è pubblico. Insomma, è su questo che bisogna investire moltissimo, almeno rispetto alle nuove generazioni e nella formazione di una burocrazia adeguata al valore dello Stato. Una nazione è più considerata e ha più stima di sé se c’è una classe politica che non pratica questi fenomeni. In sostanza, possiamo fare tutti gli sforzi di questo mondo verso la formazione di nuove generazioni della burocrazia, ma se la classe dirigente del Paese continua ad essere così tollerante con i Verdini di turno, non c’è da essere molto ottimisti.
Lascia un commento