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La libertà d’informazione in Italia è sempre più sotto attacco e Meloni ci sta isolando in Europa

di Matteo Pascoletti
articolo originale su Valigia blu dei 31 luglio 2024

Nel giro di una settimana, la percezione in Europa dello Stato di diritto in Italia ha subito un duro danno di immagine, in particolare per quanto riguarda la libertà di informazione.

Il 24 luglio è uscita infatti la Relazione sullo Stato di diritto 2024, che analizza la situazione di ciascuno degli Stati membri dell’Unione europea. Secondo alcune indiscrezioni risalenti a giugno, la presidente uscente della Commissione europea Ursula von der Leyen avrebbe spinto per ritardarne la pubblicazione a dopo la sua nomina, per non complicarne le trattative che stavano coinvolgendo anche la Presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Nonostante lo slittamento, il risultato è poco incoraggiante, con i titoli internazionali che ci mettono in compagnia di Ungheria e Slovacchia. E questo soprattutto per la gestione del servizio pubblico.

Il 29 luglio è uscito il rapporto della Media Freedom Rapid Response dal titolo Silenziare il quarto potere. La deriva democratica dell’ItaliaNon è solo il contenuto dei due documenti a dover destare preoccupazione, lo è soprattutto la reazione della Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha ben pensato di prendere di petto la situazione, accompagnata dalla stampa di area.

Libertà e pluralismo dei media in Italia secondo la Commissione europea

Nella relazione della Commissione europea, varie criticità riguardano libertà e pluralismo dei media. Viene infatti evidenziata nelle raccomandazioni la necessità di garantire l’indipendenza del servizio pubblico e un adeguato finanziamento. Tre in particolare i punti critici sollevati dai “portatori di interesse” ascoltati. Il primo è la necessità di una riforma d’insieme della RAI, per garantire che l’azienda “sia maggiormente al riparo da rischi di ingerenze politiche”; il rapporto cita alcune dimissioni eccellenti avvenute in Rai a seguito del cambio di linea editoriale che si è avuta col nuovo governo. Il secondo è il nuovo regolamento sulla par condicio approvato prima delle elezioni europee: nonostante le rassicurazioni del governo permangono dubbi sul fatto che possa garantire un’informazione equa. Infine, c’è il problema del canone, per cui è prevista una riduzione nella legge di bilancio a fronte di un finanziamento diretto. Questo cambiamento potrebbe infatti incidere “sull’autonomia e sostenibilità finanziaria della Rai”, al punto da compromettere “il suo mandato di servizio pubblico”.

Per quanto riguarda invece la sicurezza dei giornalisti, sono in parte contestati i dati raccolti dal Centro di coordinamento del ministero dell’Interno che monitora minacce e intimidazioni sui giornalisti. Non sono infatte incluse le SLAPP (Strategic lawsuits against public partecipation) o querele intimidatorie, monitorate da altri organismi o da associazioni della società civile, come Ossigeno per l’Informazione. Questo, unito al fatto che molti giornalisti “non sempre denunciano alla polizia le intimidazioni o gli attacchi subiti”, potrebbe indicare problemi di sottosegnalazione, e quindi una difficoltà ad avere numeri coerenti con il quadro effettivo. Risultano poi completamente ignorate le raccomandazioni del 2023 per una riforma della legge sulla diffamazione e per la protezione delle fonti giornalistiche, problema che in Italia si trascina ormai da anni.

Altri punti critici per l’Italia riguardano il lobbying e il conflitto di interessi, due temi su cui il nostro paese è in pratica fermo e lontano dall’adeguarsi al resto dell’Europa, a partire dai parlamentari:

Anche se la Camera dei deputati dispone di norme sul lobbying e di un registro dei rappresentanti di interessi, mancano disposizioni complessive sul lobbying valide per entrambe le camere parlamentari. La mancanza di regolamentazione delle attività di lobbying è percepita come una delle principali carenze nel sistema di integrità nazionale. […] Come l’anno scorso, nessuno dei disegni di legge presentati è stato oggetto di discussioni parlamentari in nessuna delle due camere.

Infine, è utile menzionare il “ristretto” spazio civico, con casi di “aggressività verbale nei confronti di organizzazioni impegnate in attività umanitarie e contro chi partecipa a manifestazioni, e con episodi di volenza da parte delle forze dell’ordine.

La lettera di Giorgia Meloni a Ursula von der Leyen

Al rapporto è seguita una lettera di Giorgia Meloni alla neo-eletta Commissaria europea. Secondo Meloni, per la prima volta il contenuto della Relazione sullo Stato di diritto “è stato distorto a uso politico da alcuni nel tentativo di attaccare il Governo italiano. Qualcuno si è spinto perfino a sostenere che in Italia sarebbe a rischio lo stato di diritto, in particolare con riferimento alla libertà di informazione e al servizio pubblico radiotelevisivo”.

Meloni fornisce poi tre spiegazioni di massima ai rilievi contenuti nel rapporto. Primo, scrive  Meloni, l’attuale maggioranza ha ereditato gli assetti legislativi della Rai, con Fratelli d’Italia che si schierò contro la riforma della governance Rai del 2015. L’attuale governance, inoltre, è stata “determinata dal governo precedente”, escludendo Fratelli d’Italia, “una anomalia senza precedenti in Italia e in violazione di ogni principio di pluralismo del servizio pubblico”. Non si fa tuttavia riferimento ad altre nomine, tra cui la più importante: Roberto Sergio, amministratore delegato nominato nel 2023. Un aspetto che invece è trattato nel documento della Commissione europea.

In secondo luogo, Meloni sottolinea che la dipartita di nomi importanti dalla RAI è dipesa da “normali dinamiche di mercato”. Infine, per quanto riguarda il regolamento sulla par condicio, Meloni parla ancora di “mistificazione a uso politico”, poiché la delibera adottata dalla commissione di Vigilanza è stata “dichiarata peraltro dall’AgCom conforme alla disciplina vigente in materia”. Meloni omette tuttavia che l’AgCom aveva prima invitato la commissione a integrare le norme sulla par condicio, provvedendo poi ad approvare a sua volta un regolamento differente per quanto riguarda il settore privato.

Non è questo il problema principale della replica di Meloni, ma il suo essere pensato a uso e consumo dell’opinione pubblica interna, a beneficio di chi non ha letto la Relazione originale. Il grosso dei punti sollevati, infatti, è menzionato nella stessa relazione che cita per l’appunto il parere del governo. Inoltre la relazione tocca varie aree, non soltanto la libertà di informazione o la Rai. Meloni sceglie di rispondere solo su quest’ultima, evidenziando prima di tutto che è stato toccato un nervo scoperto.

Come se ciò non bastasse, il tono finisce per risultare completamente fuori luogo rispetto al contesto di una comunicazione pubblica tra un capo di governo e la presidente della Commissione europea. Un predicozzo in cui, senza neanche troppi giri di parole, si bolla il Rapporto come succube di strumentalizzazioni e fake news, minando quindi prima di tutto il lavoro della Commissione europea e la capacità di chi ha lavorato alla relazione. Conclude infatti Meloni:

Si tratta quindi di attacchi maldestri e pretestuosi […] che possono avere presa solo nel desolante contesto di ricorrente utilizzo di fake news che sempre più inquina il dibattito in Europa. Dispiace che neppure la Relazione della Commissione sullo stato di diritto e in particolare sulla libertà di informazione sul servizio pubblico radiotelevisivo sia stata risparmiata dai professionisti della disinformazione e della mistificazione.

“Silenziare il Quarto Stato”

Sempre a proposito di reazioni, Meloni e la stampa di destra si sono scagliati in queste ore  contro la relazione della Media Freedom Rapid Response (MFRR), dal titolo emblematico: Silenziare il quarto Stato. La deriva democratica in Italia. La MFRR è un’iniziativa co-finanziata dalla Commissione europea e che unisce alcune tra le più importanti organizzazioni per la difesa della libertà di stampa, tra cui European Centre for Press and Media Freedom, ARTICLE 19 Europe ed European Federation of Journalists.

Essendo un rapporto specifico sulla libertà di informazione, il quadro che ne esce è ancora più allarmante, oltre a confermare vari punti già visti nel Rapporto sullo Stato di diritto (come la par condicio). Si legge nell’introduzione:

La libertà dei media in Italia ha subito una continua erosione negli ultimi anni. La mancanza di indipendenza dei media pubblici e l’uso sistematico di intimidazioni legali contro i lavoratori del settore da parte di funzionari pubblici hanno caratterizzato a lungo il rapporto tra i media e la politica italiana. Tuttavia, queste dinamiche hanno raggiunto livelli allarmanti negli ultimi due anni.

Dall’ottobre 2022 allo scorso di giugno, sono 193 le segnalazioni relative all’Italia per quanto riguarda minacce o incidenti che colpiscono la libertà di informazione. In 54 di questi casi la fonte di questi attacchi proviene dal governo o da funzionari pubblici. La forma più diffusa di attacco è di tipo legale (53,7%), seguita da quella verbale (31,5%) e dai tentativi di censura (20,4%).

Tra i casi citati, le querele contro lo scrittore Roberto Saviano e il quotidiano Domani (verso quest’ultimo la querela di Meloni è stata ritirata sempre la scorsa settimana), di cui avevamo parlato su Valigia Blu, e la trasmissione Report:

Domani ha subito una serie di attacchi, tra cui diffide legali, querele, aggressioni verbali e presunti tentativi di compromettere la riservatezza delle proprie fonti giornalistiche. Nella maggior parte dei casi, questi incidenti sono riconducibili a funzionari pubblici. Analogamente, Sigfrido Ranucci, insieme alla sua squadra della trasmissione investigativa di punta della Rai, Report, è stato più volte bersaglio di violazioni della libertà di informazioneda parte di funzionari pubblici. La MFRR ha documentato segnalazioni riguardanti varie forme di intimidazione legale rivolte a Report da parte di importanti membri del governo e del partito della Meloni, Fratelli d’Italia; pressioni politiche ingiustificate sull’indipendenza editoriale di Report e abusi verbali rivolti ai suoi giornalisti. Altrettanto inquietante è la scelta del Presidente del Consiglio di condannare pubblicamente il team investigativo di Fanpage che aveva denunciato i riferimenti fascisti, razzisti e antisemiti di alcuni membri di Gioventù Nazionale, l’ala giovanile del principale partito della coalizione Fratelli d’Italia.

Un capitolo specifico è dedicato alla cosiddetta “Media capture”, quel fenomeno per cui l’industria dei media e il servizio pubblico sono ridotti a megafoni del potere politico. Spazio quinidi a quei casi che dai corridoi di viale Mazzini hanno poi tenuto banco nell’opinione pubblica, come la censura dello scrittore Antonio Scurati, la cancellazione del programma di Roberto Saviano Insider (che solo di recente è stato di nuovo annunciato) e la condanna inflitta alla Rai per comportamento antisindacale in occasione dello sciopero del 6 maggio scorso.

Ma, al di fuori del servizio pubblico, destano preoccupazioni anche le voci di un possibile acquisto di AGI da parte del senatore Antonio Angelucci. La “vendita”, si legge, “potrebbe creare il pericoloso precedente di un altro conflitto di interessi di tipo berlusconiano, mettendo potenzialmente a rischio altre agenzie di stampa del paese”. Infine, anche la repressione del dissenso finisce nel mirino, in particolare per quanto riguarda gli attivisti climatici e le proteste di studenti. Il tutto in un quadro generale che, unendo i puntini uno appresso all’altro, mostra all’opera una volontà di cambiare culturalmente il paese, puntando a un’egemonia che serri il più possibile la morsa del potere, prolungandola nel tempo.

Anche in questo caso, come anticipato, le reazioni sono state in un certo senso autoriferite al contesto italiano, non certo pensate per rispondere a livello europeo e internazionale del proprio operato. Commentando sia la lettera a Von der Leyen che il rapporto della MFRR, Meloni ha infatti detto che la sua era “una riflessione comune sulla strumentalizzazione fatta di un documento tecnico”. La Presidente del Consiglio ha anche aggiunto che “gli accenti critici non sono della Commissione europea” ma dei portatori di interesse. Ovvero i giornali come “DomaniRepubblica Fatto Quotidiano”. Sulle querele per diffamazione citate in particolare dalla MFRR, Meloni ha invece detto “non mi pare che in Italia vi sia una regola che dice che se tu hai una tessera da giornalista – che ho anche io in tasca – puoi liberamente diffamare qualcuno”. Analogo il tenore della stampa di destra, che va giù ancora più dura, secondo il collaudato tormentone “colpa della sinistra”, con tanto di elenchi dei giornalisti che non si allineano.

C’è però da far notare ancora una volta come questo tipo di risposta sia pensata più per l’ecosistema italiano e non certo per un pubblico europeo di funzionari ed esperti. L’uscita sui “portatori di interessi” ha senso per chi ci vuole crede, e per chi ignora la metodologia usata, non certo per una Von der Leyen. Nel rapporto della MMFR, questo è evidente in un passaggio in cui si citano i tentativi a vuoto di contattare esponenti del governo o della maggioranza, per ascoltarli sullo stato dell’informazione in Italia. La prima cosa di cui dovrebbe rispondere Meloni è della mancata collaborazione da parte del governo e della maggioranza. Si legge infatti:

LA MFRR ha richiesto incontri con rappresentanti ufficiali del governo e delle istituzioni, tra cui il ministro della Giustizia, il viceministro della Giustizia, il sottosegretario di Stato per l’Informazione e l’Editoria, la presidente della Commissione Giustizia del Senato, i senatori e i deputati della coalizione di governo. Purtroppo, nessuna di queste richieste ha avuto successo.

Invece siamo in uno scenario in cui gli esponenti del governo e della maggioranza che lo sostiene evitano di collaborare a un’autorevole iniziativa volta a monitorare l’operato degli stessi. Dopodiché, una volta che viene pubblicato il rapporto frutto di questa iniziativa, ci si presenta di fronte all’opinione pubblica dicendo in sostanza che esso è frutto di attacchi degli avversari politici, o di quegli stessi soggetti che vengono più o meno quotidianamente attaccatti. O che, nel migliore dei casi, gli autori si sono in pratica fatti incantare da astuti e loschi figuri (ovviamente di sinistra); dei fessi, in pratica. Una sorta di recita a soggetto cui partecipano anche e soprattutto i giornali di un senatore (Angelucci) che viene indicato come potenziale protagonista di un colossale conflitto di interessi. E in cui gli allarmi lanciati dai bersagli, tra comunicati di redazione, dichiarazioni di portavoce di associazioni o di parlamentari di opposizione, si perdono nel rullo compressore dei titoli, delle polemiche, dell’estremismo di governo spacciato per “polarizzazione”, simulando un gioco a somma zero che tale non è.

Un conflitto tra governo e giornalismo, in cui il governo punta a limitare la possibilità che il secondo eserciti la funzione che gli è propria. Veniamo del resto da settimane in cui ci è toccato assistere alla vergognosa conferenza stampa della seconda carica dello Stato, Ignazio La Russa, in cui si è persino permesso di dire che lui non giocherebbe a calcio con un giornalista sotto scorta, Paolo Berizzi, piccato perché questi in precedenza aveva detto “non si gioca a calcio coi fascisti” (e chissà mai perché La Russa si sarà piccato). E dove per commentare l’aggressione squadrista a un giornalista che faceva il proprio lavoro (“incursione”, sempre per La Russa) ha lasciato intendere che alla fine il problema sarebbe stato il fatto di non essersi identificato come giornalista. Perché si sa che storicamente i fascisti non attaccano i giornalisti che si identificano. Al massimo aspettano di incontrarli su un campo di calcio per falciarli da dietro.

Insomma, la ricezione dei due rapporti da parte dell’estrema destra, si tratti di partiti politici, esponenti del governo o stampa, non fa che confermare la validità del contenuto e degli allarmi lanciati. Una dinamica descritta dalla giornalista Francesca De Benedetti su X/Twitter, in un thread dove spiega la metodologia usata da entrambi i documenti (che non è ovviamente quella descritta da Meloni): “Come liberi pensatori, giornalisti e media indipendenti siamo sotto attacco due volte. La prima, perché il governo Meloni prende di mira la libertà di informazione. La seconda, perché per provare che ciò non sta avvenendo, le vittime degli attacchi sono descritte come nemici della nazione”.

In copertina: Giorgia Meloni all’altare della patria, immagine di vialibera.it

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