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La Funzione Pubblica? Non c’è più

 In un recente documento la campagna Ero Straniero ha denunciato che al 21 settembre scorso dalla prefettura di Roma erano state esaminate solo la metà del totale (il 54,97%) delle 17.371 domande presentate con la sanatoria 2020 e che le pratiche definite da gennaio ad aprile 2023 sono state solo 88, sottolineando che nel 2023 la prefettura ha perso 14 unità di personale, pari al 44% della forza lavoro che nel 2022 si occupava delle pratiche.

Stessa situazione a  Milano dove delle 26.225 domande di emersione ricevute dalla prefettura, al 21 luglio 2023 erano definite solo il 59,21% del totale. E anche per la prefettura di Milano, la causa principale dei tempi lunghissimi e dei ritardi nella definizione della procedura è la carenza di personale.

Sono i servizi per l’immigrazione in generale, e quindi questure, prefetture, ma anche commissioni territoriali per l’asilo e ispettorati territoriali per il lavoro, che fanno capo al Ministero per il lavoro e le politiche sociali, ad essere fortemente in affanno, con gravi ripercussioni sulla vite delle persone: basti pensare alla difficoltà di affittare un’abitazione avendo in mano, non il permesso di soggiorno, ma un semplice ricevuta che attesta di averlo richiesto.

Anche le procedure di ricongiungimento familiare scontano questa esasperante lentezza, per non parlare delle richieste di asilo e delle file interminabili dalle prime luci dell’alba agli sportelli delle questure di tutt’Italia.

Ma la fine della “Funzione Pubblica” investe ormai ogni settore della Pubblica Amministrazione. I cittadini che hanno la necessità di rinnovare il passaporto da tempo stanno sperimentando interminabili attese, fino a otto nei casi più critici.

Per non parlare di ciò che accade in sanità con le liste d’attesa o con i servizi del  pronto soccorso. E ovviamente ad una “Funzione Pubblica”, che va scomparendo, corrisponde un massiccio rafforzamento del privato.

La Fondazione GIMBE ha sottolineato che il testo della Manovra Meloni indica un incremento rispetto alla spesa consuntivata nel 2011 dell’1% per il 2024, del 3% per il 2025 e del 4% a decorrere dal 2026 per l’acquisto dal privato di prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e di assistenza ospedaliera dal privato accreditato.

La Relazione Tecnica riporta che, sulla base dei dati di Conto Economico delle Regioni, l’onere per il 2024 è pari a circa € 123 milioni di euro, per il 2025 è pari a € 368 milioni e quello a regime a partire dal 2026 è pari a € 490 milioni.

“Se formalmente inserita tra le misure per l’abbattimento delle liste di attesa – precisa Cartabellotta – questa disposizione appare finalizzata a sostenere le strutture private accreditate già esistenti per due ragioni. Innanzitutto, perché a differenza dell’incremento della tariffa oraria delle prestazioni aggiuntive (art. 42) che cessano nel 2026, rimane in vigore anche per gli anni successivi, ovvero diventa strutturale. In secondo luogo, perché avendo come riferimento il consuntivo 2011 delle Regioni, gli incrementi del tetto di spesa sono proporzionali a quanto ciascuna Regione ha speso 12 anni fa».

A partire dal 2026, la Lombardia potrà spendere per il privato accreditato oltre € 3,3 miliardi; a seguire Lazio (€ 1,7 miliardi), Campania (€ 1,4 miliardi) e Sicilia (€ 1,2 miliardi).  [vedi qui]

Per non parlare degli affanni dei nostro Comuni, spesso costretti ad esternalizzare addirittura i servizi anagrafici, dopo aver dato nelle mani dei privati rifiuti, acqua, servizi sociali, manutenzione del verde, tributi e quant’altro. Comuni penalizzati anche dall’attuale manovra delle destre.

Scrive la campagna Ero Straniero: “La pubblica amministrazione, in ogni suo comparto, versa da anni in una situazione allarmante: la maggior parte dei servizi pubblici soffre di una cronica e crescente carenza di personale. Che si tratti di medici o infermieri, di personale scolastico, di agenti di pubblica sicurezza o funzionari delle prefetture e degli uffici comunali, il concetto di fondo non cambia: semplicemente non ci sono abbastanza persone addette allo svolgimento dei compiti connessi con l’esercizio del potere statale.

Questo non determina solo inaccettabili disservizi a spese di tutta la cittadinanza, persone italiane e straniere insieme. La questione si fa più profonda nella misura in cui tali disservizi si tramutano in un’erosione costante dei diritti dei cittadini e delle cittadine, e arrivano a mettere in discussione lo stesso contratto sociale su cui si fonda lo stato moderno: come giustificare il pagamento delle imposte, se i servizi in teoria sostenuti dal gettito fiscale – pubblici, appunto – non sono più in grado di rispondere ai bisogni della collettività?

D’altronde, il “buon andamento” dell’amministrazione, così come la sua imparzialità, sono obiettivi sanciti dall’art. 97 della nostra Costituzione, e ripresi da numerose leggi dello stato, tra cui la legge 241/90 14 e il decreto legislativo 150/2009”:

E la situazione è destinata a peggiorare: secondo l’Osservatorio sul pubblico impiego di INPS nella PA da qui al 2030 oltre 700.000 persone andranno in pensione nelle amministrazioni pubbliche (esclusa istruzione e ricerca), 120.000 nelle funzioni centrali, 220.000 negli enti locali, 240.000 nella sanità, 140.000 tra il personale del comparto sicurezza, difesa e soccorso e nel comparto autonomo. Per mettere in sicurezza la Funzione Pubblica occorre un piano straordinario pluriennale di assunzioni per 1.200.000.

Ma per le destre a guida Meloni la priorità, o meglio la madre di tutte le riforme, non è intervenire per evitare il collasso definitivo della nostra Pubblica Amministrazione, ma la verticalizzazione del processo decisionale e il premierato. Anche se poi la “Capa” o “il “Capo” non avrà più nessuno per dare attuazione ai suoi comandi.

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Giovanni Caprio

Giornalista pubblicista, di Mondragone (Caserta),, già dirigente a Roma di istituzioni pubbliche e di fondazioni private. Si occupa di beni comuni, partecipazione e governo del territorio.

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