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Ferrara film corto festival

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La “fine della Storia” produce morte. L’opposizione fa bene alla salute.

 

La democrazia è viva se chi governa ha una vera opposizione che consenta agli elettori di esprimersi. C’è stato un tempo della nostra prima Repubblica in cui Enrico Berlinguer, segretario del Partito Comunista Italiano, pur essendo all’opposizione – e sembrava senza speranze di poter governare – disse “si governa anche dall’opposizione”. Intendeva che è possibile, anche se si è minoranza in Parlamento, avanzare proposte  che possono trovare (in tutto o in parte) il consenso di chi governa. Negli ultimi decenni però la politica (e la democrazia) hanno trovato un temibile concorrente che si situa fuori dal Parlamento e dalla politica: il “dio denaro” che regna in Terra, al posto del “dio trino” che una volta governava sia in cielo che in terra.

Intendiamoci: le lobby ci sono sempre state, ma oggi hanno assunto un potere enorme. L’economia è sempre stata importante sin dall’antichità, ma Etica e Politica l’hanno tenuta sempre a bada. Con Niccolò Machiavelli nel 1500 ha fatto un primo “salto” sganciandosi dall’Etica (“il fine giustifica i mezzi”). Un secondo passo lo ha fatto con Adam Smith (1776), ponendo le basi per diventare “moderna”, quando egli dice “non è certo dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo il nostro pranzo, ma dal fatto che essi hanno cura del proprio interesse”, dimenticando però che lo stesso Smith aveva scritto nella Teoria dei sentimenti morali (1759): “Per quanto egoista lo si possa supporre l’uomo ha evidentemente nella sua natura alcuni principi che lo inducono a interessarsi alla sorte degli altri e che gli rendono necessaria la loro felicità”. Infine, un terzo grande salto lo ha fatto di recente (nel 1999), quando Bill Clinton ha deciso che tutte le banche potevano speculare, abolendo una legge che il più rinomato presidente democratico (Roosevelt) aveva emanato per porre fine alla crisi del 1929. Da allora la gran parte dei profitti si fa non investendo nell’economia reale, ma speculando su tutto l’immaginabile.

Il 1999 seguiva a un decennio in cui era crollato il comunismo reale in Urss e il capitalismo era ormai considerato l’unico “verbo”, al punto che Francis Fukuyama professò “la fine della Storia”. Ma come dice l’adagio “l’orgoglio precede la caduta”, sia nella cultura occidentale che in quella orientale. Il nostro teatro ha cinque atti che vanno in crescendo (presentazione, dialogo-scontro, conflitto tra le due regine); ma nel quarto atto c’è una pausa-riflessione che porta, nel quinto atto, alla conclusione. Così anche nella cerimonia del tè: il quarto sorso (pausa-caduta) è in discontinuità con la crescita dei primi tre sorsi: piacere, felicità, pienezza e precede il quinto e ultimo sorso, quello della saggezza-armonia. In sostanza: la cultura universale ci racconta che se non ci si ferma a riflettere e non si fa anche un passo indietro, la crescita per la crescita, la crescita infinita è patologica e produce morte.

Così sta avvenendo nel mondo odierno per l’Occidente, che ha sempre dato le carte al mondo intero spiegando come si vive e si produce (produci, consuma e crepa, cantavano i Cccp), come si fa economia e finanza. E’ come se fossimo al terzo atto, al culmine di una hybris, di un delirio di potenza e di crescita infinita (e relativa depredazione della Natura) che è mortale. Ciò avviene perché non ci sono apparentemente avversari o alternative. Se nel secondo dopoguerra fu costruita la miglior società occidentale (welfare, uguaglianza, tasse sui ricchi) lo si è dovuto proprio alla competizione con il suo opposto (Urss). Si doveva pur dimostrare che la società liberal democratica era migliore dell’oppositore comunista. Crollato il comunismo, nel 1991 siamo ripiombati in un incubo dominato da disuguaglianze, impoverimento e guerre reali.

L’Europa “inclusiva” e sempre più “estesa ad est” che avanza senza guardare a ciò che accade nella realtà, ha prodotto una enorme opposizione che si è materializzata alle ultime elezioni con l’avanzata dei sovranisti, passati dal 18% dei voti al 26%. Negli Stati Uniti Donald Trump ha rimesso al centro alcuni principi che, al di là delle polemiche, sono stati assunti dallo stesso Biden negli ultimi 4 anni della sua amministrazione:

  • bisogna difendere il ceto medio se perde reddito;
  • bisogna difendere il lavoro e il reddito degli operai americani spiazzati dalla globalizzazione e dalle de-localizzazioni delle stesse multinazionali americane in paesi dove il costo del lavoro è molto più basso;
  • bisogna regolamentare l’immigrazione perché non diventi una forma di concorrenza e uno strumento per ridurre i salari dei propri concittadini;
  • bisogna imporre dazi alle merci cinesi a costo di pagare tutti come consumatori qualcosa di più, pur di difendere il lavoro made in Usa;
  • bisogna ridiscutere il ruolo di Organizzazioni internazionali come il WTO che regolano i commerci nel mondo;
  • bisogna rinunciare a voler controllare il mondo e concentrarsi sullo sviluppo del proprio paese.

Su tutti i primi cinque punti l’amministrazione Biden ha seguito le orme di Trump e in alcuni casi le ha anche superate. L’unico punto su cui c’è un reale dissenso è l’ultimo, in quanto Trump vuole concentrarsi sul fare “great again” gli Stati Uniti, mentre i Democratici sono ancora convinti di poter controllare il mondo. Ma forse sarebbe meglio dire che più dei Dem agisce un potere dietro le quinte (trasversale): ildeep state, lo stato profondo, formato dalle 15 agenzie di intelligence, dal Pentagono, dalle lobby militari e da molti ambienti economici e finanziari che fanno una montagna di soldi con le guerre, la globalizzazione deregolamentata e che sono favorevoli ad un clima di tensione mondiale, in cui gli affari possano prosperare e la gente possa avere sempre più paura. E su questo punto non è difficile dare ragione a Trump che ha infatti chiuso la guerra in Afghanistan, mentre i Democratici le hanno tutte aperte negli ultimi 20 anni. Trump è un uomo di destra e d’affari torbidi, ma serve a poco accusarlo delle sue (poco edificanti) inclinazioni sessuali o pensare di batterlo con un processo della magistratura. Bisogna affrontarlo nel merito delle sue proposte, sapendo che solo migliorando le condizioni reali degli americani si potrà vincere.

Fa quindi piacere che Kamala Harris, la nuova avversaria di Trump, abbia accolto il suggerimento dei suoi spin doctors a cimentarsi sul merito delle questioni che Trump ha messo in discussione, “buttando all’ aria” decenni di sacre convinzioni delle nostre economie concorrenziali (capitalistiche) e facendo sentire i leader delle forze “tradizionali” (democratici, socialisti, verdi, liberali, ma anche conservatori) non più i padroni di casa che per lignaggio devono governare, ma costringendoli a confrontarsi su ciò che sta a cuore ai loro cittadini.

Ovviamente tra il comunista (a modo suo e in conflitto con l’Urss) Berlinguer e l’uomo d’affari Trump fuori dagli schemi (“strano” ora lo chiama Harris) c’è una enorme differenza, e il parallelismo potrà sembrare azzardato, ma sono entrambi temibili oppositori a cui lo Stato profondo si oppone – o si oppose. Al primo fu impedito di fatto di fare un governo di unità nazionale con Moro, il secondo è appena sopravvissuto ad un attentato per un puro colpo di fortuna: se non si fosse voltato all’ultimo secondo per fare vedere un grafico sull’immigrazione… e tutto questo nonostante le super finanziate quindici agenzie di intelligence americane.

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


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