La crisi dell’automotive è la crisi dell’ Europa, nano politico
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La crisi dell’ automotive è la crisi dell’ Europa, nano politico
L’ automotive europeo è in crisi, specie i due principali produttori di automobili: VW (Volkswagen + Audi) e Stellantis (FIAT-Chrysler e Peugeot). VW vorrebbe chiudere tre stabilimenti in Germania e tagliare del 10% le retribuzioni dei propri dipendenti; Stellantis (che ha appena licenziato il proprio CEO Carlos Tavares) sta ricorrendo a stop di produzione e di cassa integrazione (a Mirafiori sono 17 anni che c’è!).
Nel 2024 in Italia sono state immatricolate 1,56 milioni di auto, come nel 2023, ma 360mila in meno del 2019 (-18,7%). Colpa del minor potere d’acquisto delle famiglie italiane? Dei prezzi troppo alti? Della transizione all’elettrico fermo in Italia al 4,2%? Dello scarso interesse dei giovani per le 4 ruote? Un po’ di tutto. Negli ultimi mesi chi soffre di più è Stellantis (-40% in borsa), scavalcata in Italia anche da Dacia, Renault, Toyota che hanno puntato sull’ibrido. Poi c’è la cinese Byd (tutto elettrico) che ha raggiunto Tesla nelle vendite del solo elettrico nel 2024 (1,7 milioni), nonostante i dazi di Usa ed Europa. Tesla vende solo il 2,4% delle auto nel mondo, ma ha una capitalizzazione di borsa mostruosa (1.100 miliardi) che indica quanto l’elettrico abbia avuto un forte impatto anche finanziario. Per un confronto: VW ha 46 miliardi, Stellantis 37, Ferrari 76, Porsche 54, Mercedes 53, Bmw 50, Renault 14. La capitalizzazione in borsa Tesla è gonfiata sicuramente dai 210 milioni di seguaci su X di Musk, il cui titolo è sempre cresciuto (chi ha investito 1.000 dollari nel 2010 ne ha oggi 250.000) anche se per la prima volta nel 2024 il titolo Tesla ha perso l’8%.
Dal 2000 l’Europa, nonostante sia cresciuta a 27 paesi, ha dimezzato il proprio valore nella produzione mondiale di automobili: dal 31% a poco più del 15%. La quota produttiva persa dall’Europa è stata prodotta dalla Cina, passata dal 4% al 32% diventando la prima produttrice mondiale. Nel frattempo buona parte della manifattura e dell’ automotive europeo è stata spostata dall’Italia ai paesi dell’Europa Orientale, dove essa impiega ormai un quarto degli occupati: Ceca, Slovenia, Slovacchia, Serbia, Ungheria, Polonia, Romania. L’Italia rimane, in valore assoluto con 3,9 milioni di dipendenti nella manifattura, ancora leader (dopo la Germania con 7,5 milioni di dipendenti), anche se in continuo calo, in quanto la globalizzazione ha spostato il proletariato industriale europeo nella parte orientale. Le conseguenze sono quelle già viste in Inghilterra, Stati Uniti e Francia (i tre paesi dov’è nato il liberalismo con le rispettive rivoluzioni) e dove ad una classe operaia ben pagata, che votava in maggioranza Labour, è subentrato un terziario di lavoretti malpagati e demansionati che vota in maggioranza Tories. La recente crescita dell’occupazione in Italia si allinea a questo modello, in cui cresce il lavoro povero e cala quello industriale ben pagato. Il laburismo è nato dall’industrializzazione e da valori religiosi: la fine di entrambi lo ha minato alla radice.
Fonte: Eurostat
Chi ha perso di più in Europa, in termini di produzione di autoveicoli, è stata l’Italia. Ex Fiat (Stellantis) è arrivata a 283mila auto e 192 mila veicoli in totale 475mila: erano 2 milioni nel 1989. La via “inglese” è stata aperta anche in Italia e darà i suoi frutti avvelenati. L’occupazione della manifattura italiana ha preso una batosta micidiale, prima con la globalizzazione, poi con l’entrata di 100 milioni di lavoratori dei Paesi dell’Est in Europa a seguito dell’allargamento del 2004. Ora cerca di riprendersi, ma la subalternità agli Stati Uniti mette a rischio l’intero modello basato sulla manifattura; i nostri artigiani (-400mila in 10 anni), i piccoli negozi delle nostre piccole e medie città desertificate da Amazon. Qui sotto riporto una statistica su una speciale produzione, quella delle macchine utensili: essa mostra come l’area tedesco-austriaca-italiana sia ancora leader nel mondo e quanto sarebbe importante avere un’Europa e un’Italia autonome e indipendenti e non neo colonie delle multinazionali degli altri. Nella seconda colonna la produzione è divisa per abitanti.
La transizione dell’automobile dal motore a combustione a quello “green-elettrico” vede l’Europa in netto ritardo rispetto alla concorrenza sino-americana, per la scarsa lungimiranza mostrata nell’ultimo decennio. La strategia è stata decisa troppo tardi e senza quel supporto pubblico che hanno avuto sia gli Stati Uniti nel 2023 e ancor più la Cina con molto anticipo (10 anni fa). Il blocco alla produzione di auto a combustione (che diverrà effettivo a partire dal 2035) è stato deciso nel 2023, ma da anni era chiaro che la mobilità mondiale si sarebbe spostata verso un modello più ecosostenibile. Il fatto è che in Europa lo “Stato nazione (come scrive Emmanuel Todd) ha cessato di esistere. Al suo posto c’é un’Unione Europea senza capacità di definire le proprie politiche interne ed estere in modo indipendente e senza ingerenze esterne”. La transizione all’elettrico ha posto norme, ma prive di investimenti e sostegni pubblici come si sarebbe dovuto fare. E mentre ci si lamenta per il clima, si investe silenziosamente da 20 anni in armi. I dati Sipri mostrano come le spese militari di USA + Europa siano cresciute dal 2000 al 2023 (a prezzi costanti) del 61%.
I produttori europei di auto hanno deciso di “ignorare” l’elettrico – che all’inizio era una nicchia di mercato – per sfruttare i vantaggi dove il margine di profitto era maggiore (motore endotermico in auto di media e grossa cilindrata), trovandosi poi a doversi adattare, una volta costretti, alle nuove normative.
I produttori cinesi, che hanno uno Stato-nazione, sono stati sostenuti da generosi aiuti pubblici, hanno investito in nuovi prodotti e processi per l’elettrificazione, migliorando l’integrazione di nuove componenti software, elettroniche e meccaniche; così oggi la cinese Byd ha raggiunto Tesla nelle vendite del solo elettrico. L’Europa è così indietro non tanto sulla tecnologia, dove resta leader per brevetti (come dice anche il prof. Zirpoli, Cà Foscari) ma sull’efficienza produttiva, l’automazione e la rete di ricarica. Se tutti avessimo un’auto elettrica (full, non ibrida) ci sarebbero le code e infatti i consumatori europei ne comprano poche.
I cinesi hanno anche puntato su piccole auto a basso costo non prodotte in Europa e Usa, dove la domanda dei consumatori è massima (le vecchie utilitarie), mentre in Europa i produttori spingevano per un crescente spostamento verso auto sempre più grandi, potenti e costose. Dal 2000 al 2021, per i consumatori europei il costo medio delle auto è cresciuto del 66% (contro un aumento dell’inflazione del 38%), il che si è riflesso su come è stata concepita l’auto elettrica in Europa: auto costose, grandi e pesanti, per cui i consumatori europei ora si rivolgono o alle ibride o alle auto cinesi piccole ed economiche (da qui i dazi imposti ai cinesi).
C’è poi sullo sfondo il problema delle materie prime: la Cina oggi è leader nelle terre rare, litio, cobalto, grafite e, di conseguenza, nelle batterie, per cui la Cina non solo compra sempre meno auto dall’Europa, ma esporta in UE con i propri modelli, più efficienti ed economici.
L’Europa si trova nella situazione di rincorrere in un’industria in cui è sempre stata leader. L’anno prossimo arrivano per i costruttori europei le sanzioni imposte dall’Europa (se vendono poco elettrico e producono troppa CO2). Cosa succederà? Se le auto sono troppo costose non le compra nessuno, se non le compra nessuno scattano le sanzioni, se scattano le sanzioni non ci sono soldi per innovare e per ridurre i costi: un loop potenzialmente letale per l’Europa.
In Giappone Nissan e Honda in crisi si uniscono, ma non Toyota che non è mai andata in crisi. Come mai? Ha puntato da subito sull’ibrido (endotermico + elettrico) e su altre soluzioni: il motore ad acqua che estrae idrogeno che, per ora, non è sicuro perché in caso di incidente è come una bomba. Questo è il parere di Giuseppe Sabella, direttore di Oikonova, esperto di transizione della mobilità, che sostiene che la tecnologia dell’elettrico sarà solo una delle tecnologie che innoveranno la mobilità (non tutti possono andare in elettrico, non ci sono né le materie prime né la rete).
Per riguadagnare il proprio ruolo di leadership mondiale, l’Europa dovrà dunque farsi portatrice di una nuova idea di mobilità, cambiando approcci e obiettivi e ripartendo dagli investimenti (sia pubblici che privati) nella ricerca che, per un secolo, le hanno permesso di essere leader mondiale. Anche in questo caso il “libero mercato” deregolato non è affatto lungimirante e senza una nuova Europa, che sia un vero Stato-nazione, il declino è assicurato. La mancanza di uno Stato-nazione e la logica dei Ceo – libero mercato, profitti a breve – ha prodotto una catastrofe. A pagare saranno i lavoratori, indeboliti come “proletariato” da continue delocalizzazioni (altrove e a Est). Il futuro sarà nello sviluppo integrato di software, telecomunicazioni, infrastrutture, chimica (per le batterie), processi di produzione più efficienti, riciclo e riuso. Per farlo serviranno tanti investimenti sia pubblici che privati. L’Europa, se fosse uno Stato sovrano, ne avrebbe le potenzialità, investendo nei settori di interesse dei suoi cittadini. Ma oggi come vassallo degli Stati Uniti l’interesse è riarmarsi. Sta qui la crisi di tutti i Governi liberal-democratici: la mancanza di autonomia e visione di lungo periodo e la caduta di difesa dei ceti popolari.
Foto cover tratta da Public Domain Media
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Andrea Gandini
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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