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La Convenzione di Istanbul e la violenza contro le donne

L’Unione Eropea ha ratificato il 28 giugno 2023 la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (STCE n. 210), nota come Convenzione di Istanbul [Qui il testo completo]

La Convenzione ha l’obiettivo di:

  1. proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
  2. contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l’autonomia e l’autodeterminazione delle donne;
  3. predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica;
  4. promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
  5. sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell’applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l’eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica. (Articolo 1).

La ratifica da parte dell’UE era prevista dalla Convenzione di Istanbul (art. 75) ed era tra le priorità della presidenza Von Der Leyen. Oltre a ciò, la Commissione e il Parlamento UE hanno promosso l’adozione di una direttiva sul contrasto alla violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, la cui proposta è stata presentata l’8 marzo 2022.

Tale proposta stabilisce:

  • norme minime sulla definizione dei reati “nei settori dello sfruttamento sessuale delle donne e dei bambini e dei crimini informatici” e sulle sanzioni;
  • diritti delle vittime di ogni forma di violenza contro le donne o di violenza domestica prima, durante e dopo il procedimento penale;
  • protezione e sostegno delle vittime.

La Convenzione di Istanbul si applica principalmente alle donne perché copre forme di violenza che solo le donne possono subire in quanto donne (aborto forzato, mutilazioni genitali femminili), o che le donne subiscono molto più spesso degli uomini (violenza sessuale e stupro, stalking, molestie sessuali, violenza domestica, matrimonio forzato, sterilizzazione forzata).

Tuttavia, anche gli uomini subiscono alcune forme di violenza trattate dalla convenzione, come violenza domestica e matrimonio forzato, anche se più di rado. La Convenzione ne prende atto e incoraggia gli Stati parti ad applicare le sue disposizioni a tutte le vittime di violenza domestica, compresi uomini, bambini e anziani.

A seguito della ratifica appena entrata in vigore, l’UE sarà soggetta a valutazione da parte del GREVIO, il comitato di esperte ed esperti istituito dalla Convenzione. Il GREVIO è l’organismo indipendente del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione della Convenzione di Istanbul in tutti i paesi che l’hanno ratificata ed è costituito da un Gruppo di esperte sulla violenza di genere.

Tale organismo ha avviato nel 2018 la procedura di monitoraggio e valutazione dell’applicazione della Convenzione di Istanbul. Il lavoro del GREVIO si basa sui rapporti forniti dai governi e dalla società civile (il cosiddetto “rapporto ombra”), per valutare le misure legislative e politiche adottate dagli Stati membri del Consiglio d’Europa e per dare piena applicazione delle misure previste dalla Convenzione di Istanbul.

Qualora si renda necessario intervenire per prevenire e porre fine a pratiche di violenza contro le donne previste nella Convenzione, il GREVIO può anche avviare speciali procedure d’inchiesta. Sia la revisione periodica dell’attuazione della Convenzione di Istanbul che tali speciali procedure di inchiesta, si concludono con la pubblicazione di Raccomandazioni, inviate ai governi affinché attuino le misure proposte per porre fine alle pratiche di violenza che persistono.

Mi sembra di poter dire che:

  • L’adozione di tale normativa è un momento importante della vita civile dell’Europa.
  • Il riconoscimento di un atto normativo sancisce sempre un passaggio che spinge verso una condivisione di tipo culturale e ideologico.
  • Penso anche che, a fronte di tutta una serie di atti normativi che procedono il loro difficoltoso cammino verso l’emersione della violenza e la denuncia di tutti gli stati di non-parità, esista una dimensione del vivere davvero triste. Mi riferisco in modo particolare al problema dei femminicidi. Nel 2022 in Italia sono state uccise 119 donne (fonte ISTAT), nel 2023 sono già tantissime (si veda: https://femminicidioitalia.info/lista/2022).

Si direbbe che a fronte di una situazione normativa in evoluzione il fenomeno sia in crescita e la situazione preoccupante. La psicologia insegna che ci sono alcune condizioni che solitamente si riscontrano tutte le volte che avviene un femminicidio.

Esistono dei fattori scatenanti, la cui costante è la mascolinità tossica. Tale tossicità è rappresentata da un insieme di credenze sedimentate culturalmente che portano a considerare la donna come un oggetto privo di identità e di autonomia, privo del diritto di essere considerato un essere umano, con tutto ciò che ne consegue.

Le costanti che sono presenti negli episodi di femminicidio sono: un grado di scolarizzazione basso, violenze che l’uomo ha subìto quando era bambino, violenze domestiche cui l’uomo ha avuto modo di assistere da bambino, l’abuso di droghe, una condizione di disparità di genere nella quale si è cresciuti. Su tutto ciò è necessario intervenire non solo con atti normativi ma con prassi, educazione, formazione, controllo.

Credo anche che la parità sia sempre un fattore ambivalente e non il dominio di un genere sull’altro. A questo proposito vanno citati anche i pochi casi che si registrano in cui una donna uccide un uomo. Il fenomeno non è comunque paragonabile quantitativamente al suo contrario e l’uso della parola ‘maschicidio’ non utilizzabile. Si conoscono infatti i meccanismi attraverso i quali si manifesta un femminicidio, non altrettanto vale per le motivazioni delle pochissime donne che decidono di uccidere un uomo.

La Convenzione di Istanbul non si occupa solo dell’apice dei fenomeni di violenza sulle donne, ma di tutte le forme di violenza riscontrabili. Nel documento si fa infatti riferimento a: violenza sessuale e stupro, stalking, molestie sessuali, violenza domestica, matrimonio forzato, sterilizzazione forzata, etc.

Per ciascuna di queste forme di violenza si potrebbe scrivere un libro, molto diffuso è il fenomeno dello stalking. Stalking è un termine utilizzato per indicare una serie di atteggiamenti tenuti da un individuo, detto stalker, che affliggono un’altra persona, perseguitandola, generandole stati di paura e ansia, arrivando persino a compromettere lo svolgimento della normale vita quotidiana.

Grazie ai lavori svolti in ambito psicologico si è potuto individuare sei tipologie di stalkers.

  1. i cercatori di intimità: sono persone che desiderano realizzare una relazione stretta con uno sconosciuto o con un conoscente che ha attratto il loro affetto e dal quale pensano di poter essere amati;
  2. i rifiutati: reagiscono opponendosi alla fine non desiderata di una relazione, cercando ripetutamente un ultimo contatto;
  3. i rancorosi: rispondono ad una presunta offesa con azioni volte a provocare paura ed apprensione;
  4. gli incompetenti: vogliono intraprendere una relazione con la vittima con modalità inadeguate nei confronti di rituali di corteggiamento;
  5. i predatori: sono i ‘veri cacciatori’;
  6. i contro-stalker: coloro che, per ragioni di difesa emozionale, mettono in atto una ‘caccia all’uomo’ molto più vittimizzante di quella esercitata dallo stalker primitivo.

Lo stalking riguarda spesso ragazze giovani, non si può quindi far altro che augurarsi che si faccia, a tutti i livelli, il più possibile per contrastare questo fenomeno che ha un forte potere logorante.

Per concludere, mi auguro davvero che la Convenzione di Istanbul esprima non solo legiferalmente, ma anche con condizionalità culturale, un passo avanti decisivo. L’approccio culturale è determinante nel condizionare i comportamenti umani, così come lo è la visione del mondo e lo stereotipo che da questa può generare.

Vale per le donne e vale sicuramente anche per gli uomini, vale in tutti i casi in cui l’appartenenza di genere trasforma un individuo in un attrattore di abusi più o meno violenti, più o meno perseguibili, più o meno conosciuti.

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Catina Balotta

Sociologa e valutatrice indipendente. Si occupa di politiche di welfare con una particolare attenzione al tema delle Pari Opportunità. Ha lavorato per alcuni dei più importanti enti pubblici italiani.

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