Skip to main content

Ferrara film corto festival

Ferrara film corto festival


“Confiteor”, il nuovo libro di Piergiorgio Paterlini: come una notte di veglia e di parole.

Mia nonna – la cito perché anche Piergiorgio Paterlini (PGP) parla a lungo di sua nonna nel suo ultimo bellissimo libro – diceva mia nonna, grande lettrice, e traduco dal dialetto ferrarese: “Si scrive si scrive … e poi scopri che l’hanno già scritto”.  Così, quando incominciate le prime righe di un nuovo libro, almeno questa è la mia esperienza, capita spesso di riconoscere una eco, uno stile, una sintassi, una scelta dei vocaboli, un mood che avete già incontrato altre volte, in altri libri e in altri autori.

Non è il caso di Piergiorgio e del suo Confiteor (Piemme edizioni, 2024), ma lo stesso si potrebbe dire di molti altri suoi libri. Confiteor, una confessione appunto. Quindi, non un romanzo tout court, non un pezzo di storia d’Italia, non una collana di pensieri forti.  E neppure una autobiografia, come mi pare abbiano inteso la maggior parte dei recensori.

Oppure sì, una autobiografia, che al centro del libro c’è comunque Piergiorgio e la sua vita, ma nelle mani dell’autore il genere autobiografico subisce una mutazione, devia dal canone per assumere altre coloriture, altri sentieri, e riserva inaspettate sorprese e illuminazioni.

Piergiorgio Paterlini, che in seminario ha trascorso gli anni della primissima adolescenza e che così bene ci racconta, non si confessa davanti a un ministro del culto e nemmeno davanti a Dio: due o tre volte nel libro ricorre una frase sintetica e senza appello “È tutta la vita che faccio a botte con Dio“. Giobbe naturalmente.

Per intendere, però, che tipo di confessione sia quella di Piergiorgio, immaginate di passare con un amico o un’amica (a me è capitato) una notte di veglia e di parole. In quella notte passato e presente si intrecciano e la voce, il tono (lo stile) si alza e si abbassa, si alternano la storia, il ricordo, il racconto per poi lasciar spazio ai grandi e controversi temi civili. E qui  Paterlini mette coraggiosamente le mani nel piatto (per chi lo conosce non è una novità), ribalta il punto di vista corrente e propone una lettura non convenzionale dei grandi temi di carattere intimo, pubblico e civile.

Così, mentre continua a fare a botte con Dio, Piergiorgio regola i conti con una certa categoria di cattolici. Non i lefebvriani o gli attivisti del movimento per la vita (troppo semplice, come sparare sulla croce rossa), ma un certo tipo di “cattolici progressisti” con l’insopportabile presunzione di etichettare come cristiani chi cristiano non è. A loro, con un felice salto stilistico,  dedica una sentenza che ha il sapore del Woody Allen migliore : ” I cattolici, se Dio Esiste, sono straconvinto non li sopporti”.

Nel suo Confiteor c’è spazio per il tema della “normalità omosessuale” (spero che PGP mi passi la definizione), che era già al centro della sua attenzione più di trent’anni fa: il suo Ragazzi che amano ragazzi (uscito nel 1991 e continuamente ristampato). Già allora Piergiorgio ha prodotto un pensiero nuovo, segnando una piccola rivoluzione culturale, il passaggio dalla categoria della identità a quella della preferenza sessuale.

C’è poi un altro tema, legato al primo, molto più importante e che Paterlini continua a esplorare, quello del desiderio, della affettività, dell’amore. Pagina 305: “Non è ideologico ma oggettivo che non esiste una minoranza sessuale, esistono maggioranze e minoranze diverse per ogni aspetto dell’affettività e della sessualità. E continua: “Oggi, ma da molto tempo, sono molto più curioso di sapere perché qualcuno si innamora cinque volte al giorno e qualcun altro una volta soltanto della vita.”

Il desiderio, l’attrazione, l’affettività, l’amore, ognuno di noi li vive in modo differente. Se ci concentrassimo su questo, “diventerebbe lampante quanto sia poco interessante che uno si innamori di una persona del proprio o dell’altro sesso”. Già, l’amore, Piergiorgio ne parla come di un miracolo, l’unico miracolo in cui “credere”,  ne esiste forse un altro sulla faccia del pianeta?

E proprio l’amore, la sua inaudita potenza, è al centro del suo romanzo breve Lasciate in pace Marcello (ristampato da Einaudi), la prova narrativa più riuscita di Paterlini, dove si avverte la lezione di Ignazio Silone; non il Silone del celebratissimo Fontamara, ma di quello che io considero il suo romanzo capolavoro, Il segreto di Luca.

Poi in Confiteor c’è la storia, tanta storia, micro e macro, personale e collettiva. Il libro è diviso in tre grandi sezioni: Ottocento, Novecento, Duemila. Una storia lunga tre secoli, vissuta direttamente dall’autore, nato nel 1954 in un piccolo borgo della campagna reggiana. Da quel punto, prima della scomparsa delle lucciole, prima del carrarmato del Boom, prende avvio la storia: la storia di un bambino che si guarda intorno, che vorrebbe fare domande di cui ancora oggi cerca le risposte.
Ecco l’Italia contadina preindustriale, la casa dei familiari e degli antenati, le leggi non scritte della società patriarcale. Le pagine dove Paterlini rivive e ci racconta questo orizzonte, che coincide in tutti i sensi con “il tempo dell’infanzia”, sono affascinanti, ma soprattutto vere, senza cedimenti alla nostalgia. Nessuna aureola bucolica. Perché quel mondo scomparso non era, per il solo fatto di essere scomparso, più bello e più facile di quello contemporaneo, era un mondo misterioso, duro, a volte crudele.

Infine, e non potrebbe essere altrimenti, c’è il lavoro, il Paterlini giornalista, scrittore, autore teatrale, editor e tanto altro. Perché da quasi 50 anni, per riprendere una sua espressione, Piergiorgio “fa a botte con le parole”. Una quindicina di libri pubblicati, l’invenzione insieme a Michele Serra e Andrea Aloi del “settimanale di resistenza umanaCuore (quanta nostalgia oggi, in un’editoria italiana che ha abolito umorismo e satira), la lunga collaborazione a Linus, e le sue rubriche, i suoi blog, i suoi articoli su tanti quotidiani. Impossibile dar conto della varietà, della quantità, della qualità soprattutto, delle esperienze e delle invenzioni di PGP.

Conterà però almeno dire di una cosa che mi ha sempre colpito (e che ho spesso invidiato) nella scrittura di Piergiorgio. Per farlo, può servire una storica rubrica collettiva di Linus, cui anche io ero stato arruolato. Il titolo di quella rubrica – Racconti di notizie – proponeva una scommessa, dichiarava la voglia di un linguaggio nuovo. Raccontare le notizie, dunque: miscelare giornalismo e letteratura, uscire dagli stereotipi del genere giornalistico, trasformare un articolo in un racconto.

Tutta la carriera e la scrittura di Piergiorgio Paterlini è piena di sfide come questa. Così in alcuni suoi libri le interviste si trasformano in racconti in prima persona (uno per tutti Matrimoni, Einaudi) e le auto-biografie (l’ultima quella scritta con il Nobel Giorgio Parisi) diventano libri a quattro mani, un intenso dialogo rivelatore.

PGP, non credo che la critica se ne sia accorta a sufficienza, non è solo un bravo scrittore, ma è uno dei pochi che ha lavorato e continua a lavorare sul linguaggio. Leggere i suoi libri è sempre un vento nuovo chiusi come siamo nel pigro scatolone del giornalismo e della letteratura italiana contemporanea. Una boccata d’aria che consiglio a chiunque.

Per leggere gli articoli di Francesco Monini su Periscopio clicca sul nome dell’Autore

Ferrara film corto festival

Iscrivi il tuo film su ferrarafilmcorto.it

dal 23 al 26 ottobre 2024
Quattro giorni di eventi internazionali dedicati al cinema indipendente, alle opere prime, all’innovazione e ai corti a tematica ambientale.

tag:

Francesco Monini

Nato a Ferrara, è innamorato del Sud (d’Italia e del Mondo) ma a Ferrara gli piace tornare. Giornalista, autore, infinito lettore. E’ stato tra i soci fondatori della cooperativa sociale “le pagine” di cui è stato presidente per tre lustri. Ha collaborato a Rocca, Linus, Cuore, il manifesto e molti altri giornali e riviste. E’ direttore responsabile di “madrugada”, trimestrale di incontri e racconti e del quotidiano online “Periscopio”. Ha tre figli di cui va ingenuamente fiero e di cui mostra le fotografie a chiunque incontra.

Comments (2)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani


Chi volesse chiedere informazioni sul nuovo progetto editoriale, può scrivere a: direttore@periscopionline.it