Jeeg Robot, porcospino d’acciaio
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Jeeg Robot, porcospino d’acciaio
Che brutta immagine quella utilizzata dalla Presidente della Commissione Europea!
Ursula von der Leyen spera che gli europei lavorino per (eccola!) “trasformare l’Ucraina in un porcospino d’acciaio, indigesto per i potenziali invasori“. Lo ha dichiarato ai giornalisti uscendo dall’ultimo vertice londinese sulla sicurezza dell’Ucraina.
Ecco dove siamo improvvisamente (?) ripiombati; a quelle immagini e parole che ci auguravamo di non dover più risentire: “spezzeremo le reni a…”; “abbeverare i cavalli nelle fontane di S. Pietro”; “offriremo agli alleati lo scudo nucleare”…
D’altra parte come scriveva Henry Miller nel suo saggio su Arthur Rimbaud, Il tempo degli assassini, noi stiamo “…ancora adoperando il linguaggio dell’Età della Pietra…”; parliamo come se “… l’atomo di per sé stesso fosse il mostro, come se fosse lui e non noi ad esercitare il potere… L’uomo non ha nemmeno cominciato a pensare…” ed, infatti, sembriamo volere delegare questa capacità alla Intelligenza Artificiale, anzi vorremmo effettivamente assistere a questo ‘miracolo eretico’ della comparsa di coscienza in una macchina, fosse anche un semplice drone o un chatbot.
Procediamo, continua Miller, “… ancora a quattro zampe… barcollando nella nebbia, con gli occhi chiusi e il cuore che [ci] martella di paura… All’uomo è stata data una seconda vista perché potesse discernere attraverso ed oltre il mondo dell’apparenza. Il solo sforzo che gli è richiesto è che apra gli occhi dell’anima…”, e invece…
Invece si continua ad aprire il portafogli.
La partita sul riarmo dell’Europa che Von der leyen vede come «urgente» richiederebbe 800 miliardi di euro! Ecco il suo punto di vista: «Dopo molto tempo di investimenti inadeguati, è arrivato il momento di aumentare gli investimenti per la Difesa a lungo respiro, per la sicurezza dell’Unione europea, visto l’ambiente geo-strategico nel quale viviamo. Dobbiamo prepararci al peggio, dobbiamo aumentare le spese militari».
Questa dichiarazione mi ha fatto venire in mente una storiella, presumibilmente autobiografica, che Iosif Brodskij racconta in uno dei suoi saggi dal titolo Per citare un versetto (da I. Brodskij, Il canto del pendolo, Adelphi, 1987):
“…in una delle numerose prigioni della Russia settentrionale, avvenne la scena seguente. Alle sette del mattino la porta di una cella si spalancò e sulla soglia apparve una guardia che apostrofò i detenuti. «Cittadini! Il collettivo delle guardie carcerarie vi sfida tutti, voi detenuti, a una competizione socialista: si tratta di spaccare la legna ammassata nel cortile».
Da quelle parti e nei tempi in cui Brodskij fu rinchiuso quale dissidente in uno di quei famigerati gulag, non c’era il riscaldamento centrale e la polizia imponeva una “tassa” alle aziende forestali, facendosi consegnare un decimo della loro produzione.
Così i cortili delle prigioni si riempivano di enormi cataste di legname e dunque, continua Brodskij “…bisognava spaccare un po’ di legna…” facendola passare per una competizione socialista. “…«E se io mi rifiutassi?» S’informò uno dei detenuti. «Be’, in questo caso vai a letto a pancia vuota» rispose la guardia”.
“Furono distribuite le asce ai detenuti, e il lavoro cominciò. Prigionieri e guardie ci si misero d’impegno, e a mezzogiorno erano tutti stremati, specialmente i prigionieri, per via della loro denutrizione cronica. Fu annunciato un intervallo, e la gente si sedette a mangiare: tranne il tipo che aveva fatto quella domanda. Lui continuò a menare colpi d’ascia…”
E l’ascia di quello continuò ad andare su e giù, su e giù, anche quando alla fine della giornata gli altri gli gridarono di piantarla. Glielo dissero le guardie, e i suoi compagni di prigionia, ma lui, niente “…agli occhi degli altri era diventato quasi un’automa…. guardie e detenuti seguivano ogni suo gesto e sulle loro facce, a poco a poco, la smorfia sardonica lasciò il posto a un’espressione di stupore e poi di terrore”.
Quando l’uomo decise di fermarsi, a tarda sera, si avviò barcollando verso la sua cella, vi entrò e si buttò sul letto.
“Per il resto del suo soggiorno in quella prigione non fu più indetta nessuna gara socialista tra guardie e detenuti, sebbene il legname continuasse ad ammucchiarsi”.
Adesso calandoci nell’attuale situazione potremmo provare a identificare “quel prigioniero” in …un ucraino? Oppure in un russo? O ancora in un europeo? Non saprei davvero.
Ma quello che so è che quel prigioniero, allora così giovane, sicuramente conosceva meglio di qualunque ucraino, russo ed europeo di oggi il testo del Discorso della Montagna. Poiché il figlio dell’Uomo aveva l’abitudine di parlare per triadi, il giovane Brodskij sicuramente ricordava che dopo il versetto
“ma se uno ti percuote sulla guancia destra, porgi a lui anche l’altra”
non c’è una pausa ma il testo aggiunge subito
“e se uno vuole chiamarti in giudizio e toglierti la tunica, cedigli anche il tuo mantello. E se uno ti forza a fare un miglio, va’ con lui per due miglia”.
Il significato di questi versetti è tutt’altro che passivo poiché come sottolinea Brodskij “…vi è l’implicita idea che il male può essere reso assurdo per eccesso; vi è implicito il suggerimento di rendere assurdo il male sminuendone le pretese con una condiscendenza pressoché illimitata che svaluta il danno…”. L’eccesso a volte stupisce e impaurisce.
E così anche pensare di affrancarsi dal “male” eccedendo nel “bene”, è altrettanto pericoloso tanto da rendere persino più assurdo “… l’aumento dell’accumulo di legname nei cortili delle prigioni…” per riscaldarci durante l’inverno.
Cover: immagine tratta da https://pixabay.com/it/images/search/free%20image/
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Giuseppe Ferrara
PAESE REALE
di Piermaria Romani
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
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