Ma è evidente che la scelta della Germania del presunto socialdemocratico Olaf Scholz di chiudere da lunedì i confini per sei mesi fa compiere un salto di qualità alle politiche della “Fortezza Europa” in materia di immigrazione.
La svolta viene da un Paese che nella sua storia recente si era mostrato uno dei più tolleranti di fronte al dramma di chi è costretto a lasciare la propria terra e rischiare la vita per migliorare le sue condizioni o ricongiungersi con chi lo ha preceduto. Solo nove anni fa la Merkel accoglieva un milione di profughi siriani e gli stadi si riempivano di striscioni con scritte di “welcome”.
Una immagine oggi sbiadita a fronte di chi per rincorrere l’ascesa dell’estrema destra razzista e xenofoba è disposto a tutto, con l’illusione di recuperare consensi (tossici) dell’elettorato, dimenticandosi la vecchia lezione che alla fine viene sempre preferito l’originale come del resto conferma l’andata al governo in molti Paesi della destra fascistoide, Italia in prima fila.
In un contesto internazionale contrassegnato dalla macelleria bellica che da tempo ci ha spinti sull’orlo dell’olocausto nucleare, con una corsa al riarmo parossistica, le strette repressive sono inevitabili: dalla costruzione di muri antimigranti, ai provvedimenti securitari che chiudono sempre più l’agibilità politica, vedi le imminenti scelte in materia di ordine pubblico che si accinge a varare il governo italiano.
La vecchia democrazia liberale, tutt’altro che irreprensibile sul piano dell’affidabilità costituzionale come ha ampiamente dimostrato la storia del Novecento, è da tempo andata in pensione per lasciare campo a regimi autoritari e reazionari nei confronti dei quali servirà una opposizione sociale intransigente e all’altezza dei tempi che ci attendono. Anche perché sul fronte politico più tradizionale, come dimostrano le vicende francesi, dopo quelle ormai lontane della Grecia, la possibilità di incidere sul piano elettorale sono sempre più remote, soprattutto se si tratta di nazioni cardine rispetto all’assetto economico e politico internazionale.
Sergio Sinigaglia (Ancona, 1954) ha svolto le professioni di libraio e successivamente di giornalista in una società di comunicazione. Dal 1976 al 1978 è stato redattore a Roma del quotidiano Lotta Continua, di cui è stato militante. A partire dalla metà degli anni Novanta ha collaborato con il mensile Una città, il settimanale Carta Cantieri Sociali e il Manifesto. Ha pubblicato i seguenti testi:“Di lunga durata durata” (affinità elettive 2002); “Fuori linea” (affinità elettive 2005); La piuma e la montagna, con Francesco Barilli (manifesto libri 2008); “Altremarche” (affinità elettive 2010); il romanzo “Il diario ritrovato” (Italic Pequod 2014) e il giallo “Strage silenziosa” (Italic Pequod). Nel 2018 ha curato la raccolta di testi postumi di Gabriele Giunchi “Il mattino ha i piedi scalzi (Una città). A settembre 2022 è uscito “S’avanza uno strano soldato – il movimento per la democratizzazione delle Forze Armate 1970-1977, Derive Approdi, scritto con Deborah Gressani e Giorgio Sacchetti. Per alcuni anni ha pubblicato articoli sul sito Global Project. Dal 2022 scrive su Pressenza.com. Attualmente fa parte della redazione del trimestrale “Malamente”. E’ ancora attivo politicamente nel centro sociale Arvultura di Senigallia, città dove abita dal 2017. E’ vegetariano e animalista antispecista.
Cover: Fortezza Europa (Foto di Mig di Philipp Hertzog CC-BY-SA-3.0 via Wikimedia Commons)
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