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Immigrati, il problema del secolo: all’orizzonte un conflitto tra imprese e cittadini

In Italia gli immigrati arrivati con sbarchi nel 2023 (al 29.12) ammontano a 155.754, mentre nel 2022 furono 103.846 e nel 2021 67.040. Ciò significa che quest’anno sono stati quasi simili al totale dei 2 anni precedenti messi insieme (fonte Ministero dell’Interno). In rapporto alla popolazione sono 0,26%, meno della metà di quanto avvenuto negli Stati Uniti (0,6%) e meno di un quarto della Gran Bretagna dove il flusso migratorio è stato massiccio (745mila), se si escludono i paesi dovuti l’immigrazione è per guerre (Polonia, Russia,…).

Nel confronto internazionale il problema immigratorio italiano appare, pertanto, modesto. Non è un caso che il primo problema che le nostre imprese lamentano è quello di carenza di personale più che di “invasione”. Inoltre si sa che la maggioranza di chi sbarca in Italia ha come obiettivo non quello di risiedere qui ma altrove (Germania,…).

Ciò spiega perché i decreti flussi legali attivati dal Governo italiano siano triplicati nel 2023 sul 2022 (da 43mila a 136mila richieste). Per la verità se fosse stato per le imprese le richieste sarebbero state 4 volte superiori, a dimostrazione dell’enorme fabbisogno in atto.

Il declino demografico acuisce il fabbisogno di lavoratori delle imprese e ciò determina nel lungo periodo, se non governato, un potenziale conflitto tra “ragioni del capitale e del profitto” e “ragioni dei cittadini” che ambiscono ad una convivenza pacifica, la quale è tanto più possibile se l’integrazione degli immigrati avviene con gradualità nelle proprie comunità. Sappiamo infatti che l’incontro tra popoli è di per sé ricco ma deve avvenire anche con gradualità e cura. Sia l’isolazionismo che un flusso minaccioso in quanto gigantesco sono polarità negative.

I macro scenari sui flussi migratori sono, pertanto, due:

  1. uno positivo in cui c’é guadagno per tutti, se c’è gradualità e organizzazione. L’Italia avrebbe più occupati regolari che pagano imposte e contributi e immigrati che contribuiscono a far fronte ai problemi del personale. Le nostre comunità sarebbero più ricche ma anche sicure.
  2. uno negativo che vede un danno per tutti con l’arrivo di molti immigrati illegali, non regolarizzati, sfruttati che portano via lavori poveri ad altri italiani e non pagano né tasse né contributi. Questa seconda via favorisce posizioni xenofobe e aggrava sia le condizioni di finanziamento del welfare degli italiani (pensioni, salute,…), sia l’occupazione degli italiani, in quanto è dimostrato che sia i nuovi servizi avanzati che quelli a modesto valore aggiunto necessitano di un mix di personale formato sia da italiani che da immigrati.

L’Italia dimostra ancora una volta l’ incapacità (soprattutto organizzativa e di apprendimento delle buone pratiche degli altri) di gestire un fenomeno complesso. Essendo diventato un tema da utilizzare come “propaganda elettorale”, viene fatto appositamente “marcire”, secondo il motto “tanto peggio tanto meglio”.

Eppure sarebbe possibile organizzare flussi legali e ordinati, soddisfare le richieste delle imprese, integrare al lavoro gli immigrati  – in Germania il 53% di chi arriva poi lavora – con beneficio di tutti (italiani e immigrati).

La ripresa della natalità è benvenuta ma avrà effetti sul mercato del lavoro tra 20 anni.

Sbarchi in Italia dal 2016 al 2023 e decreti flussi per immigrazione legale:

L’uscita della Gran Bretagna dall’Europa consente di capire quali sono le politiche immigratorie di un paese che non è più in Europa, con un passato coloniale e con ancora solidi legami col Commonwealth, da cui proviene ancor oggi la gran parte degli immigrati (indiani e pakistani), preferiti agli stessi europei e i cui cittadini hanno qualche privilegio in più: possono per esempio votare qualora abbiano la residenza (in attesa della cittadinanza) mentre gli europei non possono.

Nel 2015, prima del referendum sulla Brexit, gli immigrati furono 329mila. Nel 2019 furono 245mila e Boris Johnson aveva promesso che si sarebbe ulteriormente scesi. In realtà è avvenuto il contrario: nel 2022 il saldo migratorio è stato record e pari a 745mila unità (immigrati meno emigrati). Una cifra enorme se si pensa che negli ultimi 2 anni la popolazione britannica è cresciuta di 1,2 milioni e dal 2000 ad oggi gli immigrati regolarizzati come residenti sono stati 7 milioni, facendo salire la popolazione da 59 a 66 milioni.

Il Governo inglese non sa cosa fare, pressato da un lato dalle imprese che cercano manodopera e dall’ altro dalla maggioranza degli elettori che vogliono ridurre il flusso degli immigrati. Il ministro dell’Interno Suella Braverman (peraltro di origine indiana), un “falco” sull’immigrazione, ha dichiarato che bisogna addestrare i cittadini britannici a fare tutti i lavori finora svolti da immigrati. Nel frattempo il Governo ha concesso altri 45mila visti temporanei nel settore agricolo e la previsione è che il numero salga a 70mila. Stessa situazione nella pesca dove i visti di lavoro sono aumentati del 119% a 300mila nell’ultimo anno. Il partito laburista all’opposizione ha definito “caotica” la posizione del Governo, che nell’estate scorsa aveva limitato il diritto degli studenti stranieri a farsi accompagnare da familiari.

La grande immigrazione è dovuta anche al dinamismo dell’economia inglese, che ha un tasso di occupazione di 14 punti superiore a quello dell’Italia (75,6% vs 61,5%) equivalente a 33 milioni di occupati (di cui 8,4 a part-time) su 66 milioni di britannici.

Un tasso di occupazione di queste dimensioni per l’Italia (con 59 milioni di abitanti) significherebbe avere 29,5 milioni di occupati (anziché i 23,66 che abbiamo), cioè 6 milioni in più. Ciò spiega anche la forte crescita del salario minimo, salito da 6,5 sterline all’ora nel 2014 a 10,4 nel 2023 (come dire da 7,5 euro a 12 euro).

La forte affluenza degli immigrati aveva portato il primo ministro Rishi Sunak (induista di origini asiatiche) a proporre – come la Meloni con l’Albania – la spedizione per via aerea degli illegali in Ruanda, ma il paese africano ha risposto picche per cui la proposta è naufragata, anche per contrasti interni agli stessi conservatori.
A questo punto il governo è alla ricerca di qualche altro vincolo all’immigrazione, come alzare la soglia del visto di lavoro da 26.200 a 35.000 sterline lorde all’anno per consentire l’ingresso solo a professionisti qualificati, evitando la dipendenza dal “lavoro a basso costo”. Pare che anche il Labour Party sia d’accordo, ma la proposta si scontra con la realtà, che vede le imprese richiedere soprattutto lavoratori con salari dalle 20mila alle 30mila sterline all’anno (23mila-35mila euro). Si propone anche di agganciare le retribuzioni all’inflazione per le badanti e assistenti alla persona che ora sono pagate 20.960 sterline, ma proibendo loro al contempo di portare con sé famigliari.

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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