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Se ne parla spesso, troppo forse. Stare bene da soli per imparare a star meglio con gli altri. La solitudine l’abbiamo conosciuta anche in un’altra forma durante la pandemia, nella malattia, nella morte. Da tempo la affrontiamo in questa nostra era super tecnologica di così tanta connessione e sempre meno coesione. La cantava la Pausini accennando alla distanza fisica, ma poi ci sono coppie che la vivono costantemente anche in compagnia. Sentirsi soli anche in compagnia, lontano dalla realtà e da quelli che ci circondano.

Dicono che sia giusto praticarla per ritrovare se stessi,  sopratutto dopo un trauma. Rimanere in silenzio e in ascolto, non perdersi tra una folla che ci fa sentire più soli. Sempre agognata da scrittori, pittori, musicisti di ogni generazione, ti rigenera diventando fonte di creatività. Impari a conoscerti da solo o al massimo con un gatto che ti fa le fusa sulle gambe. Lui, amico non invadente, solitario, indipendente. L’individualità. Tutto troppo lontano dagli anni ’50, quando si crescevano i figli assieme a quelli dei vicini di casa e gli adulti erano tutti zii. Allora si chiamava socialità.

Ma questa è un’altra storia. Eppure che tu la scelga o che lei scelga te, serve a capire se stessi, centrarsi, e questo nessuno lo nega. “La solitudine può portare a forme straordinarie di libertà” diceva De Andrè. Per star bene, dicono, ce ne vuole una buona dose ogni giorno come la mela per il medico. Eppure c’è una linea sottile tra solitudine e chiusura. Quella che porta all’eccentricità e alla misantropia, ci sono persone che se la cuciono addosso come una seconda pelle. Perché si può capire se stessi anche sbattendo contro la pelle degli altri oppure abbracciandola.

Cover: foto di Ambra Simeone

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Ambra Simeone

Ambra è nata in un paese di mare e ogni volta che si trova in un posto nuovo, lì lascia qualche goccia salmastra. Quando scrive si lascia trasportare dalle brezze marine, quando disegna non usa squadre o righelli, e per entrambe le cose la bussola fa più di un giro. Quello che legge e ascolta non è assimilabile ad un solo genere, perché per lei le parole e la musica non seguono nessuna corrente.

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