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Il sogno di Erode.  un racconto di Natale

Un temporale si avvicinava da Oriente. Grosse nubi nere rotolavano mimetiche nel buio della notte. Radi lampi squassavano il cielo illuminando la città sottostante. Nel palazzo di Erode nessuno dormiva. Il sangue di migliaia di bambini innocenti teneva svegli uomini e animali. Pochi fuochi sparsi qua e la, tentavano invano di dar calore alla reggia, mentre i cani del re vagavano inquieti per le enormi stanze gelide, fiutando il temporale imminente. Nelle scuderie i cavalli irrequieti nitrivano e battevano gli zoccoli, raspando fra lo strame, senza alcun motivo apparente e gli stallieri non riuscivano a calmarli. Erode non aveva detto una parola, dalla notizia portata dai messi, che l’ultimo primogenito nato da madre era stato ucciso. Stava seduto sul trono, in silenzio, ad occhi chiusi. Aveva paura, l’orrore di quanto compiuto dai suoi spietati mercenari quel giorno, lo aveva raggiunto d’improvviso. Temeva il sonno e con tutte le forze cercava di mantenere la veglia. Non voleva dormire, ma dormì, e – purtroppo per lui – sognò. L’incubo venne a visitarlo quella notte.

Lo immerse dapprima in una nebbia cupa e fitta, lo fece gemere e singhiozzare a lungo. Tornò bambino, solo e disperato. Attorno a lui nessuno, soltanto nebbia gelida, che entrava nelle ossa. Erode bambino camminava nudo, piangendo e chiamando a gran voce la sua nutrice, quando vide davanti a sé un uomo enorme, una lama corta e lucente in pugno. Si gettò a terra, la testa fra le piccole mani. Non accadde nulla e allora, facendosi coraggio, riaprì gli occhi e vide sua madre, lontana da lui, sempre più lontana. Sorrideva. Ma non a lui. Provò una grande rabbia e all’improvviso vide sbucare dalla nebbia un bambino che si reggeva appena sulle gambe, poi un altro, e un altro ancora. Una miriade di bambini e bambine circondava ora sua madre, che senza alcun sforzo apparente li abbracciava e baciava tutti, come brezza lieve che accarezza le cime degli alberi. Si senti perduto, e iniziò a piangere, correndo verso la madre, ma l’immagine svanì e si ritrovò nuovamente solo. La nebbia  lentamente saliva e, in un tempo che dovette sembrargli eterno, rivelò un paesaggio di rovine che a stento riconobbe. Era il suo palazzo, o meglio ciò che ne restava. Si ritrovò vecchio, molto più vecchio di quanto non fosse. Iniziò a frugare febbrilmente fra le pietre, i resti delle travi, dei muri. Ma ogni volta che trovava qualcosa: una moneta, una pietra preziosa, un monile, questa si sbriciolava fra le sue mani, lasciando soltanto un po’ di polvere. Cadde in ginocchio e pianse amaramente, lo sconforto era tale che non vedeva un minuto oltre. Sentiva di essere perduto. Se solo avesse visto quel bambino fra gli altri, forse lo avrebbe riconosciuto, e allora l’avrebbe implorato di togliere l’odio dal suo cuore. Ora sapeva. Sapeva che la strage era stata vana, che quel bambino viveva, sarebbe vissuto lontano da Betlemme, e capì. Capì quanto era stato crudele e accecato dall’odio, dalla brama di potere: quel bambino avrebbe rovesciato un giorno tutti i troni, non soltanto il suo. Avrebbe letto il libro dell’Apocalisse e giudicato i vivi e i morti. Vide il bambino diventare grande, raccogliere discepoli e apostoli, predicare in Samaria, in Galilea, compiere miracoli e suscitare l’odio di Farisei e Sacerdoti. Lo vide morire di Croce, fra atroci tormenti, ed ebbe pietà, un’immensa e smisurata pietà. E in quel momento comprese, capì che in quel bambino Dio si era fatto uomo, e allora si gettò a terra, rotolandosi nella polvere, urlando e gemendo per l’abominio che aveva compiuto e credette, d’improvviso credette.

Erode visse ancora pochi anni, ma dopo quel sogno non fu più lo stesso. Si ritirò nel deserto e c’è chi giura di averlo visto poi fra i seguaci del Battista, l’unico che se ne stava in disparte, l’unico che non volle mai ricevere il battesimo, sostenendo di non esserne degno.

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Stefano Agnelli

Stefano Agnelli è laureato in Storia Contemporanea, ed insegna materie letterarie negli Istituti di Istruzione Secondaria. Ha pubblicato due raccolte di poesie: “La stagione del sonno fecondo”, Corbo Editore, Ferrara, 2007 e “Turno di notte”, Albatros, Roma, 2011. Ha collaborato con il sito internet Spigolature. Spigoli & Culture, e collabora con la rivista online: Il giornale di Rodafà. Rivista di liturgia del quotidiano.

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