IL SOFFUSO SILENZIO DI HAMMERSHØI.
Rovigo, Palazzo Roverella, fino al 29 giugno
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IL SOFFUSO SILENZIO DI HAMMERSHØI.
Rovigo, Palazzo Roverella, fino al 29 giugno
Nella penombra delle sale espositive di Palazzo Roverella (Rovigo), lo sguardo si posa pacato sulle opere di Vilhelm Hammershøi, pittore danese famoso in Europa all’epoca in cui dipingeva, a cavallo tra l’800 e il ‘900, e attualmente riscoperto, tanto da rendere non facilmente reperibili i suoi quadri, qui raccolti a cura di Paolo Bolpagni, e presentati assieme ad altri artisti suoi ispiratori o vicini alla sua sensibilità.
Lo sguardo riposa nella calma delle raffigurazioni di interni fermi, lineari, essenziali, dove la luce arriva sempre filtrata dall’esterno, attraversando vetrate, finestre, corridoi, per giungere morbida sulle cose, discreta e, appunto, silenziosa. Un’atmosfera nelle sobrie stanze dove il respiro di luce dell’esterno accompagna al raccoglimento degli interni, dove si avverte il vuoto dello spazio più della consistenza degli arredi: un ‘clima’ che oserei accostare alla dimensione meditativa dello zen. (“La porta bianca” V. Hammershoi))
L’immobilità cela però qualcosa che, a suo modo, è movimento, o meglio vibrazione, anche inquietudine. Una caffettiera sulla stufa che svapora (Georges Le Brun “Caffettiera sul fuoco”), presenze umane a volte evanescenti come fantasmi (“Serata in salotto” V.Hammershoi), i numerosi interni abitati (o meglio dis-abitati) da figure sfuggenti, che appaiono tra le porte, accennano ad atti quotidiani emergendo solo un poco dalle ombre, restano fissate nell’incedere immerse nella lettura (“La luce nel salotto III”), vivono nel riflesso degli specchi, che rivela forse meglio la tonalità emotiva e relazionale dei personaggi raffigurati.
Incorniciato nell’ovale di uno specchio l’artista ci guarda, mentre la moglie è raffigurata sullo sfondo di spalle: così egli ci racconta con equilibrata malinconia l’inconoscibilità (dovuta credo alla malattia mentale di lei) e l’incomunicabilità che abita le stanze di casa; tema ispiratore, in anni successivi, del film che riprende i gesti ripetitivi di una coppia incapace di vera intesa in angusti spazi domestici (“Gertrud” di C.T. Dreyer, 1964) e a me ricorda le opere di Ingmar Bergman. Finestre, porte, specchi come diaframmi tra diverse realtà, schermi forse da oltrepassare per ‘rompere’ le barriere della monotonia che ricalca modalità pacate ma un po’ ossessive nel trascorrere di un tempo fermo, senza prospettiva.
La scelta emblematica di Hammershoi di raffigurare la moglie di spalle (“Riposo”), oltre alla difficoltà comunicativa, mi parla di un’attenzione al lato nascosto, che è meno sotto il nostro controllo e meno artefatto (non con quello ci presentiamo al mondo) ed è quindi più vulnerabile.
Lo sguardo del pittore non è condizionato da quello del soggetto, forse così coglie meglio aspetti diversi della persona e della relazione con lei. Nella linea morbida della nuca, scoperta dai capelli raccolti, si avverte dolcezza e quasi l’attesa di qualcosa che resta sospeso, nell’atteggiamento abbandonato e un po’ sognante della ragazza.
In generale, la sua è una visione un po’ cupa che però restituisce un senso di mistero e insieme di limpidezza. Proprio uno dei ritratti della moglie chiamò l’attenzione del poeta R. M. Rilke, che volle incontrare Hammershoi e lo apprezzò.
Nel corso dell’esposizione, gli fanno eco le opere di vari pittori italiani ed europei che raffigurano interni spogli, dimessi, o paesaggi solitari, ombrosi, immersi nel silenzio e in un’aura mistica, poetica, spesso notturni e suggestivi (M.Reviglione “Notturno metafisico”, “Il lago dei poeti”), d’ispirazione simbolista e crepuscolare, con accenni anche al divisionismo.
Da ultimo apprezzo il lavoro attuale del fotografo spagnolo A. Gallego, che nei suoi scatti ricrea gli interni delle opere di Hammershoi evocandone l’atmosfera intimista ed enigmatica, con gradevoli esiti.
Esco come avvolta da un’aria rarefatta e vaporosa, immersa nelle sfumature ovattate dei non-colori amati da Hammershoi, toni neutri di grigi, beige, marrone, in gradazioni scure o più chiare; resto nel mistero delle numerose porte bianche che si aprono ripetutamente su altri spazi, di sommessa luce, in un calmo soffuso silenzio.
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HAMMERSHØI e i pittori del silenzio tra il Nord Europa e l’Italia
21 febbraio / 29 giugno 2025
Palazzo Roverella, Rovigo
0425 460093
info@palazzoroverella.com
In copertina: Vilhelm Hammershøi, Sole nel salotto, Museo Nazionale di Stoccolma
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Anna Rita Boccafogli
Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)
PAESE REALE
di Piermaria Romani
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