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Il progetto delle Destre e l’illusione del Campo Largo

Siamo così arrivati alla terza Legge di stabilità del governo Meloni, la prima con le nuove regole del Patto di stabilità europeo. E ricompare la parola “sacrifici”, che è più semplice tradurre come un ciclo lungo di austerità per i ceti più deboli.

Una borsa della Spesa sempre più vuota

Infatti, se è vero che, da una parte, le nuove regole di rientro dal deficit e dal debito sembrano più lasche di quelle precedenti, dall’altra, diventano più “ cattive”, nel senso che l’indicatore fondamentale che si prende come riferimento è quello della spesa primaria netta (al netto cioè degli interessi sul debito e di una serie di altre voci minori). Ciò si traduce per l’Italia in un tetto di crescita annua della spesa primaria netta dell’ 1,5% per ciascuno dei prossimi 5 anni, ma, con un’inflazione stimata a circa il 10% complessivo da qui al 2029, questo significa un taglio di più di 2 punti percentuali.
Taglio della spesa che vuol dire sostanzialmente meno spesa sociale e diminuzione dei servizi pubblici, per circa 12-13 miliardi all’anno per i prossimi 5 anni, anche se
si sostiene falsamente che la spesa sanitaria aumenterà. Facendo finta di non vedere che essa, in realtà, rimarrà anche nei prossimi anni sostanzialmente stabile rispetto al PIL e che viene sostenuta, non da una tassazione degli extraprofitti delle banche, ma da un semplice anticipo rispetto alla loro normale imposizione fiscale futura.

Diverse voci si alzeranno per dire che, tutto sommato, si tratta di cifre sopportabili. Soprattutto perché – dicono sempre gli estimatori del governo – siamo in presenza di una crescita dell’occupazione e anche delle entrate tributarie. Ovviamente, si dimenticano di aggiungere che il primo dato si accompagna con una sostanziale stasi del monte ore lavorato annuo, il che vuol dire che l’aumento dell’occupazione, trainato soprattutto dai settori del turismo e dei servizi, avviene con orari di lavoro più bassi (e anche con salari ridotti), ovvero con l’incremento del lavoro povero. E che le maggiori entrate tributarie gravano in particolare su lavoratori dipendenti e pensionati, visto che nei primi 9 mesi dell’anno l’incremento registrato di 22 miliardi rispetto allo stesso periodo del 2023 deriva soprattutto dalle loro trattenute Irpef.

Insomma, un quadro non propriamente favorevole per i settori sociali più deboli, ma neanche molto utile per il consenso del governo. Che, probabilmente, almeno nelle sue parti più consapevoli, ne è anche avvertito e che, non a caso, prova ad ovviarvi facendo ricorso ad altri strumenti.

Il progetto meloniano

Il primo è certamente quello che sta funzionando in tutta Europa nel portare il vento in poppa alle destre, quello cioè di far leva sulle paure e le incertezze che la globalizzazione e il modello di sviluppo neoliberista generano tra le persone, dirottandole verso l’individuazione del “nemico esterno”, i migranti in primo luogo, e proponendo un approccio reazionario e repressivo nei confronti di chi dissente e dei soggetti marginali, come fa il ddl 1660 “sicurezza”.

Guardando, però, anche all’obiettivo di attrarre nuovi investimenti stranieri in Italia: così si spiega l’attivismo della Meloni, che nei giorni passati, si è incontrata con Elon Musk, Larry Fink, presidente e amministratore delegato di Blackrock, la più grande società di patrimoni del mondo con circa 10.000 miliardi di dollari in gestione, quasi 5 volte il PIL dell’Italia, e Brad Smith, presidente di Microsoft.

Si pensa probabilmente di fare dell’Italia un polo importante per l’innovazione e la finanza internazionale, sottovalutando che queste aziende si muovono dentro una logica monopolistica e iperliberista, se non speculativa, il che significa investimenti che producono poca occupazione, ma sono molto energivori o comunque rispondono ad un criterio di ritorno economico molto forte. Insomma, a me pare di vedere tutti i tratti di un modello sociale e produttivo da “feudalesimo tecnocratico”: iperliberismo, smantellamento dei diritti sociali, lavoro diffuso ma povero, esaltazione del pericolo derivante dal “diverso”, sia esso per “razza”, orientamento sessuale e quant’altro.
Un modello che ben si adatta alla logica di guerra e che, peraltro, presenta molte debolezze, alle quale si tenta di rispondere con una torsione autoritaria e repressiva, restringendo gli spazi di autonomia dei poteri “indipendenti”, dalla magistratura alla stampa, tendenzialmente sottomessi alla volontà del Capo.

Ovviamente, questa è una rappresentazione idealtipica, che mal si concilia con i dati di realtà del nostro Paese e con le mediazioni politiche e sociali cui è necessariamente costretta. E che, però, può fare passi in avanti se incontra la spoliticizzazione e la rassegnazione delle persone (cosa che, per fortuna, non è ancora dominante) e, soprattutto, se non si riesce ad indicare un’alternativa di fondo ad essa. Sbaglia chi pensa che ci si possa opporre alla “rottura” inaugurata dalle nuove destre, a livello nazionale così come a livello internazionale, semplicemente riproponendo un’opzione blanda di trasformazione o di mantenimento dell’assetto preesistente, basato comunque sulla centralità del mercato, temperato da una sua presunta spinta progressiva e da un tessuto di salvaguardia di alcuni diritti fondamentali, ben incarnati nello Stato sociale. Per intenderci, il modello sociale europeo, che è sempre più agonizzante e di cui è rimasta una pallida ombra.

Un Campo Largo che odora di vecchio  

Detto in altri termini, non può funzionare l’idea del cosiddetto “campo largo”, non solo perché declinata in chiave politicista ( mettiamo insieme tutte le forze politiche che si oppongono all’attuale governo), ma, ancor più, perché si rimane fermi a contenuti e idee che sono largamente in crisi e, anzi, rischiano di dare armi alla crescita della destra.
Provo ad esemplificare: che speranze e mobilitazioni può suscitare uno schieramento che, comunque, condivide le nuove regole europee sull’austerità, che oggi, anche giustamente, attacca le scelte di politica economica del governo, ma che, se dovesse scrivere la prossima legge di stabilità, non la farebbe poi tanto diversa da quella che sta uscendo dalla mente di Giorgetti?
Oppure, per restringere la dimensione spaziale, penso alle scelte che sta proponendo il cosiddetto “campo larghissimo” che si sta costruendo in Emilia-Romagna in occasione delle prossime ravvicinate elezioni regionali. Non vedo alcuna traccia di rottura della continuità rispetto alle politiche praticate
dal centro”sinistra” in questi ultimi anni, che sono state contrassegnate da un’idea di centralità della crescita economica quantitativa, poco attenta, per usare un eufemismo, alla necessità di contrastare il cambiamento climatico e avviare una reale transizione ecologica, malferma nel combattere la privatizzazione strisciante dello Stato sociale e la crescita del lavoro povero.

Rompere il paradigma liberista

Una piattaforma che potrà consentire al cosiddetto centro”sinistra” di affermarsi anche in questa tornata elettorale, ma che mostrerà sempre più la corda nel medio periodo, incapace di rispondere alle nuove istanze e domande che provengono dalla società e che possono essere egemonizzate dalla narrazione tossica della destra.

Per quanto la “vulgata” del mettersi tutti insieme possa avere una sua facile popolarità, non è da qui che passerà l’alternativa alla destra. Senza una rottura di paradigma dell’attuale modello produttivo e sociale, una proposta politica che metta al centro sul serio la pace e il ripudio della guerra, l’affermazione di una reale conversione ecologica e ambientale, la lotta alle disuguaglianze crescenti, la messa a punto di politiche industriali coerenti con questi assunti e che incorporino l’obiettivo della valorizzazione del lavoro, il rilancio di un robusto e innovativo Stato sociale non si andrà molto avanti. Non tanto almeno da sconfiggere, cosa che è possibile, questa nuova destra, pericolosa e capace solo di farci vedere bui scenari.

 

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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