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Ferrara film corto festival

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IL MODELLO PANOPTICON ISPIRA I MODERNI CPR.
Territori Serviti e Territori Serventi, il CPR tra Ferrara e il Delta.

La storia ci insegna che ci sono stati, e ci sono ancora, dei territori serviti e dei territori serventi. Di norma i primi sono territori dove si decide la ricchezza mentre i secondi sono quelli dove si collocano le produzioni e le scorie generate dai processi che generano il benessere dei primi. Tutte le attività che le città non volevano, perché inquinanti, sporche, maleodoranti o che attiravano miserabili, si cercava sempre di spostarle fuori, studiando dei dispositivi segregativi, ai quali appartiene anche la logica dei CPR.

I territori serventi hanno di norma problemi di crescita, di benessere, di sviluppo, di identità, di spopolamento.
Sono considerati marginali, oggi spesso sono aree interne, a basso sviluppo; quindi, perché non utilizzarli per localizzare ciò che da fastidio alle città più grandi e più prestigiose? Dove la qualità del commercio e della vita quotidiana potrebbe essere messa in crisi dalla localizzazione di una attività sgradita ai più, quindi elettoralmente pericolosa, come è un CPR?

La proposta di alcuni politici di area governativa di collocare nel delta ferrarese il CPR rivela un’attitudine coloniale. Non è in fondo molto dissimile dalla volontà del nostro Primo Ministro di esportare i migranti e il modello CPR in Albania che, in una scala comparativa nazionale, assume lo stesso significato della vicenda locale che interessa Ferrara e il delta.
L’ Albania diventa il territorio servente dell’Italia che dovrà in qualche modo rendere il favore. Tutto questo ha un costo salato che sulla stampa è stato quantificato, ma è il prezzo da pagare per tenere il conflitto fuori dalla porta, di Ferrara, in un caso, dell’Italia, nell’altro, ma la logica è la stessa.

Panopticon di Bentham, progetto 1791

Il dispositivo CPR è ripugnante nella sua essenza e nell’idea che sta alla base della sua concezione. Lo è a Ferrara, nel Delta, a Milano. Una concezione che ci rammenta le storie di segregazione delle carceri costruite sul modello del panopticon. Per chi ha studiato i sistemi segregativi moderni questa parola ci riporta immediatamente a Michel Foucault e, prima di lui, a Jeremy Bentham, l’inventore di questo dispositivo studiato per innovare le forme del carcere. Su questa tipologia, articolata secondo un modello radiale che prevede un edificio centrale nel quale convergono tutti gli altri, si è parlato molto ed in particolare della centralizzazione del modello di controllo.
Molti critici parlano di una prigione per poveri che presuppone una sorveglianza asimmetrica, come sostiene il filosofo francese: il controllore può vedere ma il controllato no. Tale concetto viene introdotto nel sistema penale ed ha un grande successo in quanto meccanismo di controllo delle componenti della società moderna e Foucault riprende tale metafora associandola alla propensione delle società autoritarie al controllo dei propri cittadini.
Il “panoptismo”, trasformato in figura architettonica da Bentham, è una componente di una utopia, o di una illusione: quella della società perfettamente governata. I prodromi di tale illusione li ritroviamo già alla fine del diciassettesimo secolo, nelle ordinanze che regolano la gestione delle pestilenze urbane attraverso l’esercizio di un potere disciplinare che ribadisce l’importanza di un ordine che colloca tutti nel posto loro assegnato. Se la lebbra nei secoli precedenti si controllava attraverso “rituali di esclusione” la peste richiede al contrario “schemi disciplinari”.
Tale è il senso del panopticon, ripreso come modello distributivo dei CPR che l’Italia vorrebbe costruire. Quindi una pratica segregativa controllata: sia esso un carcere o una residenza per poveri e indigenti

Nella Londra vittoriana di metà Ottocento questo modello trova una sua formalizzazione anche nelle workhouse, che erano, per l’appunto, ospizi abitativi per poveri, criticati anche da Charles Dickens in Oliver Twist. Le famiglie nelle workhouse venivano separate: i genitori dai figli; i mariti dalle mogli mentre il cibo era volutamente economico e al limite della decenza.
Le medesime condizioni le ritroviamo nella maison des esclaves africana dove nei sottofondi i colonizzatori europei stivavano i futuri schiavi neri in attesa di essere imbarcati per le colonie e dove vigeva il principio della segregazione e della separazione di uomini, donne e bambini: una volta entrate le famiglie non si sarebbero mai più riunite.
Il comune denominatore di questi dispositivi è comunque quello non di pensare a luoghi dove fornire assistenza in una prospettiva inclusiva, ma isolare il male, il diverso, ciò che turba la nostra quotidianità, per poi allontanarlo.

Al fondo vi è un modello che sottende un’idea di città e di governo autoritario che la vicenda del CPR, fin dalla sua emersione, evidenzia. A fronte di scelte che implicano connotazioni anche etiche, in contrasto con alcune scelte di politica pubblica emergono atteggiamenti di fastidio e di progressiva squalificazione delle osservazioni e critiche, al limite dell’ingiuria o della ridicolizzazione di chi le pone, come se si trattasse di lesa maestà verso le autorità di governo.

Da tempo per il delta ferrarese manca una riflessione politico-ecologica-strategica all’altezza delle sue potenzialità, in grado di andare oltre gli approcci settoriali. È un territorio sottovalutato quindi adatto ad ospitare un dispositivo che sarebbe degradante per l’immagine di una città di arte e cultura come Ferrara.

L’attenzione oggi alle dinamiche del delta ferrarese è esclusivamente concentrata o sulle eccellenze identificabili nel Parco, o sul litorale turistico inteso come bene esclusivamente economico e inevitabilmente sui problemi del rischio idraulico e costiero, ma affrontati esclusivamente in un’ottica settoriale e non di rigenerazione territoriale e paesaggistica.
Temi certamente importanti e strutturali ma una visione complessa ci chiede di allargare lo sguardo e lanciare un grande progetto di territorio per il delta e per tutto il ferrarese, dicendo chiaramente che non bisogna più consumare suolo con nuove urbanizzazioni costiere, che il modello turistico-balneare va ripensato e riqualificato, che i paesaggi rurali delle bonifiche vanno valorizzati intrecciando storia, paesaggi e forme di agricoltura sostenibile, lavorando anche sull’idea di servizi ecosistemici, che l’acqua nelle sue varie forme costituisce un principio di identificazione di questo paesaggio culturale.

Anche per questi motivi il CPR non trova posto in una visione di futuro ecologica, inclusiva e democratica, qui e altrove.

Cover: Panopticon di Bentham, ricostruzione. Fu descritto come “un dispositivo di tale mostruosa efficienza da non lasciare spazio all’umanità”. Il “dispositivo” di cui si parlava era un edificio istituzionale e un sistema di controllo progettato nel XVIII secolo dal filosofo e teorico sociale inglese Jeremy Bentham. Il cosiddetto Panopticon, dalla parola greca che significa “tutto vedere”.

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Romeo Farinella

Romeo Farinella, architetto-urbanista e professore ordinario di Progettazione urbanistica presso l’Università di Ferrara. Si occupa di problematiche urbane e paesaggistiche da almeno trent’anni. Prima di approdare a Ferrara ha vissuto in diverse città, tra cui Roma e Parigi e quest’ultima è diventata uno dei suoi temi principali di ricerca. Oltre a Ferrara ha tenuto corsi anche in Francia (Lille, Parigi), Cina (Chengdu), L’Avana e São Paulo e Saint Louis du Senegal. È stato direttore per alcuni anni del Centro di Ateneo per la Cooperazione allo Sviluppo Internazionale di UNIFE.

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Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
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PAESE REALE
di Piermaria Romani


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