Skip to main content

Il mio giardino Persiano.
Omaggio a Mahsa Amini e alle donne iraniane

Articolo pubblicato il 10 Febbraio 2025, Scritto da Eleonora Graziani

Tempo di lettura: 4 minuti


Il mio giardino Persiano. Omaggio a Mahsa Amini e alle donne iraniane

A fine gennaio  è arrivato nelle sale italiane Il mio giardino persiano, film in concorso al Festival di Berlino 2024, per la regia di Behtash Sanaeeha e Maryam Moghaddam, vincendo il premio della Giuria Ecumenica, a cui i registi non hanno potuto partecipare di persona essendo stati raggiunti dal divieto iraniano di lasciare il Paese.

Insieme a loro, sono coinvolti in un lungo processo, con l’accusa di propaganda contro il regime, libertinismo e volgarità, i due attori protagonisti Esmail Meharabi e Lili Farhadpour, che dopo l’uscita del film non riescono più a lavorare e non possono lasciare l’Iran.

Ho visto il film senza sapere i risvolti drammatici che hanno accompagnato la sua uscita, più che altro attratta dall’ambientazione in un Paese che mi ha sempre incuriosito e l’ho trovato di una delicatezza e armonia struggenti.

Il film mette in scena due temi particolarmente difficili da trattare: la solitudine degli anziani e il loro rapporto con l’amore. Nel sottofondo emerge la condizione della donna iraniana, nel film  impersonata dalla settantenne Mahin, sorprendentemente libera e volitiva, in un contesto sociale a dir poco deprimente.

La routine di Mahin , vedova da molto anni, si riduce alle videochiamate con i figli all’estero, alla spesa quotidiana, e ai rari incontri scontati e ripetitivi con le amiche. Un’anziana come tante in tutto il mondo, affondata in una solitudine senza sogni, in una vita che sembra non riservare più sorprese, se non la novità di un ulteriore acciacco.

Unica nota stonata, nel comportamento irreprensibile che ci si aspetta da un’anziana iraniana dalla bellezza ormai sfiorita, è una certa insofferenza verso l’hijab, il velo obbligatorio per le donne, per cui viene rimproverata dalla “polizia morale”, mentre cerca di difendere una ragazza fermata nel parco per la ciocca di capelli che sfugge dal velo: anche lei non lo indossa bene, signora!, le dicono bruscamente i poliziotti.

Tuttavia non credo essere stata questa unica ripresa della repressione, ottusamente rigida, della polizia governativa a scatenare la censura del film e il processo a registi e attori. Ben più grave è la decisione improvvisa di Mahin di tornare alla vita vera, di aprirsi all’imprevisto dell’amore.

Mahin appare una donna dalla straordinaria indipendenza simbolica, che prende l’iniziativa nel scegliere un compagno e invitarlo ad entrare nella sua vita. Con un approccio minimalista alla messa in scena la svolta parte dal  gesto mattutino di riprendere a truccarsi gli occhi, gesto insolito, simbolo di una quotidianità ormai trascorsa, di una femminilità perduta da recuperare.

Dopo essersi preparata accuratamente, in una mensa per pensionati di cui Mahin ha i buoni pasto, nota un coetaneo, separato dal branco, più intento a masticare che a comunicare con il mondo esterno. Da quel momento parte l’impresa coraggiosa di Mahin di scoprire la sua identità, andarlo a cercare e infine farsi accompagnare, dato che è un taxista, invitandolo poi a casa per trascorrere una serata insieme.

L’uomo, che si presenta con il nome Faramaz è piacevolmente sorpreso dell’intraprendenza di Mahin, che ammette di non possedere, e risponde con gentile dolcezza a tutte le sue richieste. Ne scaturisce una notte indimenticabile, dopo una cena finalmente preparata per qualcuno, Mahin riprende i gesti di un passato felice, bevendo vino, scambiando confidenze, ascoltando musica e ballando.

Sboccia in un attimo l’amore, quella sensazione esaltante che pareva per entrambi per sempre perduta e ora ritrovata. La femminilità di Mahin ri-sboccia prorompente e allegra, mentre Faramaz esibisce il suo apporto maschile nel riparare le luci del suo amato giardino persiano, unica cura amorevole che illumina le giornate solitarie di Mahin.

L’amore fra i due anziani si esprime con gentilezza, allegria, grande accettazione reciproca, lontanissimo dall’accusa di “volgarità” con cui il regime ha incriminato il film. Penso che la vera censura sia verso il coraggio delle donne iraniane, insofferenti non solo al velo, ma a tutte le sovrastrutture sociali che le vogliono spegnere, che impongono regole estranee alla loro libertà individuale.

Ho interpretato il finale del film, che conclude la notte dell’amore con la morte, forse per un infarto, di Faramaz, come la difficoltà a far entrare l’avveramento di un sogno nella continuità quotidiana, sogno esorbitante nella dura realtà circostante.

Le riprese del film, coprodotto da Iran, Francia, Svezia e Germania, sono state interrotte dopo l’assassinio da parte del regime di Masha Amini nel settembre 2022, da cui è partito il movimento Woman, life, freedom. In suo onore e di tutte le donne iraniane, i registi hanno deciso di terminarlo, come documento dello scarto esistente fra la reale sensibilità del popolo iraniano e le insensate proibizioni dei “guardiani della rivoluzione”.

Trailer del film:

In copertina : Fotogramma di Il mio giardino persianoimmagine di Spazio Alfieri – Firenze.

Per leggere gli articola di Eleonora Graziani su Periscopio clicca sul nome dell’autrice. 

sostieni periscopio

Sostieni periscopio!

Tutti i tag di questo articolo:

Eleonora Graziani

Laureata in pedagogia e filosofia, PHD in feminist studies presso l’Università di Coimbra. Ha insegnato in Italia e all’estero, in carcere e agli adulti stranieri lingua e cultura italiana. Filosofa femminista ha al suo attivo diverse pubblicazioni sulla mistica femminile.

Commenti (1)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *


Ogni giorno politici, sociologi economisti citano un fantomatico “Paese Reale”. Per loro è una cosa che conta poco o niente, che corrisponde al “piano terra”, alla massa, alla gente comune. Così il Paese Reale è solo nebbia mediatica, un’entità demografica a cui rivolgersi in tempo di elezioni.
Ma di cosa e di chi è fatto veramente il Paese Reale? Se ci pensi un attimo, il Paese Reale siamo Noi, siamo Noi presi Uno a Uno. L’artista polesano Piermaria Romani si è messo in strada e ha pensato a una specie di censimento. Ha incontrato di persona e illustrato il Paese Reale. Centinaia di ritratti e centinaia di storie.
(Cliccare sul ritratto e ingrandire l’immagine per leggere il testo)

PAESE REALE
di Piermaria Romani