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Il mercato libero dell’energia lo paghiamo noi

Dal 1° gennaio 2025 l’Ucraina non ha rinnovato l’accordo quinquennale con la Russia per il transito di gas russo verso l’Europa. La Russia perde così l’ultimo miliardo di dollari all’anno da paesi europei (soprattutto da Ungheria, Slovacchia, Moldavia, Transnistria), che è pari a circa il 5% di tutto il gas consumato in Europa. La crisi del gas russo ha effetti non solo su quei paesi che ancora lo prendevano, ma sui mercati internazionali, in termini di aumento dei prezzi per tutti gli europei che lo importano. Il gas russo viene infatti sostituito da quello (spesso liquefatto) proveniente da altri paesi (Qatar, Stati Uniti, etc.) che costa molto di più. Oltre ai maggiori prezzi per tutti, alcuni paesi (Austria, Slovacchia, Ungheria, Moldavia) avranno anche problemi di reperimento (non l’Italia) e la Transnistria è già passata al carbone e ha chiuso scuole, ospedali e imprese. Sulla Federazione Russa l’effetto sarà minimo in quanto la Russia re-indirizza l’export verso Cina e Brics (che da gennaio ha 9 paesi in più) e accresce le sue capacità di costruire in proprio prodotti e servizi sfruttando le tecnologie e gli asset (come i treni Siemens) abbandonati da alcune multinazionali in Russia (ma non da tutte, come Unicredit).

Il prezzo del gas alla borsa Ttf di Amsterdam il 3 gennaio 2025 era 0,49 dollari al metro cubo (era meno della metà nei 10 anni del periodo pre-guerra, è arrivato a 3,3 nel picco massimo del 2022 ed era 0,28 a febbraio-marzo 2024). Se non ci sarà presto un accordo di pace in Ucraina, gli aumenti di prezzo si riverseranno sulle prossime bollette degli europei e degli italiani: “…circa 250-300 euro a famiglia –dice Davide Tabellini di Nomisma energiae circa 30mila a impresa. Il problema maggiore riguarda le imprese, in quanto cala la competitività di quelle italiane che lo pagano 5-6 volte in più di quelle americane ed è il più alto in Europa. In Italia non si è fatto niente per aumentare la produzione nazionale di gas e lo andiamo a prendere negli Usa a 13mila km. di distanza, fatto col fracking inquinante: un assurdo”.

Come ho scritto in altro intervento, in alcuni settori come la sanità il servizio pubblico si rivela più efficiente ed efficace del privato e costa meno. Così è anche nel settore dell’energia e del gas, dove l’Italia non ha una sua produzione e importa 2/3 dell’energia che consuma.

L’Italia ha il più grande giacimento geotermico al mondo e solo un intervento pubblico dello Stato, tramite anche una propria impresa (Enel, Eni), può godere delle risorse per investimenti di lungo periodo che possano generare grandi vantaggi per i cittadini italiani: come ha fatto la Norvegia coi suoi giacimenti di gas, che oggi fruttano al fondo sovrano dello Stato e ai suoi cittadini (che ne sono proprietari) circa 40mila euro per abitante solo nel 2024, facendo dei norvegesi i cittadini più “ricchi” al mondo.

Il prezzo della materia prima (se importata) è determinato soprattutto dal grande volume che uno Stato può acquistare e, poiché il valore aggiunto che aggiunge alla materia prima è modesto (trasporto, vendita, contatore,…), non conviene avere 700 aziende private in concorrenza tra loro (com’è in Italia) che devono vivere aggiungendo costi ulteriori ai clienti per remunerare i propri servizi di marketing e le minori economie di scala che hanno rispetto ad un unico grande operatore pubblico. Soprattutto se questo è controllato nei suoi prezzi da una Autorità indipendente pubblica (come è nel caso di Arera in Italia), che dà garanzie ai clienti che i prezzi siano equi. Clienti che non devono impazzire per confrontare decine di offerte in un settore complesso e soggetto a forti variabilità di prezzo. (Per informazione del lettore: il prezzo del gas incide anche sul costo dell’energia elettrica).

Bastava vedere l’andamento del prezzo del gas nel mercato libero e in quello tutelato negli ultimi 10 anni per capire che passare dal mercato tutelato a quello libero non portava vantaggi e tantomeno avrebbe permesso di spuntare sui mercati internazionali del gas prezzi più bassi. Un’analisi Arera dice che negli ultimi 10 anni il servizio a maggior tutela ha avuto prezzi medi più bassi del “libero mercato”. Perché infatti dovrebbe costare meno la materia prima se anzichè esserci un solo grande cliente (un’azienda pubblica dello Stato) ci sono centinaia di piccole imprese? Lo Stato, peraltro, gode anche di un potere politico che un’azienda privata non può avere. E, curiosamente, in questo caso la retorica mainstream contro l’inefficienza delle piccole imprese non viene dichiarata.

Oggi sappiamo anche che Arera ha multato varie imprese per aver imposto extra costi ai propri clienti. I rilevanti profitti fatti da quasi tutte le imprese private dopo gli aumenti del gas dovuti alla guerra in Ucraina erano basati sul fatto che il prezzo alla borsa Ttf di Amsterdam era aumentato, ma molti contratti con la Russia (e altri paesi) erano di durata annuale o biennale e quindi il prezzo della materia prima pagata in realtà era fisso. Le multe antitrust sono arrivate ma sono pari all’1% degli extra profitti fatti (che vanno in gran parte agli azionisti).

Non è stata quindi una buona idea accettare il diktat dell’Europa, che esigeva che in Italia passassimo dal gennaio 2024 al “libero mercato”, accordo fatto da Draghi nell’ambito delle cosiddette “riforme” del PNRR, che vogliono mercati “liberi” sempre meno regolati dai singoli Stati.

Per fortuna nel mercato tutelato per gas e luce sono ancora rimasti i più fragili (3,5 milioni di cittadini disabili, anziani, indigenti) che pagano meno. Ma non si vede perché non potremmo tutti stare in questo servizio pubblico senza impazzire, peraltro, a dover cercare di risparmiare perdendo un sacco di tempo per cercare servizi privati che alla fine costano sempre di più di quello garantito dal servizio pubblico. Un tema su cui occorre misurarsi per evitare che i cosiddetti movimenti populisti o sovranisti abbiano sempre più presa.

 

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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