Il folle contrappasso antisemita di Amsterdam, città dell’ Ajax, la squadra “superebrea”
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Il folle contrappasso antisemita di Amsterdam, città dell’ Ajax, la squadra “superebrea”
Sono rimasto molto colpito dall’aggressione antisemita che, lo scorso giovedì, alcuni “tifosi” dell’Ajax hanno scatenato contro alcuni appassionati del Maccabi di Tel Aviv, arrivati ad Amsterdam per supportare la loro squadra impegnata in una partita di Europa League. Il fatto assume un significato ancora più sinistro in quanto accaduto ad opera di sostenitori della società che vanta un legame storico con l’ebraismo, essendo nata nel 1900 a Jodenbuurt, il quartiere ebraico di Amsterdam.
Come si può leggere, tra gli altri, in questo articolo, l’Ajax aveva moltissimi sostenitori di origine ebraica. Prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, Amsterdam era popolata da più di un ebreo ogni dieci abitanti, tanto da essere soprannominata “Gerusalemme dell’Ovest”. Ad un certo punto, come purtroppo nella storia accade, una città accogliente e tollerante come poche altre divenne teatro di un’ ondata antisemita di Stato alimentata dal governo collaborazionista insediato nel ’40 dal Reich nei Paesi Bassi, con l’austriaco Seyss-Inquart (poi condannato a Norimberga nel ’46 per crimini di guerra) come commissario. Jodenbuurt divenne un ghetto, i soci ebrei dell’Ajax furono esclusi dalla società, iniziarono i rastrellamenti e le deportazioni dei cittadini di origine ebraica. In realtà, in quel frangente non tutti gli esponenti dell’Ajax fecero onore alla fama del club: Peelsen, vecchio capitano della squadra, si iscrisse al Partito Nazista; Kermer, allenatore delle giovanili, era un collaborazionista e divenne sorvegliante nei campi di concentramento. Viceversa, Leo Horn e Kuki Krol (padre del famoso, anche in Italia, Ruud), compagni di squadra nell’Ajax del tempo, divennero sostenitori della resistenza olandese. Dopo la guerra, i ragazzi delle famiglie ebree sopravvissute all’Olocausto che volevano fare sport si tesserarono all’Ajax, società che era rimasta attiva anche durante il conflitto. Tra di essi figurava “mr. Ajax”, ossia Sjaak Swart, che giocò più di seicento partite coi lancieri. Negli anni ’50 poi un gruppo di imprenditori di origine ebraica rilevò il club, consolidandone la fama di società legata a doppio filo con la comunità joods.
Sembra impossibile che una tifoseria orgogliosa del proprio legame con l’ebraismo, al punto da esporre in trasferta bandiere con la stella di David (ed essere per questo presa di mira dall’intolleranza delle curve avversarie) abbia attualmente, tra le sue fila, persone che aggrediscono tifosi israeliani in quanto ebrei. Sembra impossibile, così come sembrava impossibile che Sarajevo, un’altra città soprannominata “Gerusalemme d’Europa” per la compresenza nel medesimo quartiere di una chiesa cattolica, di una moschea, di una chiesa ortodossa e di una sinagoga; una città in cui le diverse etnie, radici culturali e religiose erano talmente incistate nelle famiglie da sembrare inscindibili, sia stata teatro dal 1992 al ’96 di una atroce guerra civile che ha stuprato e lacerato quei legami. Eppure non era la prima volta: a Sarajevo nel 1914 fu assassinato l’arciduca d’Austria, evento classificato come la miccia dello scoppio della Grande Guerra. Paradosso nel paradosso: il nazionalista che lo ammazzò era un bosniaco che voleva l’adesione al regno di Serbia, proprio quella Serbia che ottant’anni dopo cinse d’assedio la capitale della Bosnia.
L’equivoco tragico che confonde identità e nazionalismo, facendoli coincidere, è alimentato da quei governi criminali che mandano a morire i loro cittadini in nome della “difesa della nazione”. Una circostanza che predispone al cattivo nazionalismo (concetto che secondo me non avrebbe nemmeno bisogno di aggettivi) è sicuramente l’omologazione di costumi culturali e la concorrenza sociale – contrario dell’integrazione – che è uno dei mali della cosiddetta globalizzazione, e che danneggia sia chi abita un luogo da generazioni, sia chi vi arriva in fuga dalla guerra o dalla povertà. Ma questo da solo non basta: servono uomini di potere che soffiano sul fuoco della paura e dell’intolleranza. In questo senso Hamas e il governo Netanyahu sono due facce della stessa medaglia che gronda sangue innocente.
Non so dire se quanto successo ad Amsterdam sia imputabile a “tifosi” nella mente dei quali il passaggio generazionale non ha lasciato nulla della tradizione sociale, o se sia attribuibile ad un manipolo di deficienti arrivati da fuori apposta per dare la caccia agli ebrei. Quello che posso dire è che, in entrambi i casi, la sensazione è di grave disagio, e di allarme. Ci sono fatti apparentemente marginali che mostrano lo spirito del tempo, e il minipogrom di Amsterdam è uno di questi.
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Nicola Cavallini
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