Qualche giorno fa Donald Trump si è seduto al posto di guida di una Tesla modello S rossa, nel cortile della Casa Bianca. Per prassi consolidata, il presidente degli Stati Uniti non può guidare una macchina su strade pubbliche, né durante né al termine del mandato, dato che la sua sicurezza è affidata per intero al Secret Service. Lo ha fatto, però, per cercare di sostenere pubblicamente Elon Musk, uno dei suoi principali finanziatori nonché guida di DOGE, il dipartimento che si occupa di tagliare budget a gran parte delle agenzie federali: il magnate, infatti, sta vivendo un periodo di forti crisi aziendali.
Nell’ultimo mese, complice anche la congiuntura economica sfavorevole negli Stati Uniti e il crollo delle borse dovuto all’annuncio dei dazi di Trump, Musk ha perso quasi 120 miliardi di patrimonio netto, di cui 29 nella sola giornata di lunedì, una delle peggiori della sua vita imprenditoriale. Intervistato da Larry Kudlow per FOX Business, Musk ha detto che da quando è a capo di DOGE gestisce le sue aziende “con grande difficoltà”, e mentre parlava sembrava prossimo a piangere.
Il tracollo finanziario del magnate sudafricano, però, non si può spiegare soltanto con una discesa generale dei titoli a Wall Street, ma si innesta in una crisi che sta vivendo la sua azienda più conosciuta nel mondo, la leader nella costruzione di auto elettriche Tesla. L’azienda ha subito una caduta vertiginosa, dimezzando il proprio valore nell’arco di tre mesi, e le motivazioni afferiscono sia al quadro economico che a quello politico.
Dopo la vittoria di Trump alle elezioni, Elon Musk è diventato un riferimento politico della destra radicale: lui stesso non ha fatto nulla per evitare che venisse percepito come tale, in quanto, oltre ad assumere un ruolo di peso nell’amministrazione, ha elargito endorsment alle formazioni di estrema destra in molti paesi europei, tra cui Germania e Regno Unito. A partire da questo fatto, Tesla è diventata preda di boicottaggi e proteste: chi possiede un’auto dell’azienda di Musk e si identifica come progressista vuole rimarcarlo, appiccicando al veicolo sticker che recitano “l’ho comprata prima che Elon impazzisse” o “Anti-Elon Tesla Club”. Altri, addirittura, vendono l’automobile velocemente,a meno di quanto sarebbe il prezzo consigliato, generando una discesa del valore medio del modello.
Delle venti macchine usate che hanno visto la maggior caduta verticale nell’arco dell’anno, quattro sono Tesla, tra cui le prime due della classifica. Per di più, l’odio nei confronti di Musk si è acuito con le proteste contro l’amministrazione di questi primi mesi, che si sono indirizzate per la maggior parte contro il piano di DOGE di tagliare dipendenti ritenuti inutili alla produttività del governo americano. Inoltre, Musk e le sue aziende sono tra i più grandi beneficiari della spesa pubblica governativa: circa 38 miliardi totali di contratti firmati, di cui 6 solo l’anno scorso. È paradossale che il miliardario che più si sta spendendo per tagliare sussidi, posti di lavoro e intere agenzie sia il più dipendente di tutti dalla politica industriale federale.
Se negli Stati Uniti l’attacco a Musk è indirizzato principalmente alla sua volontà di eliminare posti di lavoro sicuri per i cittadini americani, in Europa è disprezzato negli ambienti progressisti per il tentativo di sostenere apertamente i partiti di estrema destra. In Germania, dove Musk si è speso molto per la leader di Alternative fur Deutschland Alice Weidel, le proteste sono state molteplici: davanti alla gigafactory dell’azienda, che si trova a Berlino, è stato riprodotto il momento in cui Musk ha fatto un saluto fascista il giorno dell’inaugurazione di Trump, accompagnato dalla didascalia “Non comprare Tesla”. Anche in Italia, il negozio Tesla di piazza Gae Aulenti a Milano è stato preso d’assalto da attivisti, sia di sinistra, come il centro sociale Lambretta, sia di Extinction Rebellion, gruppo ambientalista radicale che lotta contro il cambiamento climatico.
Entrambe le proteste avevano come focus l’attacco alla democrazia che Trump e Musk stanno compiendo negli Stati Uniti e le politiche che l’amministrazione porta avanti in campo ambientale. Tesla è passata da essere un brand di valore e contrasto alla crisi climatica, apprezzato da un certo progressismo, a un marchio tossico che rappresenta visioni fasciste della società: il riallineamento politico di Musk ha generato un divario incolmabile col mondo progressista, che però non è stato sostituito da quello conservatore. Le persone di destra, infatti, per quanto apprezzino Musk, sono meno interessate all’acquisto di vetture elettriche in quanto sostenitrici dei combustibili fossili.
Il crollo delle vendite anno su anno di Tesla è stato considerevole, in tutti i mercati: a livello esemplificativo, in Germania è salita del 30 per cento l’immatricolazione di veicoli elettrici mentre è scesa del 70 quella di Tesla; anche in Australia Muskha subito una caduta del 72 per cento sull’anno precedente.
Le motivazioni, chiaramente, non sono solo politiche, anche se la massiccia presenza sui social di queste proteste ha certamente aiutato: i potenziali compratori di elettrico hanno iniziato a riorientarsi sul mercato cinese, che sta iniziando a produrre su larga scala vetture meno costose di Tesla. Proprio nel paese asiatico si celano i principali problemi economici dell’azienda di Musk: il mercato dell’elettrico in Cina è stato per anni dominato da Tesla, in quanto unico brand a promuoverlo. Negli ultimi anni, i capitali cinesi hanno generato una forte competizione e l’azienda locale BYD offre macchine di tecnologia migliore a minor costo. Le quote di mercato di Tesla in Cina diminuiscono, anche perché il paese è in crisi economica e si immatricolano meno macchine, e si preferisce comprare veicoli di un’azienda locale.
La crisi delle imprese dell’impero di Musk non si identifica, però, solo con Tesla. In Europa si sta discutendo se affidarsi per le telecomunicazioni al sistema satellitare Starlink, anch’esso di proprietà dell’imprenditore sudafricano. Il punto che ne fanno molti governi è di fiducia: Musk si è spesso rivelato inaffidabile, come nel caso ucraino, in cui prima ha fornito la copertura satellitare all’esercito di Zelensky per combattere i russi e poi ha minacciato varie volte di staccare il sistema, su cui Kyiv fa affidamento.
La Polonia, Stato confinante con l’Ucraina e molto vicina alle posizioni di Zelensky, ritiene che Musk sia del tutto inaffidabile: il ministro degli esteri polacco, Radoslaw Sikorski, ha apertamente asserito che il suo paese contribuisce a fornire Starlink all’Ucraina, e che se Musk decidesse di staccare farebbero in modo di trovare un altro sistema. Tutto questo mentre in Italia c’è un acceso dibattito parlamentare se sia il caso di dotarsi di Starlink per coprire le aree più remote del territorio della penisola.
Elon Musk, negli anni, è diventato infatti il leader di un culto tecnologico, che prometteva svariati obiettivi, dalla totale elettrificazione del parco auto alla colonizzazione di Marte. Come per ogni credo, ha ammantato sé stesso di eroismo, ha cementato il suo stato sui social e ha attaccato per anni le persone ree di non capire la sua idea di mondo. Le sue aziende, però, hanno risentito della scelta di campo in senso repubblicano: al di fuori dei suoi adepti, le persone che davano fiducia al progetto di Musk si sono ritrovate velocemente a far parte dell’”Anti-Elon Tesla Club”.
In copertina: immagine da auto.it
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