«Revocare il decreto» fino a quando «non saranno prese misure adeguate, per garantire che le vite dei migranti non siano messe a rischio» dalle norme che impediscono ai soccorritori «di intervenire efficacemente». Da Strasburgo arriva una pesante bocciatura per la dottrina Piantedosi, i cui effetti vengono definiti «intimidatori».
Il Consiglio d’Europa, l’istituzione di riferimento della Corte europea dei diritti dell’uomo, attraverso il «Consiglio di esperti in materia di leggi organizzazioni non governative», mette in guardia il governo italiano richiamandolo proprio alla giurisprudenza della Corte per i diritti umani. E questo perché i nuovi decreti sicurezza, non sono ritenuti in linea con le norme europee. In particolare, è stata valutata la conformità del decreto legge con i requisiti dell’articolo 11 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (Cedu), fra l’altro dedicato alla «libertà di riunione pacifica e alla libertà d’associazione».
Il parere espresso dagli esperti con una relazione di nove pagine, valuta la compatibilità delle decisioni di Roma con le norme europee sugli spazi concessi dalle autorità alla società civile. La presenza in mare delle organizzazioni umanitarie, infatti, viene considerata come parte di attività «di natura critica» la cui libertà non può essere soppressa, specie a causa «dell’assenza di operazioni di ricerca e salvataggio a livello statale o europeo dopo la fine della missione italiana “Mare Nostrum”, lo smantellamento dell’operazione congiunta Triton e la decisione degli Stati membri dell’Ue di cessare i pattugliamenti marittimi dell’operazione Sophia».
Che i decreti non siano annoverabili tra le misure in buona fede, secondo Strasburgo lo dimostrano diversi cavilli definiti “chilling effect”. In altre parole: intimidatori. Vengono infatti moltiplicati «in modo significativo i requisiti per le imbarcazioni che effettuano missioni di salvataggio per entrare o transitare nel territorio italiano». Ad esempio, deve essere dimostrato «che sono state prese tempestivamente iniziative per informare le persone prese a bordo della possibilità di richiedere la protezione internazionale, e il personale della nave è tenuto a raccogliere dati rilevanti da mettere a disposizione delle autorità».
Non bastasse, la nave del soccorso civile «è tenuta a richiedere immediatamente dopo l’evento (il salvataggio, ndr) l’assegnazione di un porto di sbarco, e deve procedere verso tale porto senza indugio».
Inoltre, adoperando volutamente un «un linguaggio vago e poco chiaro che rischia di essere interpretato in modo arbitrario», il decreto legge specifica «che i metodi di ricerca e salvataggio in mare da parte della nave non devono aver contribuito a creare situazioni di pericolo a bordo o impedito l’arrivo tempestivo al porto di sbarco designato dalle autorità».
Se la somma di tutte queste condizioni, poste esclusivamente alle organizzazioni umanitarie e a nessuna altra nave che si trovasse a effettuare soccorsi, non fossero abbastanza per giudicarle sproporzionate, secondo gli esperti del Consiglio d’Europa, i decreti vanno persino oltre, mettendo in discussione l’essenza e la salute della democrazia. Perché alimentano «l’ostilità nei confronti degli operatori umanitari e delle Organizzazioni non governative». Contribuendo «a un effetto raggelante»: «Il lavoro cruciale delle Ong per contribuire allo sviluppo e alla realizzazione della democrazia e dei diritti umani».
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