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Il chiosco Mac Murphy, quello al parco Giordano Bruno, per i frequentatori non più giovanissimi “i giardinetti della mutua”, insomma quello immerso nel verde e nei murales, musica reggae nei mesi estivi, approdo sicuro per chiunque volesse una birra, luogo altro rispetto a tutti i pub, bar, birrerie, con quella originalità data dal mix tra gestore e avventori e sedute, senza nessuna presunzione di essere quel che non è, perché quel che è basta e avanza – insomma, Razzo, deve chiudere.

Nato come parco di passaggio tra via Cassoli e Poledrelli, tra il centro e la stazione, tra Cavour e lo stadio, come zona verde di sosta e compensazione tra la scuola elementare confinante – artefice delle aiuole fiorite – e i piccoli condominii attigui, come occasione di sport un po’ “scazzato”, il parkour, un cesto per due tiri, perché non a tutti piace il campetto perfetto e leccato, Giordano Bruno (non a caso  frate filosofo, condannato come eretico al rogo in Campo di Fiori) abbraccia da tempo immemore il chiosco di Razzo.

La notizia della recinzione del parco, avveratasi con le sue punte acuminate e i suoi cancelli che chiudono alle 20, era cosa nota ormai da mesi. La politica della sicurezza ha le sue regole e si sa che il decoro lo fanno grate e chiavistelli. E infatti, almeno da due anni che il parco era scientemente lasciato allo stato brado, col campetto di beach volley senza gestione – un autentico terrarium in gabbia – cestini dell’immondizia straripanti e mai puliti, e naturalmente: niente panchine perché sedersi in un parchetto è un lusso per il quale serve il permesso del vicesindaco.

Così, infatti, il parco ha molto velocemente perso una qualsiasi identità, diventando un “non luogo” aperto all’insicurezza.

Ci siamo chiesti in molti come sarebbe sopravvissuto il chiosco coi cancelli, e per un po’ si è fantasticato sul fatto che alla fine una soluzione adatta a tutte le esigenze si sarebbe trovata, anche perché il chiosco con la sua attività e la sua eterogenea clientela fungeva davvero da presidio del parco, pur senza aver mai avuto né l’ambizione né l’obiettivo di controllarlo.

Ma la soluzione proposta dalla Giunta (senza che di ciò si sia mai parlato in commissione o in consiglio comunale) consiste al solito nella rimozione di tutto ciò che non coincide perfettamente con l’idea di decoro alla Naomo (idea peraltro non chiarissima, un po’ schizofrenica, data la incuria in cui versano molte zone della città, a non voler dire della gestione del centro storico).

Quindi il chiosco sarà rimosso e al suo posto pare di capire un bagno e la ricarica per le e-bike. Perché un chiosco non sia compatibile con le nuove mirabilia promesse dalla giunta non si sa. Bambinə e famiglie che vi trascorreranno il pomeriggio non avranno sete, evidentemente. Puoi ricaricare la bici elettrica ma non bere.

Della totale mancanza di rispetto e delle regole cui l’amministrazione è tenuta nei confronti del gestore ha già ben detto Andrea Raffo: nemmeno un incontro, più volte rimandato, nemmeno una ipotesi alternativa su cui ragionare, solo una laconica comunicazione con l’ordine di sgombero e rimozione nonostante la convenzione scada nel 2029.

Stesso metodo utilizzato con La Resistenza, senz’altro un caso.[Vedi qui e qui su Periscopio, ndr]

Modalità opposta per l’associazione  che occupa via delle Erbe 29 senza titolo, senz’altro una svista. [Qui e qui su Periscopio, ndr]

Nessuna spiegazione a Raffo, nessuna motivazione alla città, al quartiere, del perché un piccolo parco – cuore del Giardino – debba rinunciare ad un chiosco dove incontrarsi al tardo pomeriggio o alla sera per bere qualcosa e fare due chiacchiere al fresco.

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Ilaria Baraldi

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