GKN, Rexnord, Berco:
utopia contro distopia, e Ferrara nell’ occhio del ciclone
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GKN, Rexnord, Berco: utopia contro distopia, e Ferrara nell’ occhio del ciclone
Sabato 5 ottobre, il Festival della rivista Internazionale ha visto salire sul palco del Teatro Comunale di Ferrara un attore e alcuni operai del collettivo di fabbrica GKN, per alcune letture denominate “Pezzi di capitale”, parti di un un lavoro teatrale che è ancora un work in progress.
La vicenda è nota, e anche Periscopio ne ha scritto in diverse occasioni (tra le altre, qui, qui e qui). Nel frattempo, la realtà ha corso più rapidamente persino della sua cronaca. Regal Rexnord (ex Tollok), azienda metalmeccanica di proprietà statunitense con una fabbrica a Masi Torello (FE), manda una pec ai 77 dipendenti per comunicare loro che saranno licenziati per chiusura della fabbrica e trasferimento della produzione in India. Nelle stesse ore, Berco, società del gruppo Thyssen Krupp, annuncia 550 esuberi, di cui 480 solo a Copparo, stabilimento che attualmente in organico ha circa 1.200 persone.
Periscopio afferma di avere un occhio glocal, perchè spesso si occupa di questioni locali che hanno un correlato globale. Le vicende di Campi Bisenzio e Ferrara mostrano come un vetrino di laboratorio cosa può voler dire glocal: in nome della vendita globale, si chiude la produzione locale. Si produce localmente dove costa meno per avere più profitti a livello globale. Attenti: non si tratta più della mera sostituzione di manodopera con altra che costa meno, ma della sostituzione di manodopera (anche) ad alta specializzazione con altra altrettanto specializzata, ma che costa meno perchè vive in zone del mondo meno ricche della (mediamente) opulenta e decadente Europa. In questo modo la povertà irrompe nella ricchezza, gettando nell’indigenza e nella precarietà interi nuclei familiari, interi pezzi di popolazione abituati da generazioni a costruire la propria esistenza a partire da un lavoro decentemente pagato, ma soprattutto stabile.
Ovviamente ci possono essere delle cause specifiche alla base delle crisi aziendali. Nel caso di Berco, ad esempio, non è difficile vedere sullo sfondo la recessione tedesca, alimentata dall’incremento dei prezzi dell’energia a propria volta originato dalla distruzione dell’asse economico Germania-Russia, conseguenza diretta della guerra russo-ucraina. E interi settori dell’industria italiana che lavorano per committenti tedeschi o (come nel caso di Berco) fanno parte di gruppi con la testa in Germania, non possono che accusare le conseguenze di questo domino (Nota: le sanzioni economiche alla Russia staranno forse danneggiando l’economia della sanzionata, ma stanno sicuramente danneggiando le economie dei sanzionanti. Non si può dire senza essere annoverati nelle file dei seguaci di Putin, almeno in Italia. Però è così).
Nel caso di Regal Rexnord, visto che tutte le parti interessate descrivono come una “doccia fredda” o come un “fulmine a ciel sereno” la decisione dei licenziamenti collettivi, eventuali cause specifiche sono meno intuibili. Probabilmente, chi è più addentro le vicende dell’azienda le conosce. Sulla stampa le dichiarazioni ufficiali si limitano, per ora, a rappresentare una situazione quasi incomprensibile. Ed è proprio quando la decisione appare come del tutto inaspettata che emerge l’elemento tragicamente comune a queste delocalizzazioni (termine inesatto: sarebbe più corretto parlare di rilocalizzazioni): il cinismo del capitale multinazionale, e anche la completa libertà di esercitarlo, questo cinismo.
Infatti, a parte l’obbligo di rispettare delle procedure di previa informazione e quello di non procedere ai licenziamenti prima di un certo termine dalla comunicazione, si è nelle mani di giudici che annullino i licenziamenti con la motivazione del comportamento antisindacale – appunto, qualcosa che ha a che fare più con la violazione di regole di buona creanza che con la sostanza dei provvedimenti. Basta guardare allo stato dell’arte della vicenda GKN. I licenziamenti sono stati annullati dal giudice, l’azienda è passata di mano, ma un piano industriale reale non è mai arrivato, nonostante le rassicurazioni di un advisor rivelatosi un autentico cioccapiatti, come si dice a Ferrara. Nel frattempo il collettivo di operai si è autoorganizzato e ha prodotto un piano di riconversione industriale del sito e una iniziativa di azionariato popolare che ha raccolto oltre un milione di euro. In estrema sintesi il piano propone di riconvertire il sito su due produzioni, alternative tra loro: produrre componentistica per il trasporto sostenibile (autobus, treni, camper) oppure realizzare componenti per la costruzione di elettrolizzatori, attraverso i quali si ottiene idrogeno green, ma anche di pannelli solari (qui è possibile leggere la relazione integrale sul Piano). Però intanto la Cassa Integrazione è finita, e siamo arrivati a nove mesi senza stipendio per chi non si è rassegnato ed è ancora lì, o per chi non ha ancora trovato un’alternativa fuori per ricominciare a mangiare tutti i giorni. Nel frammento di spettacolo visto a Internazionale non si sono sentiti racconti infarciti di retorica della resistenza a tutti i costi, ma l’utopia sfibrata di voler progettare come operai una riconversione produttiva.
Proprio ieri alla presenza di Greta Thunberg il collettivo ha prodotto una risoluzione che prevede: approvazione del progetto industriale; conferma del supporto della reindustrializzazione dal basso della ex Gkn; nomina del comitato tecnico-scientifico solidale a partecipare ai tavoli istituzionali; convocazione di un tavolo tecnico di reindustrializzazione con le istituzioni; ampliamento dell’azionariato popolare fino a 2 milioni di euro, nel caso in cui parta una seria discussione tecnica con istituzioni e finanziatori. Ma se questo processo non troverà uno sbocco entro il 15 di novembre, il collettivo deciderà se liberare le disponibilità raccolte e restituire il denaro. E la “stanchezza” confessata da Dario Salvetti, lavoratore e portavoce del collettivo ex GKN, al Teatro Comunale sembrava un miscuglio tra il logoramento mentale e la spossatezza fisica.
C’è una utopia di Campi Bisenzio che prova con disperazione a farsi strada dentro la distopia di tanti luoghi come Campi Bisenzio e come Ferrara, che diventano periferia economica e occhio del ciclone della deindustrializzazione. Nell’occhio del ciclone, come si sa, è tutto calmo. Ma è una calma apparente e transitoria. Quando l’occhio si sposta arriva l’uragano. E quanto appare tragicamente suggestiva la correlazione tra quello che sta succedendo al pianeta e nel mondo sociale della specie umana che lo abita. Quanto violento e possente e a modo suo efficiente è il pianeta Terra nell’adattarsi all’antropocene, quanto fragili siamo noi davanti alla ferocia del libero capitale e insignificanti al cospetto della natura, che con furia indifferente riconquista i suoi spazi e ripristina la sua entropia.
Cover photo: L’occhio del ciclone, opera di Enrico Tomassi, tratta dal sito pattys.it
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Nicola Cavallini
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