Giuditta non è una sola
L’articolo si propone di indagare e comprendere perché questo personaggio femminile è così presente nella produzione artistica. Chi era Giuditta? E chi è stata per gli artisti che hanno deciso di dipingerla?
ll Libro di Giuditta (greco Ιουδίθ, iudíth; latino Iudith) è un testo contenuto nella Bibbia cristiana cattolica. È composto da 16 capitoli che descrivono la storia dell’ebrea Giuditta. È ambientato al tempo di Nabucodonosor (605-562 a.C.),“re degli Assiri”.
Giuditta, eroina del popolo ebraico, liberò la sua città assediata dagli Assiri. Della sua bellezza si invaghì il generale assiro Oloferne, il quale la trattenne con sè ad un banchetto credendo di poterla possedere. Vistolo ubriaco, Giuditta gli tagliò la testa con la sua stessa spada e poi ritornò a Gerusalemme. Gli Assiri, trovato morto il loro condottiero, furono presi dal panico e messi in fuga.
La decapitazione di Oloferne è stata rappresentata molte volte attraverso dipinti. Tra le rappresentazioni più famose si ricorda quella di Caravaggio. Precedentemente si cimentarono con questo tema Mantegna, Michelangelo (nella volta della Cappella Sistina), Veronese, Tiziano, Carracci, Klimt e diverse pittrici come Artemisia Gentileschi e Fede Galizia. Cosa trovarono di così interessante in Giuditta tutti questi autori così diversi per periodo, inclinazioni e stile?
Possiamo supporre che Michelangelo non fosse particolarmente interessato alla figura di questa donna, la rappresentò nei “lunettoni” della Cappella Sistina così come rappresentò la scena di Davide e Golia. Ai suoi occhi, come a quelli dei suoi contemporanei, le due scene veicolavano lo stesso contenuto. Entrambe raccontano infatti di una miracolosa vittoria del debole sul forte e servono a glorificare la potenza di Dio.
Quale esempio di maggior disparità di forze che quella di una avvenente fanciulla a confronto con un uomo d’arme indurito dalla battaglia? Giuditta ha un posto d’onore nella Cappella Sistina grazie alla sua supposta ‘fragilità’. È un simbolo della debolezza umana che riesce a vincere affidandosi alla potenza divina.
Dopo la riscoperta critica di Artemisia Gentileschi, le sue opere sono spesso state confrontate con quelle di Caravaggio, compresa la decapitazione di Oloferne.
Caravaggio, Giuditta e Oloferne, Roma, Palazzo Barberini
Nell’opera di Caravaggio la scena è dominata dalla testa di Oloferne e dalla rappresentazione pittorica del suo urlo raccapricciante, del sangue che sgorga dalla ferita. Giuditta non è al centro del quadro. La si vede giovane (per essere vedova) e aggraziata nei gesti che risultano privi di tensione e forza. È lontana dal corpo della vittima e il contatto fra i due corpi è ridotto al minimo. La sua avvenenza è messa in risalto dalla presenza della sua serva, che Caravaggio sceglie di rappresentare anziana.
Sembra che Caravaggio si identifichi con Oloferne che, diventando vittima, ruba la scena alla sua assassina. Va in scena il timore di Caravaggio di fare una fine violenta. Quest’opera viene infatti datata intorno al 1602. Nel 1601 Caravaggio era già stato in prigione e, di lì a poco, verrà condannato alla morte per decapitazione. Da quel momento iniziò la sua eterna fuga.
L’opera di Artemisia Gentileschi ci racconta una Giuditta diversa.
La pittrice si identifica con Giuditta e mette in scena una lotta violenta, fisica e drammatica. La tensione del corpo e dei gesti della fanciulla, l’espressione del viso, sono straordinariamente intensi. Artemisia Gentileschi è una donna che ha subito violenza. Non solo, a questo drammatico episodio, ha fatto seguito un processo per lei umiliante e doloroso. Nella sua opera, la rabbia e l’umiliazione diventano forza e violenza. Una specie di vendetta personale.
Klimt, per citare un altro grandissimo pittore, realizzò due versioni della decapitazione di Oloferne. Le Giuditta di Klimt sono donne sensuali, pallide e discinte.
Osservando la Giuditta del 1901 si ha l’impressione che la fanciulla ci osservi dall’alto con gli occhi socchiusi in una posa languida. Sembra consapevole del nostro sguardo e si espone ad esso, con il seno scoperto. Adorna di gioielli, bella e pericolosa incarna una nuova tipologia di donna: la donna fatale.
Nell’opera di Klimt, Oloferne scompare. Si vede un accenno della testa in un angolo, ma tutta la scena è occupata da Giuditta, la vera e unica protagonista. La donna rappresentata da Klimt ha così perso la fragilità e la rabbia. È pericolosa, affascinante, consapevole della propria sensualità, trasgressiva. Un’immagine che si contrappone all’idea della donna angelo, pura e ingenua e che mette a fuoco una nuova, possibile, interpretazione.
Nel corso della storia dell’arte Giuditta è così cambiata, ha indossato volti diversi, raccontato storie diverse, è stata un potente schermo di proiezione dei rapporti uomo-donna, delle diverse società nella quale i pittori che l’hanno raffigurata si trovavano. Forse perché, proprio Giuditta, usurpa un ruolo tipicamente maschile, quello dell’eroe che salva il suo popolo.
Giuditta non è la principessa salvata ma è lei la salvatrice. Per tutto questo e forse per altro ancora, Giuditta viene ripetutamente risignificata in un processo che ha reso la sua storia eternamente attuale.
Cover: La Giuditta di Artemisia Gentileschi (a sinistra) e la Giuditta di Caravaggio a confronto
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Carla Balotta
Commenti (3)
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bellissimo articolo. interessante. peccato non si vedano bene le opere di Klimt e di Artemisia. grazie!
sul telefono o anche sul pc? Comunque concordo con te, è un pezzo particolarmente bello.
Veramente un articolo affascinante, proprio come l’eroina che ne è protagonista; molto interessanti e stimolanti i confronti fra le diverse interpretazioni di Giuditta nelle diverse opere e attraverso lo sguardo e il pensiero dei differenti artisti