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Il Ferrara Film Festival porta tanti temi e tante novità. Le giornate del 19 e 20 settembre parlano di malattia e di lavoro

Periscopio continua a seguire il FFF8. Per leggere i Day 1, Day 2 e Day 3

La giornata di martedì 19 settembre è stata caratterizzata da un dibattito intorno a temi importanti, come la malattia, e la relazione cinema-salute, ovvero di quanto e come il cinema possa parlare della malattia.

Alle ore 16, per la rassegna “Retrospettiva Cinema & Salute”, il festival ha proposto il toccante film britannico “Living” di Oliver Hermanus, con Bill Nighy, Aimee Lou Wood e Alex Sharp. Candidato a due Premi Oscar 2023, il film, ne abbiamo parlato, diretto dal sudafricano Oliver Hermanus e sceneggiato dal premio Nobel per la letteratura Kazuo Ishiguro, è un riuscito remake del capolavoro di Akira Kurosawa del 1952, Ikuru (Vivere), nella classifica dei 100 più grandi film secondo il Time. Nella Londra degli anni ’50, un burocrate privo di senso dell’umorismo decide di prendersi una pausa dal lavoro per sperimentare la vita dopo aver ricevuto una triste diagnosi. Sarà una sorpresa, per tutti, un messaggio di come la malattia ci faccia capire le vere priorità.

La Premiere del tardo pomeriggio, “Sisters of Ukraine” (categoria “Premiere docu”), storia di due volontari di Barcellona che si recano in un convento nell’Ucraina occidentale dove le suore stanno aiutando i rifugiati dopo l’invasione russa, è stata preceduta dal cortometraggio “The Delay”, diretto da Mattia Napoli.

Un’opera che tocca il difficile tema della malattia degenerativa e dell’andare fuori fase e fuori binario.

Arturo è un bravo interprete, una persona solitaria, metodica e regolare. Da qualche tempo, però, sta avendo problemi a svolgere il suo lavoro: è andato fuori sincrono. I suoni arrivano in ritardo rispetto a ciò che vede. La sua è una malattia degenerativa: il ritardo cresce giorno dopo giorno. Dopo aver perso il lavoro e aver provato inutilmente a eliminare qualsiasi fonte sonora, Arturo, quasi per caso, inizia a osservare il mondo con un nuovo e assurdo approccio. Quello che appare come un assurdo e limitante handicap può però diventare un’opportunità per osservare la realtà da un nuovo punto di vista. La disarmonia tra suono e sguardo crea sorprendenti effetti, a volte comici, a volte spiazzanti. Realtà difficile, ma… Senza poter più comunicare con il resto del mondo, Arturo ha la possibilità di diventare una persona più ricca e migliore di prima. Perché la bellezza è ovunque, basta saperla vedere e trovare.

Alle ore 22 è andato in scena “Peripheric love”, dello svizzero Luc Walpoth, con Iazua Larios, Fabio Troiano, Alessio Lapice. Maria, una giovane donna peruviana che lavora come babysitter presso una famiglia di industriali torinesi, è incinta. Suo marito Giorgio, che fa il guardiano presso la fabbrica di proprietà di quella stessa famiglia, è sterile.

Come gli darà la notizia, cosa penserà di lei? Quando Maria chiede a Giorgio di rifare il test di fertilità lui, colpito nell’orgoglio e offeso, si allontana da lei e riprende a bere, un vecchio vizio pareva superato.  Incapaci di ritrovare uno spazio di relazione, i coniugi si evitano e si avvicinano sempre più ai loro nuovi confidenti. Ma si amano profondamente. Maria studia il momento giusto per dargli la notizia, cercando di fargli capire che forse non si è sterili per sempre. Giorgio resiste alla voglia di bere, pur convinto ormai che lei gli nasconda qualcosa. Quando per caso trova i documenti medici che dicono che la moglie è incinta, crolla e soccombe ai propri demoni. Incapacità di comunicare che porta a strade che non si incrociano, almeno per un po’, ma che ad un certo punto (ri)convergeranno.

Anche qui questa intensa première è stata preceduta da due interessanti cortometraggi, “Al di là del mare”, di Carlo Alberto Biazzi, con Eros Pagni, Serena Grandi, Marco Iannone e la prima apparizione sullo schermo del giovane Gabriele Casavecchia e “Scomparire”, di Daniele Nicolosi.

“Al di là del mare” narra la storia del piccolo Nicola che, nel dopoguerra, perde il padre partito per Buenos Aires in cerca di fortuna. Il nonno, per non arrecare troppo dolore al bambino, gli racconta che il papà è stato rapito dal mare. Nicola non accetta questa situazione e riesce a trovare il coraggio di andare a cercarlo. Girato tra la Liguria e la Toscana, il film, che ha vinto il Premio del pubblico, il Premio miglior attore a Eros Pagni, il Premio miglior fotografia al “Napoli Cultural Classic” (2023), il Premio miglior attore a Marco Iannone al “Ciak Film Festival” (2023) e il Grifone d’oro al miglior mediometraggio al “Love Film Festival” (2023), sarà su Prime Video e Chili il 30 ottobre.

“Scomparire” è, invece, il cortometraggio diretto da Daniele Nicolosi, presentato in concorso nella sezione Dramma al “Prato Film Festival” 2023, con Andrea Bosca ed Euridice Axen. Un uomo incontra una donna in una casa di montagna. Improvvisamente l’uomo si sveglia e si ritrova nel suo appartamento in una Torino del 2046 dove la tecnologia ha preso il sopravvento anche sulle relazioni umane. A scomparire sono sia i personaggi, sia i ricordi, sia, soprattutto, gli eventi passati (e presenti) che non si ripeteranno mai più. Passato, presente e futuro si incontrano e si intersecano mettendo i protagonisti, e lo spettatore stesso, anche di fronte a delle scelte.

Il programma di mercoledì 20 settembre è stato, invece, caratterizzato dall’’incontro, alle ore 19, all’interno del format Studios Lounge Live, con Stefano Fresi, protagonista di “Romanzo Criminale” (2005) e “Smetto quando voglio” (2014). In quest’ultima pellicola, ispirata alla serie tv americana “Breaking Bad”, Fresi interpreta il personaggio di un laureato in chimica, costretto a lavorare come lavapiatti in un ristorante cinese, per il quale riceve una candidatura al David di Donatello come miglior attore non protagonista.

L’attore ha raccontato aneddoti della sua carriera sul set, dando consigli e suggerimenti ai giovani che vorrebbero intraprendere un percorso professionale nel mondo del cinema. “Fondamentale”, ha esordito, “è saper mantenere l’umiltà nei confronti del mestiere, perché non si smette mai di imparare e lo si fa da tutti. Il mio consiglio è quello di appassionarsi a tutto. Significa che se vuoi fare l’attore non puoi non conoscere la storia del cinema o il modo in cui i più grandi attori si sono approcciati nell’interpretazione di un personaggio che li ha resi celebri”. “E poi, ha concluso, “credo sia necessario guardare tanti film e farlo il più possibile all’interno delle sale cinematografiche. È un qualcosa che ormai si sta perdendo come abitudine, ma i film vanno visti lì, quando è possibile”.

Ma la vera novità è stata la proiezione serale della première italiana del film francese “La verità secondo Maureen K.” di Jean-Paul Salomé, con Isabelle Huppert, Grégory Gadebois, François-Xavier Demaison, Pierre Deladonchamps, già nella sezione Orizzonti l’anno scorso al Festival di Venezia e in sala da oggi, 21 settembre.

Un’indagine thriller ambientata nel mondo del nucleare e della politica. Tratto dalla vera storia dell’irlandese Maureen Kearney, un’esponente sindacale tutta d’un pezzo che ostacola il mondo e i giochi dei potenti, in un mondo fatto e dominato dagli uomini.

Maureen Kearney (Isabelle Huppert) è la sindacalista delegata della CFDT (Confederazione Democratica Francese del Lavoro) di Areva, una multinazionale francese del settore nucleare, mandato dopo mandato. E non intende affatto mollare, di fronte alla sete di giustizia, della quale è paladina. Sposata con un musicista (Grégory Gadebois) sempre dalla sua parte, è decisa, impassibile, algida. Un vero bulldozer.

Quando viene a sapere dell’accordo segreto che il nuovo dirigente sta stringendo con la Cina, e che minaccia il posto di lavoro di cinquantamila operai, si dimostra disposta a tutto pur di farlo uscire allo scoperto. Allora cominciano le minacce, le intimidazioni, i pedinamenti, fino all’ultima tappa e decisiva, la brutale aggressione. La polizia non le crede, ha fretta di trovare il responsabile, se non il capro espiatoria, e in poco tempo da vittima a diventa la principale sospettata.

Il duo Isabelle Huppert – Jean-Paul Salomé si riunisce dopo il successo di “La padrina – Parigi ha una nuova regina” (2019), per raccontare una storia vera di coraggio personale e di vergogna collettiva, in cui la violenza privata e quella politica si fondono sulla pelle di una donna, costretta dalle circostanze e dalla propria forza di carattere a una battaglia più grande di lei. Con tanto di inquadratura hitchcockiana dello chignon nel quale la Kearney ha appena raccolto i capelli, un attimo prima di subire violenza, e di lunga dissolvenza a nero che sospende la visione dei fatti nei minuti cruciali. Colori, poi, perfetti.

Il film è il personaggio stesso, perché è lei la “questione” al centro del piatto: il suo essere donna, l’aver subito già violenza che la fa diventare la vittima perfetta, il suo essere fragile e il suo essere forte allo stesso tempo. Una Huppert favolosa, in un film dove donne aiutano donne, donne che spesso restano inascoltate.

Foto in evidenza e della giornata del 20 settembre di Valerio Pazzi

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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