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Femminicidi, immigrati, un ministro infelice e un muratore marocchino incontrato in stazione

 

Ha fatto molto discutere la frase infelice del ministro Valditara (in occasione dell’anniversario dell’omicidio di un anno fa di Giulia Cecchettin) secondo cui ad ammazzare le donne sono soprattutto gli immigrati. In realtà, come spiega l’Istat nel 2022 (ultimo dato disponibile) nel 93,9% dei casi ad uccidere una donna italiana è un uomo italiano (quasi sempre marito, amante, fidanzato o ex.) e poiché gli stranieri sono il 10% della popolazione, ciò significa che la tendenza a “menare” o uccidere sta in capo più agli italiani che agli stranieri.
Stessa cosa vale per tutti gli omicidi: sempre Istat rileva che in Italia nel 2022 il 92,7% degli italiani è stato ucciso da italiani.

Emanuela Valente, in un libro di prossima pubblicazione, racconta la storia delle donne uccise, i cui dati raccoglie puntualmente nel sito web che ha fondato (inquantodonna.it) e da cui si desume la provenienza di chi ammazza. Ebbene: la grande maggioranza di quei pochi stranieri che uccidono una donna non sono affatto stranieri illegali o clandestini, ma stranieri regolari residenti in Italia anche da molti anni e con un lavoro, tra cui ingegneri, docenti universitari, un militare Usa, un manager, un prete…

Per fortuna i femminicidi sono in calo (al di là della percezione che siano in aumento), come del resto tutti gli omicidi: dal 2004 ad oggi si sono più che dimezzati e sono meno del 20% rispetto a quanti erano nel 1990. Erano 325 nel 2022; nel 2023 sono cresciuti di 5 unità, ma la tendenza di lungo periodo è al calo.

Dei 106 femminicidi di cui si conoscono gli autori, 61 donne sono uccise nell’ambito della coppia, 43 da altro parente, 1 da un conoscente per motivi passionali, 1 da sconosciuto. La realtà ci dice che le donne devono temere non tanto gli sconosciuti, quanto chi conoscono bene nell’ambito della coppia o della cerchia famigliare (fonte Istat, report del 23 novembre 2023).

Femminicidi, immigrati, un ministro infelice e un muratore marocchino incontrato in stazione
Migranti alla stazione di Budapest, novembre 2024. Photo by Matt Cardy/Getty Images

A proposito di immigrati e di luoghi comuni. Qualche giorno fa, in una stazione ferroviaria, ho familiarizzato con un immigrato dal Marocco di 34 anni, arrabbiato col suo padrone macedone che lo insulta ogni giorno per futili motivi.

Mi ha raccontato che aveva deciso di abbandonare quel lavoro che pure gli dava temporaneamente da vivere. Aveva un contratto mensile da 1.600 euro lavorando però sia il sabato che i giorni di pioggia (in edilizia non si potrebbe), per cui (insieme abbiamo fatto i conti) sarebbero circa 7 euro all’ora (ecco perché servirebbe il salario minimo a 9 euro all’ora).

E’ un immigrato legale venuto in Italia 25 anni fa dal Marocco con il padre. Oggi ha una casa e un reddito che gli permetterebbe di far venire in Italia la moglie e il figlio. Ha avuto numerosi controlli da parte di varie Organizzazioni italiane sul suo reddito e la casa, e in seguito ha potuto fare finalmente due anni fa domanda di ricongiungimento famigliare.

Purtroppo però il nostro consolato italiano a Casablanca è chiuso da un anno, per cui non riesce ad ottenere l’autorizzazione per i suoi famigliari. E’ stato poi truffato da un nostro connazionale di un altro consolato italiano in Marocco, a cui ha dato 1.500 euro per avere per “via breve” questo documento che consentiva il ricongiungimento famigliare. Ha poi scoperto che era falso. Ora è in attesa che riapra il consolato di Casablanca.

Mi dice che ha lavorato per molti padroni ma mentre gli italiani lo hanno sempre trattato bene, non così succede con i padroni immigrati (come con questo macedone), i quali sono i primi a sfruttare gli altri immigrati.

In poche parole ha dipinto la situazione tipica dell’Italia, cioè di un paese che avrebbe bisogno come il pane di avere immigrati legali (che portano entrate per lo Stato, e danno la possibilità a molte imprese di operare in mancanza di personale italiano) e che invece non riesce a trovare modi efficaci per sveltire le pratiche burocratiche, né ha la capacità di controllare gli abusi che spesso i datori di lavoro immigrati commettono ai danni degli altri immigrati.

 

 

 

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Andrea Gandini

Economista, nato Ferrara (1950), ha lavorato con Paolo Leon e all’Agenzia delle Entrate di Bologna. all’istituto di studi Isfel di Bologna e alla Fim Cisl. Dopo l’esperienza in FLM, è stato direttore del Cds di Ferrara, docente a contratto a Unife, consulente del Cnel e di organizzazione del lavoro in varie imprese. Ha lavorato in Vietnam, Cile e Brasile. Si è occupato di transizione al lavoro dei giovani laureati insieme a Pino Foschi ed è impegnato in Macondo Onlus e altre associazioni di volontariato sociale. Nelle scuole pubbliche e steineriane svolge laboratori di falegnameria per bambini e coltiva l’hobby della scultura e della lana cardata. Vive attualmente vicino a Trento. E’ redattore della rivista trimestrale Madrugada e collabora stabilmente a Periscopio.

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