80 anni sono passati, ma chi può scordare quella “Lunga notte”? Le squadracce fasciste erano partite da Verona e da Padova; arrivano in piena notte in città, prelevano dalle loro case 72 persone: antifascisti, molti ebrei, alcuni cittadini considerati “traditori” per non essersi iscritti alla Repubblica Sociale, oppositori del regime in genere e le portano alla Caserma della Milizia in piazza Beretta. Fra loro e i 34 antifascisti, ebrei, oppositori del regime che erano già nelle carceri di via Piangipane (arrestati il 7 ottobre 1943) vengono “scelti” i dieci cittadini innocenti da passare per le armi per punire la morte del Federale Igino Ghisellini.
All’alba del 15 novembre davanti a Castello Estense vengono fucilati Emilio Arlotti, Pasquale Colagrande, Mario e Vittore Hanau, Giulio Piazzi, Ugo Teglio, Alberto Vita Finzi, Mario Zanatta; sulle mura presso i Rampari di San Giorgio: Gerolamo Savonuzzi e Arturo Torboli e in via Boldini: Cinzio Belletti che un caso aveva portato nelle vicinanze del Castello quella notte. I cadaveri verranno lasciati davanti al muretto del Castello per tutta la mattina, come monito per i ferraresi. Solo l’Arcivescovo Ruggero Bovelli con un duro intervento presso le autorità fasciste riuscirà a far spostare i corpi.
Alda Costa, la maestra perseguitata dal fascismo, morì meno di un anno dopo quella Notte dell’odio, il 30 aprile del 1944. La città ancora in mano ai fascisti, un gruppo sparuto al suo funerale, la primavera della Liberazione ancora lontana.
Il racconto, vero e fantastico, di Sandro Abruzzese parla di questo.
(Effe Emme)
Ferrara, la città dei fantasmi
(un racconto di Sandro Abruzzese)
Stasera prima di rientrare verso via Saraceno, prendo un giro largo. Sono in bici in Borgo dei Leoni, il grazioso quartiere centrale dove molti mesi fa, insieme ad Atiscia, conoscemmo la zingara di Berra e i suoi figli in attesa di processo. Lascio alle spalle il Museo di storia naturale, passo nei pressi della scuola elementare “Alda Costa”, un edificio di architettura razionalista che dà l’idea di una stazione dei treni della Lego. Davanti alla scuola tornano in mente gli ultimi, strampalati racconti del vecchio Athos: “tu adesso vedi la pace, tu… “, mi disse in una di quelle occasioni slinguazzando da destra a sinistra, “vedi la città ordinata, le luci. Ma quello che ho visto io, avresti dovuto vederlo, sai? Sicché rastrellamenti, delazioni, traditori. Ah… non farmi parlare, va là. Di mio fratello trovai il corpo. Ammassato era, a tutti gli altri, quella notte, il ’43 era, novembre. Ragazzi prelevati dal carcere dai fascisti per vendetta. Sicché senza pietà li ammazzarono, li ho visti, sai, quei corpi ammassati ai piedi del Castello, lungo il fossato; con questi occhi qui li ho visti: bestie! Nessun nome, nessun colpevole il giorno dopo, uff… Dei cadaveri solo la puzza. Da Verona eran scesi gli assassini. Ma nessuno ne sapeva nulla: bestie! Sicché era amico della maestra, mio fratello Alberto, socialista come lei. Questa la sua colpa.
Era sindacalista, era una brava donna Alda Costa. Per la fame si disperava. Ma mica per la sua, come accade oggi. Per quella dei suoi scolari della campagna si disperava, me lo diceva mio fratello, sai, buon’anima, pace all’anima sua. Sicché la perquisivano, la poveretta, minacce, umiliazioni, percosse, a una donna poi: bestie! Ah! Ma quando è morta, chi è che in tutta la città ha avuto il coraggio di seguirne la bara…dì un po’? Lo sai mica tu? Non ne sai nulla, si capisce. Bene, allora te lo dico io, chi c’era: eravamo don Quinto, poi c’era un vecchio giudice, e io. Ecco chi eravamo: noialtri. Ah! Bella la città ordinata, certo. Bella la pace, si capisce. Ma ordine e pace non voglion mica dire giustizia, sai. Ma lascia stare. Cosa ne volete sapere voialtri.
Il primo maggio o il due era, non ricordo bene. Sicché dall’ospedale partimmo, verso il cimitero. Era chiusa la città, chiusa di poliziotti e silenzio. Porte, finestre, cancelli sprangati. Nessuno nemmeno alla finestra. Un deserto di spettri. Un silenzio. Ah, ma don Quinto se urlava, sicché recitava a voce alta la messa per Alda Costa, così che tutti ascoltassero ugualmente, da dietro le finestre, uff… suscitava un senso di… di… di verità.
Morì l’ultimo giorno d’aprile, la maestra, mi pare. Sicché il don disse che in punto di morte si era comunicata. Non lo so mica se sia vero. Lo disse per i funerali, perché avesse diritto ai funerali. Tutti dovevano sapere. Fu la sua rivincita. Cos’altro avrebbe potuto? Ancora la sua voce mi capita di risentirla.
Mai fatto un solo nome, Alda Costa, mai tradito i suoi compagni, nemmeno sotto tortura, sai. E sì che quei criminali nient’altro che bestie erano.
L’accompagnai. Ero monarchico io, lo sai bene, ma quando ti uccidono un fratello non c’è mica più Stato. Se uccidessero tuo fratello… uff… allora capiresti di cosa parlo. Sicché, mi fanno schifo quelli lì, i fascisti e sai perché? Sono dei codardi. Sicché per mio fratello ci andai al funerale e per fargli intendere che erano dei codardi e lo sarebbero rimasti. Ammazzato come un cane a vent’anni, uff…
Seguire la bara di Alda, è stato come seguire la sua bara, assistere anche lui, mio fratello, nell’ora più nera. Era anche lui lì con noialtri in una città di fantasmi”.
A poche pedalate di distanza dalla scuola “Alda Costa”, un’altra cella, un altro recluso. È la cella del Tasso, poeta folle della vecchia Gerusalemme.
Davanti alla porta d’ingresso, sul muretto, ragazzi siedono, mangiano il gelato. Qualcuno fuma. Una coppia, in piedi, unita, si bacia lungamente. Le bocche congiunte. Gli occhi chiusi. Lei tiene le punte dei piedi alzate. Lui il collo abbassato, le mani cingono i fianchi. Si baciano ininterrottamente. Tutto è sospeso tra quelle braccia protese. Tutto è un’immane promessa e rende come l’illusione che il mondo sia più lieve.
Titolo originale : “Città Fantasma”, tratto da: Sandro Abruzzese, “CasaperCasa”, Rubettino Editore, 2018, pp.177-178.
© Sandro Abruzzese, è vietata la riproduzione anche parziale del testo.
Cover: Ferrara, Scuola elementare “Alda Costa” su licenza Wikimedia Commons
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Sandro Abruzzese
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