a sua zampa rovente sul mio viso.
Sono bloccata, schiacciata contro il muro di cinta.
Poi la sua mano come cartavetrata percorre la guancia e la inchioda per girare il mio sguardo dall’altra parte.
Una punta gelata preme la gola.
Sento solo questi due punti: il caldo e il freddo.
Il resto del corpo completamente dimenticato.
Un alito colpisce l’orecchio . Un vento vischioso di alcol in tetra pack biascica:
“Non dimetterla. Non dimettere la mia Teresa.”
Il pensiero corre ai bambini. Chissà che spavento se mi trovassero a terra. Non deve succedere. Devo proteggerli.
La pressione del suo corpo sul mio si allenta e sento che ho altro, ho delle gambe. Me ne accorgo perché stanno tremando. E poi non mi sostengono più. Scivolo sostenuta dal muro. Scivolo giù.
Quella presenza cosi vicina ora sbiadisce in un’ombra sbilenca che si allontana.
Il cuore come un batterista batte le tempie. Il batterista esagera batte sempre più forte distraendo la mia attenzione dal calore rosso che scivola lungo la gola imbevendo il colletto della camicetta ciclamino.
“Dobbiamo correre ai ripari. Mettere almeno un metronotte. Chiederemo aiuto alla regione. Tu prenditi qualche giorno” il supervisore del centro accoglienza per ragazze madri, conclusa la frase con fare materno, mi osserva. Scuoto la testa “L’urgenza è invece quella di far traslocare al più presto Teresa lontano da qui”
“Ma tu sei pazza. Ma pazza vera. Dobbiamo far credere all’ubriacone che ti sei spaventata e che lo stai assecondando. Non posso far correre rischi né a te né a lei. Una guardia fuori la struttura basterà per il momento”
Quella pressione sul collo non mi abbandona. È sempre presente e fiammante. Quel senso di soffocamento mi sveglia nel pieno delle notti. Soffoco. Poi mi sveglio. Non sto soffocando ma i polmoni non respirano più a pieno come prima.
Il progetto con Teresa era andato bene. Avevamo individuato insieme una sua qualità che sorprese anche lei. “Sono sicura che mia nonna Adele ha voluto salvarmi e rendermi indipendente” parole che scintillavano dal suo sorriso “è stata lei ad insegnarmi a cucire e a ricamare: quando ero bambina nei giorni dei grandi diluvi passavamo il tempo così. Me ne ero completamente dimenticata e non sapevo di esserne ancora capace”
Immaginai le spalle ricurve protette dal drappeggio dello scialle rovesciato indietro e che tende il braccio verso noi con in mano una chiave di cristallo.
“Bè grazie ad Adele tu avrai domattina alle 10:30 in via dei condotti un colloquio presso questo atelier” le diedi il biglietto da visita verde Tiffany.
Tornò con le guance in fiamme, mi abbracciò. L’atelier l’attendeva per un contratto a tempo indeterminato nella loro sartoria e io avevo il petto gonfio d’orgoglio. “Bene possiamo preparare le carte per il cambio della tua destinazione”
“Cambio del Destino” con gli occhi persi nell’infinito proseguì “ Noi in Sudamerica non diciamo destinazione ma Destino”.
Quella pressione sulla gola, quel senso di soffocamento ha aumentato l’empatia con Teresa.
Entrambe claustrofobiche eravamo vittime di chi si era messo in testa di congelare il nostro sguardo rivolto al nostro futuro.
Quel passe-partout, che Adele le aveva teso, lo vedevo rimbalzare sul selciato tra le foglie rosse d’acero, tintinnando cadendo a terra. Non potevo permettere che andasse in frantumi.
Sono riuscita a trovare un atelier in un’altra cittadina a 103 km da noi. All’alba di questo sabato l’ho salutata da sotto il finestrino di un treno. Appena tornata a casa ho svuotato sul tavolo della mia cucina il tulle che racchiudeva mucchietti di confetti di mille sacchetti. Domani lascerò coi fiori in mano colui che da tempo tesseva la sua ragnatela in quel mio destino. Mentre in questo, la pressione sul collo è già scomparsa.
Racconto inedito, proprietà dell’autore.
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Francesca Alacevich
Commenti (8)
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Bellissimo, intenso, scritto molto bene. Si legge tutto d’un fiato per conoscere al più presto l’epilogo. Brava Francesca.
Brava Francesca, come sempre in tutto ciò che fai👏👏👏❤️
Mentre leggi sei proprio lì. Brava, brava Francesca
Le parole ti tirano dentro e respiri le emozioni, molto bello, intenso e vero, brava.
Solo leggendo, rileggendo e immaginando gli oggetti, i volti e i sentimenti si entra nella storia, è possibile viverla. Questo stile di scrittura per sottrazione, fatta di omissioni, allusioni e metafore insolite, di dettagli minimi, non è per lettori pigri. Chissà se anche il prossimo racconto sarà scritto in questa modalità cosi intrigante da minimalismo visionario.
Una scrittura attenta che esige una lettura attenta. Bravissima, Francesca!
Bellissimo e intenso. Grazie. E brava
Francesca, che emozione leggerti, l’uso accurato e colorato delle parole, la descrizione che tira dentro, sembra di vivere la scena, densa, emotiva, vibrante Francesca.
Che talento!