Gli ideatori del Laboratorio, i Proff. Alfredo Maria Morelli e Giuseppe Scandurra, si sono immediatamente attivati per organizzare e coordinare una rete civica coinvolgendo associazioni, organizzazioni, movimenti, istituti culturali, scuole e, insieme a queste, promuovere veri e propri “esperimenti di pace”.
A cominciare dal fronte universitario, il Laboratorio ha istituito e promosso un corso di Studi per la Pace collegato al Dottorato Nazionale della rete di Università per la Pace.Inoltre nell’arco di questi due anni sono state proposte altre iniziative educative e divulgative come quelle che potremmo definire operazioni di “peace reading” (Libri per la Pace) e di “Cinema di… Pace”.
Ma, in generale, cosa vuol dire oggi “educare alla pace”? Volendo affrontare questa specifica questione non si può fare a meno di fare i conti con una parola-chiave che nelle nostre valutazioni, come CDS, è sempre stata ben presente: complessità [Qui].
La definizione di complessità è sempre stata problematica. Quando 35 anni fa se ne cominciava a parlare, in letteratura venivano proposte circa 65 definizioni di complessità molto diverse tra loro e quasi tutte partivano da una netta distinzione tra complicato e complesso. Per intenderci un drone è complicato, ma non è considerato complesso fino al momento di considerarlo insieme al suo pilota da remoto. Potremmo controllare che il drone sia perfettamente funzionante e pronto all’uso, ma non potremmo mai sapere quello che accadrà, quale sarà, per esempio, lo stato d’animo del “pilota” di turno, il giorno che lo dovrà far volare. Quindi una prima tappa di avvicinamento alla complessità (e, dunque, a una buona educazione alla pace) è prendere coscienza, essere cioè consapevoli della “indeterminazione” di alcuni processi che si svolgono all’interfaccia tra la tecnica (il drone e il perfezionamento dei mezzi di controllo) e la natura (l’essere umano e la sua inevitabile fragilità).Tale consapevolezza aiuta a formare “abitudini di pensiero ecologiche” e permette di individuare ambiti circoscritti delle responsabilità personali e sociali.
Le idee ecologiche sono già entrate irreversibilmente (grazie anche alle nuove generazioni) nella nostra società ed hanno questo di particolare: ci rasserenano e allo stesso tempo ci inquietano e questo perché nel mondo vivente il rigore non è costituito dalla solita logica lineare (muovo il joystick in alto e il drone si alza!), ma è un’oscillazione tra pensiero razionale e pensiero aleatorio. Potremmo prenderlo questo come un dato certamente evolutivo della specie Homo: l’acquisizione di una coscienza ecologica quale risultato del passaggio da un pensiero complicato (lineare, causale e certo) a un pensiero complesso (circolare, aleatorio e probabilistico).Vale evidentemente il viceversa in quanto i sistemi complessi sono di per sé retroattivi e dunque il passaggio da un pensiero complicato a uno complesso ha prodotto l’espansione di una coscienza ecologica.
Educare alla Pace, oggi, potrebbe risultare più facile ricorrendo appunto a questa più “naturale” predisposizione da parte delle nuove generazioni a ragionare in modo complesso o come si suol dire – grazie ai lavori pioneristici di Gregory Bateson e Norbert Wiener – sistemico.L’imprescindibile premessa per una buona educazione alla pace è trasferire ed integrare alcuni essenziali contenuti scientifici nella cosiddetta cultura umanistica: alcune idee semplici e necessarie sul mondo fisico, chimico e biologico dovrebbero, di fatto, attraversare ogni disciplina di studio.Senza questa “storia naturale” ogni altra conoscenza, diceva Bateson, è morta, opaca o bigotta.E sarà la storia naturale che, sottraendoci alla dimensione individualistica e quindi alla pretesa di essere “i primi e i migliori” rispetto ad altri,  ci farà sentire parte non divisa da quella che Bateson chiamava la “sacra unità del vivente”.

Probabilmente le crisi che stiamo attraversando sono soprattutto crisi cognitive. Albert Einstein sosteneva che il pensiero che crea un mondo non sarà in grado di governare il mondo che ha generato. Il mondo attuale, globale e interconnesso è anche figlio del taylorismo economico e dello specialismo scientifico: ogni problema rilevante è complesso e le intelligenze che sono chiamate a risolverlo sono per lo più specialistiche.

Così le soluzioni cercate e proposte sono il più delle volte esse stesse parte del problema.

Crediamo quindi che nel “laboratorio” di pace bisogna proporre esperimenti che partano da idee scientifiche semplici e necessarie e che facciano uso di una certa grammatica che Bateson non a caso definiva “creaturale”; una grammatica che insegni il particolare rigore del mondo biologico, a cominciare dal linguaggio con cui noi lo descriviamo.

Non è un caso che Bateson, parlando proprio della comunicazione umana e del linguaggio verbale ipotizza che il no sia stato un importante passaggio evolutivo, in quanto ha consentito di sviluppare la capacità di stabilire o di cogliere la differenza tra “avere ragione” e “non avere torto”, la differenza tra “molto” e “non tanto”.

Dire no alla guerra, scendendo in piazza o mettendo le bandiere arcobaleno ai balconi, non basta, ecco perché serve un vero e proprio “laboratorio” dove effettuare “esperimenti” che ci educhino a non avere torto piuttosto che ad avere (sempre) ragione; a desiderare non tanto piuttosto che molto (se non tutto).

Sono esperimenti che agiscono in positivosottraendo cioè sempre più ragioni alla guerra e aggiungendo ad ognuno di noi la necessaria tentazione di vivere coerentemente come individui non separati da questa “sacra unità del vivente”. Questi dunque sarebbero i due più importanti risultati di un vero e proprio Centro Ricerche e Sviluppo delle Pace.

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