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Elizabeth Rose Alper,  una vita originale e non integrata, interessata alla cultura e al bello, ha saputo creare affetto e comunità attorno a sé. Non la conoscevo personalmente, ma posso riferirmi senza presunzione alla cura che uomini e donne ferraresi hanno avuto per lei.

Qualche dettaglio per chi non fosse di Ferrara o non la conoscesse.
La si incontrava al cinema Boldini con le sue immancabili sportine di plastica piene, ho saputo poi, anche di libri,  ricoperta di indumenti sovrapposti senza ordine, gli stessi in estate e in inverno.
Ho saputo che negli ultimi tempi non si riusciva nemmeno a convincerla ad utilizzare un alloggio che una rete di persone, in pena per lei, le avevano procurato.
Ha sollecitato un affetto disinteressato, dove l’unicità e la bizzarria hanno avuto il loro posto fra di noi con naturalezza e rispetto. Il coro di voci preoccupate per le sue condizioni di vita, non si sono mai rese invadenti e non si sono tradotte in forzature.

È bello per me pensare che la presenza  di Elizabeth abbia ingentilito e impreziosito il nostro paesaggio umano, forse anche a partire dalla sua storia e dalle sue doti. Qualcuno ha insinuato che se non fosse stata americana e se non avesse frequentato l’università, non sarebbe importato a nessuno di lei. Non lo so, forse è così, ma a me piace pensare che questa cura verso di lei sia stato un bell’esempio. E che è stata lei, proprio lei, a far in modo che le nostre porte del cuore si aprissero. Serviva che fosse colta? Bene, adesso sappiamo che certe figure anticonvenzionali possono portare con sé conoscenza e cultura. Oppure possono esserne prive, ma questo non ha nessuna importanza.

In tanti e tante si sono INTERESSATI e presi cura di lei. Dai loro ricordi sulle sue abitudini e sulla sua personalità, ricaviamo un esempio prezioso, quello che ci educa mostrando come si crea la comunità che agisce e accoglie con fiducia e ci insegna che avvicinarci, interessarci a chi è diverso da noi migliora la nostra vita.

Elizabeth (a sx nella foto) qualche anno fa, mentre partecipa a una manifestazione

Per me l’esempio di Elizabeth è un esempio di speranza. Mi piacerebbe che fosse abituale, che nei nostri luoghi di vita quotidiana ci fosse la presenza di una Elizabeth, bella e serena come nelle fotografie che le  persone a lei vicine hanno mostrato in suo ricordo quando lei ci ha lasciato. Vorrei che a scuola, nelle classi, le tante Elizabeth che purtroppo ci sono, fossero guardate con gli stessi occhi affettuosi e premurosi, incuranti dell’immagine inconsueta e del subbuglio emotivo che possono creare in noi, perché irriducibili alla nostra comprensione.
Vorrei che diventassimo tanto aperti e fiduciosi in noi stessi, tanto forti da sopportare e persino valorizzare il disagio con cui la diversità ci mette a confronto. Elizabeth ha saputo suscitare in noi le nostre risorse migliori. Grazie Elizabeth e grazie a chi se ne è preso cura.

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Daniela Cataldo

Scrivo regolarmente sul blog UnaScuolaFuoriclasse a partire dall’esperienza in prima persona, anche come insegnante. Ho riscontrato che non sempre la scuola sa orientarsi e orientare riguardo a certe problematiche, lasciando i genitori soli e incompresi. Quando insorgono difficoltà, più o meno temporanee, quali la dislessia, un disagio emotivo, un disagio psichico, il segnale principale è “andare male a scuola”. Per me, però, è la scuola che “va male” quando non si adatta alla extra-ordinarietà. Vorrei raccontare la mia esperienza sul tema, offrire ascolto a genitori e insegnanti e dare indicazioni su come e dove chiedere aiuto e informazioni. Mi piacerebbe che l’accoglienza e il supporto che i genitori, per necessità vitale, imparano a dare, giungessero ai ragazzi e alle ragazze direttamente, senza necessità di sollecitazioni, da insegnanti consapevoli e competenti che sanno osservare ed ascoltare

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