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Economia ed ecologia integrale. La “casa comune” è in pericolo. L’appello di Papa Francesco (e non solo)

Si dibatte sempre di più sulle sorti del pianeta, soprattutto dopo gli eventi estremi che hanno caratterizzato gli ultimi giorni. Eco-vandali, eco-proteste, eco-attivisti, economie esasperate, tutto in nome dell’economia, e(c)co qui, e(c)co là.

Ma cosa lega Economia ed Ecologia, se qualcosa le lega? La risposta sta(rebbe) banalmente nell’etimologia: le parole derivano entrambe dal greco oikos, casa, quindi a legarle è (dovrebbe essere) il pianeta, la nostra “casa comune”.

E ciascuno di noi ha un ruolo nel preservarla. Tassello fra i tasselli. Se non fosse che l’Uomo ha capito ben poco di un legame che dovrebbe essere equilibrato.

Servono un nuovo paradigma mondiale e un nuovo modello di sviluppo: lo abbiamo davvero capito?

Dipendiamo dalla natura per la nostra stessa esistenza. È un dato di fatto. Non possiamo dimenticare che è essa a offrirci gli elementi fondanti della nostra società: il suolo da cui ricaviamo il cibo per il sostentamento, le materie prime che ci servono per realizzare abitazioni e abiti, l’acqua potabile che beviamo, l’erba che calpestiamo, le foreste che esploriamo e l’aria pulita che respiriamo. Un insieme di elementi che messi insieme formano il “capitale naturale“. Parola che non piace a molti ma che, secondo la [vedi la Dichiarazione sul Capitale Naturale dell’Institute for Sustainable Development], è il capitale che “comprende i beni naturali della Terra (il suolo, l’aria, l’acqua, la flora e l fauna) e i relativi servizi ecosistemici che rendono possibile la vita sul nostro pianeta”. Cerchiamo di prendere il senso buono della parola capitale, anche qui partendo dalla sua etimologia: dal latino capitalis, da caput -pĭtis, “capo”, ossia che riguarda il capo, la testa, e quindi la vita stessa. Se leghiamo ancora una volta all’economia, comunque un patrimonio con un immenso valore, e di tutti.

Campagna, foto Valerio Pazzi

Un patrimonio definito, finito, esauribile e insostituibile da proteggere, conservare e salvaguardare, mentre l’Uomo, da tempo, si confronta con esso come se fosse illimitato e rigenerabile all’infinito. Sottovalutandone l’importanza.

“Sarà la fine del mondo? No, non finirà il mondo; finiremo noi. Il pianeta ha risorse incredibili, ma le stiamo esaurendo. La Terra è stanca di noi, ha attivato meccanismi di difesa, per sbarazzarsi dell’uomo. La gente non sa più produrre né coltivare, il sistema è fragile: una crisi potrebbe essere fatale”. Intervista a Sebastião Salgado di Aldo Cazzullo

L’epidemia da cui siamo, faticosamente, usciti ha mostrato gli immensi errori e limiti dell’Antropocene o del Pirocene, se si preferisce.

Si pensi in particolare, ai limiti di un modello di sviluppo, lineare, basato sullo sfruttamento eccessivo e incondizionato delle risorse e su un divario Nord-Sud del mondo quasi incolmabile, un mondo fatto di grandi differenze, molte contraddizioni ed enormi diseguaglianze. La ragione di questo sta, principalmente, nel fatto che, in passato, i modelli economici hanno avuto una logica del profitto di breve termine, senza occuparsi di ciò che sarebbe potuto accadere nel lungo termine. E poi un focus sull’io più che sul noi.

Oggi, però, tali divergenze hanno portato a una situazione non più sostenibile, dove molti che si pensavano forti, come nell’emergenza vissuta, si sono ritrovati “improvvisamente” deboli e non più al sicuro. Gli squilibri colpiscono tutti, la perdita di biodiversità, ad esempio, impatta il Pianeta ma anche l’Uomo per effetto di un legame estremamente profondo. La realtà, se non accompagnata da responsabilità condivisa, potrebbe irrimediabilmente, e facilmente, mostrare quale dei due può sopravvivere all’altro.

Per tornare a una situazione di equilibrio bisogna agire in un’ottica di lungo-termine, che miri alla riduzione del divario economico-sociale, redistribuendo la ricchezza in maniera equa.

Riconoscere tale debolezza e debito con la Natura deve aiutarci a ripartire, non ragionando più in un’ottica individualista ma vivendo nella “casa comune”, ben consapevoli che se non si crea futuro per gli altri, non ci sarà futuro nemmeno per tutti noi.

La Natura sboccia comunque, foto Valerio Pazzi

Ha già qualche anno ma è sempre attuale, oltre che inascoltata. È l’”Ecologia integrale” dell’Enciclica di Papa Francesco “Laudato Si’” del 2015, un concetto che introduce chiaramente come le dimensioni umane e sociali siano inscindibilmente legate con la questione ambientale.

Una visione inseparabile dal bene comune che includa un no alla cultura dello scarto tout court (Papa Francesco è molto duro contro l’economia dello scarto), un ambiente come eredità comune da non distruggere, un’amministrazione responsabile del mondo, una tutela delle ricchezze culturali dell’umanità, una governance globale dove non vi sia il dominio assoluto della finanza, la sobrietà e il rispetto.

È il messaggio anche della sua “Fratelli Tutti” (FT) dell’ottobre 2020, che delinea una globalizzazione e un progresso senza una rotta comune, caratterizzati da ingiustizia e mancanza di equa distribuzione delle risorse naturali. “Se tutto è connesso, è difficile pensare che questo disastro mondiale non sia in rapporto con il nostro modo di porci rispetto alla realtà, pretendendo di essere padroni assoluti … di tutto ciò che esiste” (punto 34 FT). Anche Francesco d’Assisi “… ha ascoltato la voce della natura” (punto 48 FT).

E ancora il recente messaggio per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del Creato in programma il prossimo primo settembre: “poniamo fine a questa guerra insensata al creato”. Soprattutto per “sorella acqua”, che viene saccheggiata e trasformata in merce soggetta alle leggi del mercato.

La sfida del partenariato

La sfida è, da un lato, anche di fronte a una popolazione mondiale in crescita (The World Population Prospects del 2019 stima che, nel 2050, la popolazione mondiale sarà di circa 10 miliardi), quella di soddisfare il crescente fabbisogno energetico, permettendo soprattutto l’accesso all’energia nei paesi più poveri e, dall’altro, quella di ridurre l’impatto inquinante delle nostre attività, trovando soluzioni innovative e rispettose dell’ambiente. In equilibrio con la Natura. E in un’ottica di reale partenariato.

Una realtà dove il progresso materiale vada di pari passo con quello morale, dove la riflessione etica sia anche in grado di far cambiare la regolamentazione e i comportamenti di ciascuno.

Contrariamente al passato, il settore privato deve svolgere un ruolo cruciale come motore di sviluppo, bilanciando obiettivi di business e di crescita socioeconomica locale, in ottica di lungo termine.

A tutto questo devono, ovviamente, corrispondere un forte impegno e volere politico, internazionale e nazionale, investimenti in sviluppo delle capacità, oltre che un approccio di conservazione della natura basati a scala locale, compresi la gestione di aree protette (definite dalla commissione mondiale dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura- IUCN sulle aree protette, nel 2018, come: ” zone geograficamente definite, diverse da una zona protetta, governate e gestite in modo da ottenere obiettivi positivi e sostenuti a lungo termine per una conservazione in loco della biodiversità, con funzioni e servizi per l’ecosistema associati e, ove applicabile, culturale, spirituale, socioeconomico e altri valori rilevanti”).

Perché, per pensare con Stefano Mancuso direttore del laboratorio Internazionale di Neurobiologia vegetale (leggete “L’incredibile viaggio delle piante” o “La nazione delle piante”), come le piante e i funghi di un ecosistema, siamo tutti interconnessi e, in quanto tali, ci dobbiamo aiutare e sostenere.

Immagine in copertina: Pixabay – Immagini nel testo: Vatican News, foto Valerio Pazzi

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Simonetta Sandri

E’ nata a Ferrara e, dopo gli ultimi anni passati a Mosca, attualmente vive e lavora a Roma. Giornalista pubblicista dal 2016, ha conseguito il Master di Giornalismo presso l’Ecole Supérieure de Journalisme de Paris, frequentato il corso di giornalismo cinematografico della Scuola di Cinema Immagina di Firenze, curato da Giovanni Bogani, e il corso di sceneggiatura cinematografica della Scuola Holden di Torino, curato da Sara Benedetti. Ha collaborato con le riviste “BioEcoGeo”, “Mag O” della Scuola di Scrittura Omero di Roma, “Mosca Oggi” e con i siti eniday.com/eni.com; ha tradotto dal francese, per Curcio Editore, La “Bella e la Bestia”, nella versione originaria di Gabrielle-Suzanne de Villeneuve. Appassionata di cinema e letteratura per l’infanzia, collabora anche con “Meer”. Ha fatto parte della giuria professionale e popolare di vari festival italiani di cortometraggi (Sedicicorto International Film Festival, Ferrara Film Corto Festival, Roma Film Corto Festival). Coltiva la passione per la fotografia, scoperta durante i numerosi viaggi. Da Algeria, Mali, Libia, Belgio, Francia e Russia, dove ha lavorato e vissuto, ha tratto ispirazione, così come oggi da Roma.

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