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Due proposte di legge per uscire dal neoliberismo e dar fiato alla spesa sociale dei Comuni. Parte oggi parte oggi la raccolta firme.

Oggi, 4 febbraio, parte un’iniziativa nazionale importante. Inizia infatti, in tutta Italia, la raccolta delle firme per presentare al Parlamento 2 proposte di legge di iniziativa popolare nazionale – promosse da Attac, Arci, Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua, Fridays For Future e molti altri soggetti – relative alla riforma della finanza locale e alla socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti.

Testo della Proposta di legge riforma della finanza pubblica locale

Testo della Proposta di legge socializzazione Cassa Depositi e Prestiti

Le 2 proposte di legge (leggi sopra) intendono, da una parte, ridare autonomia economica e finanziaria ai Comuni e, dall’altra, rendere Cassa Depositi e Prestiti una Banca pubblica con la vocazione di sostenere gli investimenti degli Enti locali, in particolare quelli relativi ai Beni Comuni.

Ancora più in specifico, la prima proposta intende costruire un ruolo centrale per i Comuni nel poter affermare diritti fondamentali dei cittadini, facendoli ridiventare soggetti attivi nel promuovere la gestione pubblica e  le politiche sociali (ed economiche), in particolare in campi quali il patrimonio pubblico e i servizi pubblici, dall’acqua al ciclo dei rifiuti, da quelle riferite all’abitare alla conversione ecologica, dai trasporti pubblici alla cultura e altro ancora.
Lo fa garantendo sì l’equilibrio economico-finanziario degli Enti locali, ma svincolandolo dall’eredità del Patto di stabilità e dal meccanismo stringente del pareggio di bilancio, e affiancando ad esso l’obiettivo del pareggio del bilancio sociale, ecologico e di genere, guardando a questi strumenti come quelli in grado di soddisfare bisogni e diritti fondamentali dei cittadini.

La proposta di legge relativa alla socializzazione di Cassa Depositi e Prestiti ha la finalità di mettere a disposizione l’ingente patrimonio che essa raccoglie con il risparmio postale dei cittadini (circa 280 miliardi di €) per finanziare, a tassi agevolati, gli investimenti dei Comuni nei settori sopra elencati e consentire alle comunità locali di intervenire efficacemente sulle priorità che esse individuano.

Possono sembrare finalità di puro buon senso e, infatti, esse, anche se in termini diversi e in modo parziale, hanno agito fino a circa 30 anni fa, agli anni ‘90 del Novecento, prima che intervenisse l’ondata del neoliberismo anche nel nostro Paese. Che ha assunto tratti particolarmente feroci proprio nei confronti del sistema delle autonomie locali e del settore bancario.

Con il Patto di stabilità degli Enti locali, la cui prima versione risale al 1998, e poi con il blocco delle assunzioni a partire dagli anni successivi, cui si è associato il taglio progressivo dei trasferimenti di risorse dallo Stato centrale ai Comuni, si è proceduto ad un forte contenimento della spesa corrente dei Comuni, alla privatizzazione di servizi pubblici fondamentali, alla svendita del patrimonio pubblico e ad un pesante ridimensionamento dell’occupazione a tempo indeterminato (e  all’innalzamento della sua età media), il tutto guidato dall’imperativo sempre più cogente del rientro dal debito accumulato.

Basta pensare che, dal 2013 al 2021, secondo quanto rilevato dalla Corte dei Conti, il debito dei Comuni si è ridotto di circa il 17%, mentre quello delle Amministrazioni centrali è aumentato di circa il 25%. Gli investimenti fissi lordi dei Comuni dal 2001 al 2019 hanno avuto un decremento del 45%, gli occupati a tempo indeterminato, come ha evidenziato la Fondazione IFEL- ANCI, sono passati da 430mila nel 2007 a 320mila nel 2021, con una diminuzione del 25%!

Dal canto suo, Cassa depositi e Prestiti, dapprima aprendo la possibilità ai Comuni di rivolgersi al mercato del credito e, soprattutto, dal 2003, quando essa è stata privatizzata, trasformandola da Ente di diritto pubblico a SpA e facendo entrare nel capitale sociale le Fondazioni bancarie, ha progressivamente dismesso la propria funzione di Banca pubblica finanziatrice a tasso agevolato degli investimenti dei Comuni per trasformarsi in un “normale” istituto di credito, anzi ha messo a disposizione le proprie risorse per sostenere i processi di privatizzazione dei servizi pubblici e per sostenere gli investimenti nei settori che garantivano margini di profitto più elevati.

L’incrocio di questi processi – vincoli stringenti alla spesa e al debito degli Enti locali e venir meno del ruolo di Cassa Depositi e Prestiti, due facce della stessa medaglia- ha fatto sì che i Comuni si sono ridotti ad un intervento pubblico minimo, che è sostanzialmente rappresentato da anagrafe e stato civile, Polizia municipale e il residuo di alcuni servizi sociali, dai nidi all’assistenza ad alcuni presidi culturali.

Gli anni della pandemia e gli interventi di “emergenza” che si sono approntati anche nei confronti dei Comuni, assieme ai provvedimenti che discendono dal Pnrr, hanno in parte alleviato questa situazione, riportando, almeno sulla carta, una possibilità di investimenti pubblici pari agli anni ‘ buoni’ dell’inizio del 2000 e garantendo una tenuta nella spesa corrente. Ma non si può sottacere che, in mancanza di una ripresa sostenuta dell’occupazione pubblica e un rilancio significativo della spesa corrente, tutto ciò non potrà che risolversi in un palliativo, incapace di invertire la tendenza in atto.

Per rendere più chiaro questo concetto, è sufficiente avere presente il paradosso per cui, per esempio, nel caso degli asili nido, ogni miliardo di investimento genera, per la loro gestione, maggiori fabbisogni di spesa corrente tra i 50 e i 250 milioni annui, risorse che ci sono per la prima voce, ma non per la seconda.

Per questo, senza un intervento di fondo, di carattere sistemico, i Comuni continueranno a svolgere un ruolo di pura amministrazione, con una sorta di “pilota automatico” che impedisce di intervenire sugli snodi del modello produttivo e sociale e che rischia di vanificare, quando anche ci fosse la volontà politica, la possibilità di mettere in campo scelte alternative a quelle che sono state prodotte negli ultimi decenni.

Il valore delle 2 proposte di legge di iniziativa popolare – oltre all’idea di costruire meccanismi di democrazia partecipativa nel definire le scelte sia dei Comuni sia della stessa Cassa Depositi e Prestiti- sta proprio in ciò, nel delineare un percorso di modifica radicale del ruolo e del sistema delle autonomie locali, in grado di affermare i diritti fondamentali delle comunità territoriali e di dotarli delle risorse che rendono possibile quest’obiettivo.

Per questo occorre che la raccolta delle firme arrivi ad un risultato ben superiore alle 50.000 sottoscrizioni che sono necessarie per presentare le proposte di legge in Parlamento.

La raccolta firma parte oggi e durerà per i 6 mesi successivi ed era previsto che la si potesse fare nel modo ‘classico’, cioè su moduli cartacei nei quali riportare i dati e certificare i requisiti dei firmatari, sia attraverso una piattaforma che consentisse le firme online, modalità prevista dal luglio scorso grazie ad una modifica legislativa che l’ha introdotta.
Peccato che il governo ha annunciato a metà del mese di novembre scorso che finalmente la piattaforma per le firme online era pronta, ma, da allora a tutt’oggi, essa risulta in una fase di test ( ma quanto saranno approfonditi, visto il tempo che si sta impiegando?) e quindi non è ancora agibile.
Non voglio avanzare pensieri maliziosi in proposito, che però vengono facilmente in mente; in ogni caso.

A Ferrara

Per l’intanto, in attesa che le criticità per le firme online si risolvano, le firme potranno essere apposte su moduli disponibili presso l’Ufficio elettorale del Comune a Ferrara, in via Fausto Beretta 19, dal lunedì al venerdì, ore 8-12 ; oppure al mercatino della Comunità Emmaus ( via Nazionale 95 – S. Nicolò) nelle giornate di martedì e giovedì dalle 8 alle 12 e sabato dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18.

Firmare e far conoscere quest’iniziativa serve non solo dal punto di vista generale, ma anche per sostenere le battaglie che sono aperte anche a Ferrara, che, al pari di tante altre città, non è risparmiata dal furore di privatizzazione degli spazi e dei servizi pubblici.
Basta pensare all’idea di utilizzare il Parco Urbano Bassani a ridosso delle Mura estensi, patrimonio UNESCO, per svolgere il concerto di Bruce Springsteen.
Oppure al progetto FERIS, che mette insieme ristrutturazione di un ex caserma con un nuovo ipermercato e parcheggio, sempre sotto le Mura, in una logica tutta orientata al servizio di interessi e profitti privati.

Per non parlare del fatto che Hera continua a svolgere in proroga la gestione del servizio dei rifiuti, nonostante la concessione sia scaduta alla fine del 2017 e ci siano tutte le condizioni per arrivare alla ripubblicizzazione del servizio stesso.

Insomma, ci sono veramente tante e buone ragioni per firmare e far firmare queste proposte di legge di iniziativa popolare, per portare avanti una lotta che non sarà né semplice, né breve, ma che, sul serio, indica una strada che può tornare a far contare e dar voce alle persone che abitano le città e i territori.

In copertina: La partecipazione attesa (immagine tratta dal periodico ArcipelagoMilano)

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Corrado Oddi

Attivista sociale. Si occupa in particolare di beni comuni, vocazione maturata anche in una lunga esperienza sindacale a tempo pieno, dal 1982 al 2014, ricoprendo diversi incarichi a Bologna e a livello nazionale nella CGIL. E’ stato tra i fondatori del Forum Italiano dei Movimenti per l’Acqua nel 2006 e tra i promotori dei referendum sull’acqua pubblica nel 2011, tema cui rimane particolarmente legato. Che, peraltro, non gli impedisce di interessarsi e scrivere sugli altri beni comuni, dall’ambiente all’energia, dal ciclo dei rifiuti alla conoscenza. E anche di economia politica, suo primo amore e oggetto di studio.

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