“Donna al volante, pericolo costante” e altre sciocchezze:
il vero ruolo della donna nella storia dell’automobile
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“Donna al volante, pericolo costante” e altre sciocchezze: il vero ruolo della donna nella storia dell’automobile
Un’automobile che corre veloce su una strada lunga e dritta, quasi deserta, una macchina cabriolet scoperta che lascia passare il vento fra i capelli e il sole sulla pelle. Una sensazione di libertà mai provata, un senso di avventura e di aspettativa per un futuro radioso. La Ford Thunderbird con cui Thelma e Louise decidono di abbracciare il loro destino e di correre verso l’ignoto rappresenta tutto questo, testimoniando un’apertura al sogno, uno sguardo diverso sul mondo. L’automobile non è mai stata solo un mezzo di trasporto, ma ha sempre giocato un ruolo chiave nell’immaginario culturale di tutti noi. È un oggetto totemico, quasi magico, che è stato capace di rivoluzionare abitudini e stili di vita. Dal mito della tecnica all’ incarnazione del senso di libertà, alcuni delle più grandi aspirazioni umane sono state sedute, almeno per un po’, su un sedile di pelle. L’automobile è un simbolo che rappresenta bene il cambiamento delle abitudini e lo scorrere inesorabile delle stagioni, della vita, del tempo. Solo per fare qualche esempio.
La Lancia Aurelia di “Il Sorpasso”, film italiano del 1962 diretto da Dino Risi. Il giorno di Ferragosto, uno studente universitario timido e un quarantenne immaturo che sono amici (Jean-Louis Trintignant e Vittorio Gassman), trascorrono la giornata in auto. Le ore passano veloci in un susseguirsi di episodi tragicomici, fino all’epilogo inatteso e drammatico.
La “Torpedo blu” di Gaber, canzone uscita nel 1968 e contenuta nell’album “Sai com’è”. I primi versi di questa bellissima ballata fanno così: “Vengo a prenderti stasera/Sulla mia torpedo blu/L’automobile sportiva/Che mi dà un tono di gioventù/Già ti vedo elegantissima/Come al solito sei tu (ah)/Sembrerai una Jean Harlow/Sulla mia torpedo blu (…)”
La “Topolino Amaranto” di Paolo Conte, canzone del 1975 contenuta nell’album omonimo, inizia con questi versi: “Oggi la benzina è rincarata/È l’estate del quarantasei/Un litro vale un chilo d’insalata/Ma chi ci rinuncia?/ A piedi chi va?/L’auto, che comodità/Sulla Topolino amaranto/Dai siedimi accanto/Che adesso si va. (…).
La mitica Ford Gran Torino di Starsky e Hutch, serie televisiva degli anni Settanta. I protagonisti sono due poliziotti, molto diversi per stile di vita e temperamento, ma uniti da una forte amicizia. Lavorano presso la nona stazione di polizia di Bay City, una città fittizia in California.
L’Alfa Romeo Duetto di “Il Laureato”, film che ha fatto la storia del cinema, anche grazie alle interpretazioni straordinarie di Dustin Hoffman e Anne Bancroft e alla colonna sonora di Simon & Garfunkel.
Da “Goldfinger” in poi, James Bond ha guidato l’Aston Martin DB5 da 286 cavalli. Realizzata con una tiratura da 1.023 esemplari, l’Aston Martin DB5 compare in diverse pellicole facenti parte della saga, come nel quarto film “Thunderball – Operazione Tuono”.
La DeLorean DMC-12 di “Ritorno al Futuro”, unico modello realizzato dalla DeLorean Motor nei primi anni Ottanta, e realizzata in poco più di 9.000 esemplari.
Il Maggiolino Volkswagen non poteva non entrare nella storia del cinema con un film come “Un maggiolino tutto matto”. Il maggiolino è il modello di auto più longevo del mondo, è infatti stato prodotto dal 1938 al 2003.
Chissà se il Ragionier Ugo Fantozzi sarebbe stato lo stesso senza la sua Bianchina. Prodotta dal 1957 al 1969, era stata concepita come la versione “premium” della 500.
Infine la Mercury Eight di “Grease”, film del 1978 diretto da Randal Kleiser, tratto dall’omonimo musical di Jim Jacobs e Warren Casey. Nel film compare una Mercury Eight nera e fiammeggiante del 1949.
La lista è lunga e se ne potrebbero citare molte altre. Forse non sfugge il fatto che, a parte Thelma e Louise, tutte queste macchine sono state guidate da uomini. Un caso? Sicuramente no. È un retaggio culturale che rappresenta bene gli stereotipi del tempo, l’uso della macchina come manifestazione della virilità maschile, oppure della sua negazione, come in Fantozzi.
L’abitudine di dire “Donna al volante, pericolo costante” incarna il modo stereotipato di interiorizzare una struttura sociale animata di relazioni personali sbilanciate. Per stereotipo, si intende un insieme coerente di credenze e teorie non scientificamente provate (per esempio: “Chi dice donna dice danno”, “Donne e buoi dei paesi tuoi”, “Non si piange come una femminuccia”, “Guidi bene per essere una donna”, “Dietro ogni grande uomo c’è sempre una grande donna”, “Non è un mestiere per donne”, “Questo non si addice ad una donna”, “La zitella è una donna acida e infelice”.). Il termine proviene dal greco stereòs “rigido” e tùpos “impronta”. Inizialmente indicava gli stampi di cartapesta rigidi e riutilizzabili usati per stampare le lettere in tipografia. Agli inizi del ‘900, quando presero piede gli studi di psicologia sociale, il termine venne usato per indicare le immagini mentali con cui talvolta rappresentiamo rigidamente la realtà, proprio come una sorta di “calco cognitivo”. Di fronte alla complessità del mondo, gli individui hanno la necessità di semplificare e classificare le tante informazioni quotidiane, costruendo delle categorie.
L’uso di tali categorie è utile quando comunichiamo con gli altri, sono infatti implicite e “date per certe”. Gli stereotipi ci consentono inoltre di giustificare le disparità sociali e le discriminazioni, come nel caso del maschilismo; ci aiutano a differenziare in senso positivo il gruppo di appartenenza rispetto agli altri (“gli uomini guidano meglio delle donne”); riflettono una certa pigrizia mentale, aumentano quando abbiamo poco tempo e/o poche risorse cognitive da investire, ci aiutano a prendere decisioni rapide in situazioni prevedibili. Per Gordon Allport (Gordon Allport 1973. “la natura del pregiudizio”, La nuova Italia), gli stereotipi sono appresi durante l’infanzia. I bambini li imparano principalmente in due modi: adottandoli dai loro genitori/membri della famiglia; crescendo in un ambiente che li rende sospettosi/timorosi e quindi molto bisognosi di paradigmi di riferimento semplici e cristallizzati.
Bando agli stereotipi! Fin dalle origini della storia dell’automobile, il contributo femminile è stato decisivo. Ad esempio, le donne hanno plasmato l’automobile dandole la forma che conosciamo oggi. Sono inoltre molte le donne che, vere e proprie pioniere, hanno avuto un ruolo rilevante nel processo che ha portato al modo di guidare che conosciamo oggi. Conquiste tecniche come il tergicristallo, il riscaldamento dell’abitacolo o le fibre di kevlar, i primi viaggi a bordo delle prime automobili del ’900, il primo giro del mondo in auto del 1929 o la partecipazione a sport automobilistici come transgender.
Tutte queste performance sono legate alla biografia di donne provenienti da tutto il mondo. Cito undici sorprendenti figure che hanno segnato in modo rilevante la storia del settore automotive e degli sport automobilistici: Wilhelmine Erhardt, Stephanie Kwolek, Clärenore Stinnes, Mary Anderson, Bertha Benz, Margaret Wilcox, Danica Patrick, Suzanne Vanderbilt, Charlie Martin, Lella Lombardi, Jutta Kleinschmidt.
Se oggi è dimostrabile la relazione che lega donne e motori, quando il settore muoveva i primi passi, sicuramente non lo era. I primissimi veicoli a motore erano di appannaggio esclusivamente maschile. Quando all’inizio del 1899 la fabbrica Eisenach organizzò una prima esibizione di tutti i veicoli a motore prodotti fino a quel momento, alla guida di uno dei quattro Wartburg c’era Wilhelmine Ehrhardt, la moglie del direttore della fabbrica Eisenach, che si godette lo stupore sulla faccia dei passanti. Wilhelmine (23 agosto 1886 – 23 febbraio 1945) era molto abile e il suo “entusiasmo automobilistico” evidente.
Quando, 23 luglio 1899, Gustav Ehrhardt si iscrisse con il nuovo modello di Wartburg alla prima corsa internazionale che andava da Innsbruck a Monaco, la moglie lo accompagnò. Il percorso partiva da Innsbruck, passava per la valle alpina dell’Inntal, l’austriaca Kufstein e la bavarese Rosenheim e arrivava a Monaco. Era molto impegnativo, ma per Wilhelmine fu entusiasmante. Dovette però aspettare ancora un anno per realizzare il sogno di gareggiare in qualità di donna pilota in una competizione automobilistica. Il 3 agosto 1901 scrisse la storia degli sport automobilistici partecipando alla gara che andava dalle montagne da Eisenach a Meiningen e ritorno. Grazie al motore a sua disposizione, Wilhelmine Ehrhardt mancò il podio per pochissimo. (si veda: https://www.bmw.com/it/automotive-life/donne-e-motori-11-personalita-nella-storia-del-settore-automotive.html)
Non è quindi vero che le donne non amano il mondo dell’automotive, non è vero che non hanno dato contributi essenziali allo sviluppo dei veicoli e dei motori, non è vero che sono cattive pilote e non è assolutamente vero che fanno più incidenti stradali degli uomini.
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Catina Balotta
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